Li amo.
Caro PrincipeV,
questa è la prima lettera che ti scrivo.
Te la scrivo per farti gli auguri di buon compleanno ma, com'è nel mio stile, sono in ritardo. Avrei dovuto farlo prima ma testa e cuore erano troppo confusi. Sentimenti, pensieri, emozioni, ci ho messo tutti questi giorni per farci un poco d'ordine.
Quando due anni fa ho saputo che saresti arrivato, arrivato per davvero, che non eri solo un sogno o una speranza ma un puntino lontano in lento ed inesorabile avvicinamento, mi si è aperto un mondo tutto nuovo. La famiglia Cole si allargava e soprattutto si allungava. Gettava il cuore oltre l'ostacolo. Spostava i propri orizzonti un poco più in là.
Io per molti, troppi, anni sono stata la più piccola, l'ultima arrivata. Quando sono venuta al mondo c'erano già tutti: il nonno, la nonna e persino la tua mamma. Sì, tecnicamente non erano ancora entrati a far parte della famiglia il tuo papà o lo zio Ciccio ma di tutti noi, di quelli con lo stesso sangue, io ero l'ultima.
Lo stesso sangue, appunto. Due anni fa dissi a tuo zio proprio così: "Voglio bene ai miei nipotini acquisiti ma lui sarà una cosa diversa, lui sarà figlio di mia sorella, sangue del mio sangue."
Lo so che, per quello che ci riguarda, tecnicamente questa è una fesseria ma insomma quello che volevo dire era che: la vita è imprevedibile, le persone vanno e vengono, le famiglie si allargano e si restringono, gli amori finiscono e le amicizie si sfilacciano ma i bambini, che siano figli o nipoti, quelli no, quelli arrivano e restano per sempre.
Fra 5, 10, 15 o 20 anni tu ci sarai ancora ed io ci sarò. Per te. Sempre.
Per la maggior parte delle persone "aspettare un bambino" significa guardare una pancia crescere. Poi ci sono quelli come noi, quelli per cui "aspettare un bambino" significa aspettare, aspettare sul serio.
Aspettare una telefonata ed un abbinamento. E così che lo chiamano, un abbinamento. Una famiglia per un bambino. La famiglia giusta per il bambino giusto.
Prima ci sono gli psicologi, poi gli assistenti sociali, gli incontri, i gruppi di supporto. E intanto si aspetta, si spera, delle volte si ha l'impressione che basti allungare un poco di più le braccia per arrivarci e delle volte sembra che per quanto si faccia, per quanto si aspetti, per quanto si sia delle brave persone, questo bimbo non arriverà mai.
La tua mamma ed il tuo papà ti hanno aspettato tanto e noi con loro.
Quanta è stata lunga la strada e quanto sembra breve ed insignificante a ripensarci adesso. Una strada che i tuoi genitori hanno intrapreso ancora prima che tu poggiassi i tuoi piedini su questa terra. Una strada che per quasi due anni tu hai dovuto percorrere da solo. Anzi no, solo no, solo mai, perché hai avuto chi si è preso cura di te, gente per bene che ti ha aperto il proprio cuore e la propria casa e che per questo avrà per sempre la mia riconoscenza.
Tu non avrai memoria di loro ma loro di te, il bimbo forte che amava la musica.
Sei così piccolo, PrincipeV, ma hai già tante persone al mondo che ti amano e ti portano nel cuore. Non scordarlo mai.
Finalmente, una settimana fa, la tua mamma ed il tuo papà sono venuti a prenderti, hanno attraversato terre e lingue diverse, hanno macinato chilometri e perso ore di sonno. In questi giorni vi state conoscendo e amalgamando, state intrecciando i fili delle vostre esistenze, state scambiandovi baci e urla, tenerezze e capricci.
