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Il breve ritorno in Italia in occasione delle feste natalizie rappresenta un importante spartiacque per lo studente Erasmus tipo. Seppur per pochi giorni, si torna a casa. Si torna da mamma e papà. Si torna a godere di tutti gli inutili e intossicanti comfort a cui si è dovuto e potuto facilmente rinunciare pochi mesi prima.

Io lasciai Berlino una fredda e grigia mattina, salutata dai miei internazionali amici con la passione e lo struggimento che si dovrebbe a un giovane soldato diretto al fronte. Partii con il cuore pieno di malinconia e lo zaino vuoto per poter fare incetta di generi di prima necessità: la mozzarella di bufala, il parmigiano reggiano, cd, libri e qualche top sexy. Il minimo indispensabile per rendere più confortevole la seconda parte della mia permanenza in terra germanica. Del resto era solo quello che importava.
I parenti mi aspettavano in Italia e non vedevano l'ora di riabbracciarmi ma io, in quanto studente Erasmus tipo, me ne fregavo altamente. Desideravo solo che i giorni italici volassero via in fretta per poter tornare alla mia estera esistenza.

Atterrata a Torino provai fastidio per tutto: colori, odori e rumori. L'accento torinese? Orribile! Gli abiti italiani? Tristi! Ed il profumo del Curry Wurst? Dov'era finito il profumo del Curry Wurst?
Appena le porte automatiche del gate si aprirono venni travolta dall'amorevole e stritolante abbraccio dei miei familiari. Io all'inizio reagii riottosa e infastidita da tanto latino e chiassoso amore ma, appena tornata a casa, mi abituai rapidamente al trattamento di riguardo che mi era riservato. Divano, televisione, patatine, il tutto condito dal lusso di non aver nulla di urgente di cui occuparmi. Un rientro nell'accogliente bozzolo dell'infanzia prolungata. Il benvenuto all'emigrante che torna a casa, alla figliola prodiga, alla ragazzotta che in Germania non mangia abbastanza, "guarda come ti sei fatta magra, ci pensa mamma tua adesso a te".

E' strano però, come pochi mesi lontani dalla mia patria, mi facessero sentire un'aliena. Ero partita a settembre e a dicembre amici e parenti mi sembravano estranei e vagamente fuori di testa. MammaCole su tutti.
"Cristina ha fatto questo", diceva, "Cristina ha fatto quest'altro. Cristina è tanto brava."
Tutto ciò mentre io allibita mi chiedevo chi cacchio fosse questa Cristina. Pur avendo una famiglia numerosa, anche indagando fino alla terza generazione di cugini, a me di "Cristina" non ne risultava neanche una.
"Scusa, madre cara, non per essere indiscreta, ma sta Cristina chi cazz è?"
"Come non lo sai? Dove hai vissuto finora? E' una delle concorrenti del Grande Fratello!"
Avevo lasciato una nazione più o meno sana e, al mio ritorno, mi trovai in mezzo ad un branco di teledipendenti completamente folli.
Persino l'alternativa AmicaMeri sentì il bisogno di avvertirmi: "Guarda che qua sono diventati tutti pazzi. L'unico modo per sopravvivere è lasciarsi assimilare. Ormai esiste un solo argomento di conversazione: il Grande Fratello. Pure se non lo guardi ne devi conoscere le dinamiche, altrimenti sei destinato alla solitudine e all'isolamento sociale."
"Come quando in prima superiore eri un Paria se non guardavi Beverly Hills 90210?"
"Peggio. Molto peggio."

Ma io mi sentivo troppo internazionale e cool per occuparmi di tali facezie. L'inizio della fine del mio paese come l'avevo conosciuto fino ad allora non era più importante della mia nuova pettinatura da tedesca, del mio nuovo appartamento a Prenzlauerberg, e dei messaggi dei miei nuovi amici Erasmi che, ritornati in patria anch'essi, ululavano alla luna in attesa del ritorno all'amata Berlino.

Passai il Natale a scofanarmi panettoni e cannoli siciliani, e ad imboscarmi in valigia pandori da esportare oltre confine. Poi mi preparai per il capodanno: una notte di divertimento tra i monti piemontesi insieme a una ventina di cari vecchi amici. O almeno così credevo.

Continua...

N.d.A: questo post era nato per raccontarvi del mio Capodanno durante l'Erasmus ma l'introduzione mi ha un po' preso la mano e così, per il tanto atteso San Silvestro del 2001, dovrete ancora avere pazienza.
No, non l'ho mica fatto perché sono sadica. O forse sì?

N.d.A(2): nel frattempo sappiate che su SettePerUno è stata pubblicata la seconda parte del mio racconto "151°". L'avete letta? Che state aspettando?
Gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà.
Sciascia, ne "Il giorno della civetta", divideva impietosamente l'umanità in cinque categorie.