Per adesso io ho potuto vederti solo in cam ma siamo già diventati grandi amici, non è vero? Ieri, per la prima volta, hai detto "ciao zia" ed io ho scoperto cos'è l'amore, l'amore vero. Tu sei l'uomo della mia vita, zio Ciccio già lo sa e si è messo l'animo in pace, sei il piccolo di casa, sei la nuova gemma sull'albero, il fiume che arriva fino al mare, la tartaruga che corre verso l'acqua. Tu sei un miracolo ed una benedizione.
Tu sei tutte queste cose assieme e sei soprattutto mio nipote.
Nipote, mi riempio la bocca ed il cuore con questa parola e trabocco d'orgoglio perché neanche nei miei più rosei sogni tu saresti potuto essere meglio di quello che sei.
Tu sei tu.
Era te che stavamo aspettando.
Spesso in questi mesi, quando raccontavo di te la gente mi diceva "E' un bambino fortunato", ed io rispondevo "Siamo noi ad essere quelli fortunati". Ed è proprio vero. E' così. Siamo noi ad essere fortunati perché il destino ha fatto incrociare le nostre vite. Perché noi avremo l'onore di vederti crescere. Perché sei un gran testone ed un terremoto, perché quando ti arrabbi urli con una vocetta acuta che non perdona e quando ridi ti si muove tutta la pancia, perché sei uno spericolato con un sorriso dolce, perché sei un tiranno con l'animo del Re Buono. Insomma perché tu sei un normale e sano bambino di due anni.
Fra qualche settimana finalmente ci incontreremo, intanto io continuo ad aspettarti. Sono qua per te e ci sarò per sempre perché tu sei mio nipote, sangue del mio sangue.
Tanti auguri PrincipeV,
tua zia Jane,
anzi no, tua zia Rò.
questa è la prima lettera che ti scrivo.
Te la scrivo per farti gli auguri di buon compleanno ma, com'è nel mio stile, sono in ritardo. Avrei dovuto farlo prima ma testa e cuore erano troppo confusi. Sentimenti, pensieri, emozioni, ci ho messo tutti questi giorni per farci un poco d'ordine.
Quando due anni fa ho saputo che saresti arrivato, arrivato per davvero, che non eri solo un sogno o una speranza ma un puntino lontano in lento ed inesorabile avvicinamento, mi si è aperto un mondo tutto nuovo. La famiglia Cole si allargava e soprattutto si allungava. Gettava il cuore oltre l'ostacolo. Spostava i propri orizzonti un poco più in là.
Io per molti, troppi, anni sono stata la più piccola, l'ultima arrivata. Quando sono venuta al mondo c'erano già tutti: il nonno, la nonna e persino la tua mamma. Sì, tecnicamente non erano ancora entrati a far parte della famiglia il tuo papà o lo zio Ciccio ma di tutti noi, di quelli con lo stesso sangue, io ero l'ultima.
Lo stesso sangue, appunto. Due anni fa dissi a tuo zio proprio così: "Voglio bene ai miei nipotini acquisiti ma lui sarà una cosa diversa, lui sarà figlio di mia sorella, sangue del mio sangue."
Lo so che, per quello che ci riguarda, tecnicamente questa è una fesseria ma insomma quello che volevo dire era che: la vita è imprevedibile, le persone vanno e vengono, le famiglie si allargano e si restringono, gli amori finiscono e le amicizie si sfilacciano ma i bambini, che siano figli o nipoti, quelli no, quelli arrivano e restano per sempre.
Fra 5, 10, 15 o 20 anni tu ci sarai ancora ed io ci sarò. Per te. Sempre.
Per la maggior parte delle persone "aspettare un bambino" significa guardare una pancia crescere. Poi ci sono quelli come noi, quelli per cui "aspettare un bambino" significa aspettare, aspettare sul serio.
Aspettare una telefonata ed un abbinamento. E così che lo chiamano, un abbinamento. Una famiglia per un bambino. La famiglia giusta per il bambino giusto.
Prima ci sono gli psicologi, poi gli assistenti sociali, gli incontri, i gruppi di supporto. E intanto si aspetta, si spera, delle volte si ha l'impressione che basti allungare un poco di più le braccia per arrivarci e delle volte sembra che per quanto si faccia, per quanto si aspetti, per quanto si sia delle brave persone, questo bimbo non arriverà mai.
La tua mamma ed il tuo papà ti hanno aspettato tanto e noi con loro.
Quanta è stata lunga la strada e quanto sembra breve ed insignificante a ripensarci adesso. Una strada che i tuoi genitori hanno intrapreso ancora prima che tu poggiassi i tuoi piedini su questa terra. Una strada che per quasi due anni tu hai dovuto percorrere da solo. Anzi no, solo no, solo mai, perché hai avuto chi si è preso cura di te, gente per bene che ti ha aperto il proprio cuore e la propria casa e che per questo avrà per sempre la mia riconoscenza.
Tu non avrai memoria di loro ma loro di te, il bimbo forte che amava la musica.
Sei così piccolo, PrincipeV, ma hai già tante persone al mondo che ti amano e ti portano nel cuore. Non scordarlo mai.
Finalmente, una settimana fa, la tua mamma ed il tuo papà sono venuti a prenderti, hanno attraversato terre e lingue diverse, hanno macinato chilometri e perso ore di sonno. In questi giorni vi state conoscendo e amalgamando, state intrecciando i fili delle vostre esistenze, state scambiandovi baci e urla, tenerezze e capricci.
Per adesso io ho potuto vederti solo in cam ma siamo già diventati grandi amici, non è vero? Ieri, per la prima volta, hai detto "ciao zia" ed io ho scoperto cos'è l'amore, l'amore vero. Tu sei l'uomo della mia vita, zio Ciccio già lo sa e si è messo l'animo in pace, sei il piccolo di casa, sei la nuova gemma sull'albero, il fiume che arriva fino al mare, la tartaruga che corre verso l'acqua. Tu sei un miracolo ed una benedizione.
Tu sei tutte queste cose assieme e sei soprattutto mio nipote.
Nipote, mi riempio la bocca ed il cuore con questa parola e trabocco d'orgoglio perché neanche nei miei più rosei sogni tu saresti potuto essere meglio di quello che sei.
Tu sei tu.
Era te che stavamo aspettando.
Spesso in questi mesi, quando raccontavo di te la gente mi diceva "E' un bambino fortunato", ed io rispondevo "Siamo noi ad essere quelli fortunati". Ed è proprio vero. E' così. Siamo noi ad essere fortunati perché il destino ha fatto incrociare le nostre vite. Perché noi avremo l'onore di vederti crescere. Perché sei un gran testone ed un terremoto, perché quando ti arrabbi urli con una vocetta acuta che non perdona e quando ridi ti si muove tutta la pancia, perché sei uno spericolato con un sorriso dolce, perché sei un tiranno con l'animo del Re Buono. Insomma perché tu sei un normale e sano bambino di due anni.
Fra qualche settimana finalmente ci incontreremo, intanto io continuo ad aspettarti. Sono qua per te e ci sarò per sempre perché tu sei mio nipote, sangue del mio sangue.
Tanti auguri PrincipeV,
tua zia Jane,
anzi no, tua zia Rò.
L'avevate capito che amo darmi un tono da grande pensatrice ma in fondo sono ignorante ed intellettualmente pigra. L'avevate capito che faccio la sofisticata ma in realtà sono di gusti semplici e molto nazionalpopolari. L'avevate capito che dietro questa scorza di donna tutta d'un pezzo si nasconde una mollacciona. L'avevate capito che ho un cuore tenero. E soprattutto l'avevate già capito che di musica io non c'ho mai capito una mazza. No?
Non l'avevate capito?
Vorrà dire che lo capirete ora.
Ora che dovrete finalmente aprire gli occhi e guardare coraggiosamente in faccia la realtà. Ora che non potrete più nascondervi dietro l'affetto che provate per me. Ora che è giunto il momento che anche voi sappiate, amici miei.
Che sappiate ciò che ho cercato di celare agli occhi di tutti, ciò che ho nascosto persino a me stessa. La mia gioia e la mia vergogna.
Ebbene sì.
Mi piace.
Mi piace tanto.
Non riesco più a farne a meno.
Mi esalta. Mi commuove. Mi smuove l'anima. Mi alleggerisce la testa e riempe il cuore. Mi fa agitare il sedere ed alzare le braccia. Mi tarantola i piedi ed elettrizza i riccioli.
Io, Jane Pancrazia Cole, quando ascolto l'ultima canzone di Jovanotti butto alle ortiche dignità e buon gusto e mi esalto come l'ultima delle romantiche quattordicenni sprovvedute.
Mi piace il ritmo, mi piace l'energia, mi piace l'idea "che attraversiamo il fuoco con un ghiacciolo in mano", mi piace persino la voce inadeguata e la zeppola dell'eterno Lorenzo.
Amici miei, vi chiedo aiuto.
Lo chiedo soprattutto a voi, Alligatore, Marco ed Alessia, gente che di musica ci capisce sul serio. Ma lo chiedo anche a tutti gli altri, che mi vogliono bene, che mi leggono con pazienza e simpatia.
Mettetevi una mano sulla coscienza e aiutatemi. Fatemi uscire dal tunnel. Consigliatemi qualcosa di più dignitoso d'ascoltare quest'estate. Qualcosa che mi faccia tornare sulla retta via. Che mi esalti. Che mi commuova. Che mi smuova l'anima. Che mi alleggerisca la testa e mi riempia il cuore. Che mi faccia agitare il sedere ed alzare le braccia. Che mi tarantoli i piedi ed elettrizzi i riccioli.
Niente di più, niente di meno.
Non l'avevate capito?
Vorrà dire che lo capirete ora.
Ora che dovrete finalmente aprire gli occhi e guardare coraggiosamente in faccia la realtà. Ora che non potrete più nascondervi dietro l'affetto che provate per me. Ora che è giunto il momento che anche voi sappiate, amici miei.
Che sappiate ciò che ho cercato di celare agli occhi di tutti, ciò che ho nascosto persino a me stessa. La mia gioia e la mia vergogna.
Ebbene sì.
Mi piace.
Mi piace tanto.
Non riesco più a farne a meno.
Mi esalta. Mi commuove. Mi smuove l'anima. Mi alleggerisce la testa e riempe il cuore. Mi fa agitare il sedere ed alzare le braccia. Mi tarantola i piedi ed elettrizza i riccioli.
Io, Jane Pancrazia Cole, quando ascolto l'ultima canzone di Jovanotti butto alle ortiche dignità e buon gusto e mi esalto come l'ultima delle romantiche quattordicenni sprovvedute.
Mi piace il ritmo, mi piace l'energia, mi piace l'idea "che attraversiamo il fuoco con un ghiacciolo in mano", mi piace persino la voce inadeguata e la zeppola dell'eterno Lorenzo.
Amici miei, vi chiedo aiuto.
Lo chiedo soprattutto a voi, Alligatore, Marco ed Alessia, gente che di musica ci capisce sul serio. Ma lo chiedo anche a tutti gli altri, che mi vogliono bene, che mi leggono con pazienza e simpatia.
Mettetevi una mano sulla coscienza e aiutatemi. Fatemi uscire dal tunnel. Consigliatemi qualcosa di più dignitoso d'ascoltare quest'estate. Qualcosa che mi faccia tornare sulla retta via. Che mi esalti. Che mi commuova. Che mi smuova l'anima. Che mi alleggerisca la testa e mi riempia il cuore. Che mi faccia agitare il sedere ed alzare le braccia. Che mi tarantoli i piedi ed elettrizzi i riccioli.
Niente di più, niente di meno.
Ariecchime, sono di nuovo qua.
Lo so cosa state pensando: "A questa le dai una mano e si prende tutto il braccio"
"Ha scoperto il fascino dei riflettori e ora non ce ne liberiamo più"
"Il prossimo anno, minimo minimo, ce la troviamo all'isola dei famosi, 'sta fanatica!"
E invece no!
Razza di carogne malfidate!
La mia presenza qua è giustificata. Giustificatissima.
E' vero che avrei potuto usare il mio spazietto, la mia cuccia, la mia bellissima colonna laterale ma questo è un argomento importante, non volevo vi sfuggisse e quindi ho scelto di invadere nuovamente il centro della scena.
Non temete non sarà un'abitudine: supereroe ed alter ego devono condurre, per definizione, vite separate ma in alcuni rari, rarissimi casi è giusto fare delle eccezioni.
Questo, ovviamente, è uno di quei casi: "L'emergenza sangue estiva."
Ecco la risposta alla domanda di Amanda.
"Delitto perfetto", dissero dallo schermo.
"Otro, por favor!" disse lei.
Alzò il bicchiere e brindò a se stessa.
Batman, smesse le orecchie a punta e tirata indietro la pancetta, diventa quel gran pezzo di Bruce Wayne. Fascinoso miliardario perennemente in smoking che, con la scusa delle pubbliche relazioni, organizza un party diverso ogni sera, costringendo l'anziano maggiordomo sottopagato a lavorare fino a tardi ramazzando da terra le briciole dei salatini e buttando nell'umido il caviale avanzato.
Superman, pettinato indietro il tirabaci e riposti nel comò gli immancabili mutandoni rossi di flanella, torna ad essere Clark Kent, giornalista imbranato e disperatamente invaghito dell'odiosa gallina che risponde al nome di Lois Lane. Un'ingrata che tratta lui come una pezza da piedi ma che, nel frattempo, sogna di essere selvaggiamente e ripetutamente posseduta dal supereroe in tutina blu. A dimostrare chiaramente che la gatta morta, oltre ad essere simpatica come la peste bubbonica, ha il Q.I. di un cocomero: si vede lontano un chilometro che quei due sono la stessa persona! Svegliaaaa!!!
Spiderman, sceso dai grattaceli e smesso di limonare duro e alla rovescia con la sciacquetta rossocrinita del suo cuore, prende la macchina fotografica e rimette i panni di Peter Parker, reporter freelance e professore di scienze precario. In pratica uno di noi, che se becca quello spocchioso brevilineo di Brunetta gli fa il culo a strisce!
Jane Pancrazia Cole, superblogger supergnocca dalla penna arguta e la vivace ironia, sfilato il costumino schiacciaciccia ed il mantello ricoperto di paillettes, assume in rete le anonime sembianze di Rossana R. Non una miliardaria in abito da sera. Non una giornalista. E neanche un fotografo d'assalto. Ma una semplice articolista che, invece di parlare delle proprie sfighe o del bolso fidanzato che non la vuole sposare, discetta di argomenti serissimi e persino utili.
D'ora in poi, per seguire le gesta della seriosa Rossana R. vi basterà dare un'occhiata alla colonna di destra.
Lui non disse una parola e lei riempì la valigia.
Lui la guardò con occhi vuoti e lei gli voltò le spalle.
Lui perse l'ultima goccia di sangue e lei chiuse la porta.
Lui la guardò con occhi vuoti e lei gli voltò le spalle.
Lui perse l'ultima goccia di sangue e lei chiuse la porta.
Qual è uno dei più grandi spauracchi di tutti i cuochi del mondo?
Non lo sapete?
Velo dico io: il soufflé!
Che sia dolce o salato l'infido piatto fa venire i sudori freddi a tutti coloro, professionisti o meno, che si apprestino a prepararlo.
Ed un romanzo è proprio come un soufflé: ci vogliono abilità, ingredienti di qualità e concentrazione.
Ottimi cuochi e penne felici. Uova fresche ed una trama ben sviluppata. Non aprire il forno fino a cottura avvenuta, non raffazzonare un finale poco convincente.
Non siete convinti? Volete un esempio? Zafòn, sempre lui. Il mio amato/odiato Zafòn.
Nella stesura del suo libro di maggior successo, "L'ombra del vento", l'autore catalano aveva preparato un piatto dal sapore delizioso e l'aspetto incantevole. Ma gli ingredienti alla fin fine non si erano rivelati freschi, le uova probabilmente non arrivavano dal contadino di fiducia ma dal discount sotto casa, ed il soufflé invece di essere leggero come una nuvola, una volta superata brillantemente la prova del palato, ti si riproponeva peggio di una peperonata.
Zafòn allora ci ha riprovato con "Il gioco dell'angelo", ci si è messo d'impegno, ha sudato e faticato, creando una trama avvincente, meno furba e più sofisticata del libro precedente. Uova fresche e tanto genuino amore per il proprio mestiere.
Tutto sembrava procedere alla perfezione, ad ogni pagina da lui scritta e da me letta mi esaltavo, "Bravo! Così si fa, si cresce, si migliora, ogni libro deve essere un'evoluzione del precedente", blateravo nel mio orgasmico delirio da lettrice felice.
Ma poi è successo il disastro, Carlos Ruiz ha aperto il forno prima che la cottura fosse ultimata ed il soufflé si è sgonfiato triste e misero peggio del pallone di un bimbo addentato da un barboncino isterico. Lo scrittore catalano ha pasticciato, ingarbugliato, realizzato un finale così povero d'idee valide da essere quasi imbarazzante.
Che delusione.
Cosa c'è peggio di un soufflé sgonfio? Una bella storia con una fine non all'altezza.
Non lo sapete?
Velo dico io: il soufflé!
Che sia dolce o salato l'infido piatto fa venire i sudori freddi a tutti coloro, professionisti o meno, che si apprestino a prepararlo.
Ed un romanzo è proprio come un soufflé: ci vogliono abilità, ingredienti di qualità e concentrazione.
Ottimi cuochi e penne felici. Uova fresche ed una trama ben sviluppata. Non aprire il forno fino a cottura avvenuta, non raffazzonare un finale poco convincente.
Non siete convinti? Volete un esempio? Zafòn, sempre lui. Il mio amato/odiato Zafòn.
Nella stesura del suo libro di maggior successo, "L'ombra del vento", l'autore catalano aveva preparato un piatto dal sapore delizioso e l'aspetto incantevole. Ma gli ingredienti alla fin fine non si erano rivelati freschi, le uova probabilmente non arrivavano dal contadino di fiducia ma dal discount sotto casa, ed il soufflé invece di essere leggero come una nuvola, una volta superata brillantemente la prova del palato, ti si riproponeva peggio di una peperonata.
Zafòn allora ci ha riprovato con "Il gioco dell'angelo", ci si è messo d'impegno, ha sudato e faticato, creando una trama avvincente, meno furba e più sofisticata del libro precedente. Uova fresche e tanto genuino amore per il proprio mestiere.
Tutto sembrava procedere alla perfezione, ad ogni pagina da lui scritta e da me letta mi esaltavo, "Bravo! Così si fa, si cresce, si migliora, ogni libro deve essere un'evoluzione del precedente", blateravo nel mio orgasmico delirio da lettrice felice.
Ma poi è successo il disastro, Carlos Ruiz ha aperto il forno prima che la cottura fosse ultimata ed il soufflé si è sgonfiato triste e misero peggio del pallone di un bimbo addentato da un barboncino isterico. Lo scrittore catalano ha pasticciato, ingarbugliato, realizzato un finale così povero d'idee valide da essere quasi imbarazzante.
Che delusione.
Cosa c'è peggio di un soufflé sgonfio? Una bella storia con una fine non all'altezza.
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