Che vergogna.
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Cari miei amati lettori, voi parlate inglese? E se sì, come l'avete imparato?
Io a scuola. Anni e anni di studio, prima alle medie e poi alle superiori. Otto lunghissimi anni: pure un pezzo di granito alla fine, per sfinimento, avrebbe iniziato a capire la lingua dell'odiata Albione.
In realtà non è che i primi tre anni contino veramente. Le mie professoresse delle medie parlavano inglese come io parlo sanscrito. E no, io ovviamente non parlo sanscrito. In quegli anni non mi insegnarono niente di lontanamente utile, a parte il celeberrimo "the cat is on the table", ma non avendo io un felino, anche quello non mi fu di particolare utilità.
Poi il primo giorno delle superiori venni travolta da un vero e proprio shock culturale: la mia italo-britannica professoressa pretendeva che in aula noi parlassimo solo inglese, senza eccezione alcuna. Io, per paura di dire scemenze, passai i primi mesi in rigoroso silenzio. Non aprì mai bocca, neanche per chiedere di andare in bagno. Il mio inglese non migliorò ma la mia vescica si dimostrò dotata di eccezionali capacità contenitive.
La professoressa, convinta che io fossi afflitta da una gravissima forma di timidezza, cercò di farmi sbloccare nominandomi lettrice ufficiale della classe. E, a sorpresa, si innamorò della mia spontanea pronuncia British. A quanto pare avevo un rarissimo talento naturale: leggevo fluentemente e con convinzione frasi di cui non capivo neanche lontanamente il significato.
Ma la svolta definitiva si verificò gli ultimi tre anni di liceo, quando arrivò una nuova insegnante che adorava farci recitare, provare scenette, simulare talk show in lingua. Tutti imparammo divertendoci. Ed io raggiunsi il mio personale apice quando, in tuta mimetica, mi esibì in una interpretazione post moderna del perfidissimo Iago. Fu uno spettacolo memorabile, venne giù il teatrino dagli applausi. Se ci fosse stato Kenneth Branagh gli sarebbe venuto uno stravaso di bile dall'invidia!
C'è poco da fare, divertendosi si impara meglio e più in fretta tutto, a maggior ragione le lingue straniere che in questo modo appaiono finalmente vive ed utili.
Questo è il principio su cui si basa il corso d'inglese "Speak now! For work".
20 dvd e 20 libri allegati a Repubblica e l'Espresso. 20 uscite per imparare l'inglese e nello specifico per imparare l'inglese utile sul lavoro. Qualsiasi lavoro, dal barista a Londra al manager a New York. Un'opera di John Peter Sloan, personaggio mitologico mezzo cabarettista e mezzo insegnante, che vuole diffondere il britannico idioma attraverso l'umorismo e la comicità. E credo proprio che l'impresa potrebbe riuscirgli.
Io personalmente, durante i miei lunghi anni di cameriera part time ho ricevuto le migliori mance proprio dagli stranieri, felici che riuscissi a capirli al volo e ad essere loro d'aiuto. L'unica eccezione fu rappresentata da una coppia di italiani che mi diede ben 50.000 lire. Però, in quel caso, per ottenere un così ricco compenso dovetti farmi mordere dal loro alano. Molto meglio imparare l'inglese.
E voi, miei poliglotti lettori, come state messi con la lingua del Bardo?


"speak now"
Non avrei potuto desiderare un compleanno migliore. Oggi, appena sveglia, ho ricevuto la notizia della felice conclusione della vicenda di Hambtamu. Ritrovato sano e salvo alla stazione di Napoli.
Un bellissimo tredicenne imbarcatosi in un'avventura più grande di lui che, per fortuna, è stato rintracciato e riportato dalla propria famiglia.

Caro Hambtamu,

ti parlo come parlerei a mio nipote.
Ti parlo come forse un giorno, quando sarà anche lui un piccolo uomo, dovrò parlargli sul serio.

La tua confusione è figlia della tua età e della tua storia. Il tuo desiderio è legittimo e comprensibile. Ma non sottovalutare mai più chi ti ama come ti ama la tua famiglia.
Non conosco i tuoi genitori ma conosco la loro storia. Conosco la tua storia. Conosco la nostra storia. Ed è per questo che sono certa che la tua mamma ed il tuo papà sono pronti ad ascoltarti, appoggiarti ed accompagnarti lungo il tuo viaggio.

Non aver paura di chiedere aiuto, chi ti ama è in grado di sorprenderti.

Con affetto,
la tua amica Pancrazia
Conoscete SettePerUno? Un blog, un sito, "uno spazio in cui far convergere la creatività pescata dentro e fuori il web".
Ogni mese viene data voce a sette autori diversi. Uno per ogni giorno della settimana.

Poco prima di Natale mi è stato proposto di scrivere un racconto in quattro parti. Io, per darmi un tono, ho finto di controllare nella mia agenda fitta d'impegni mentre in realtà, lusingata e incredula, ballavo nuda per casa. E probabilmente sarà per questo che ora sono raffreddatissima, con la voce da zombie e il piglio di un bradipo in agonia. Ma chissenefrega: ne è valsa la pena!

Per tutto gennaio il venerdì sarà il mio giorno.
Oggi inizia la storia di Pedro e Aninha. "151°".
Buona lettura.
Io amo il Natale ma detesto il Capodanno.

Il motivo principale che mi fa odiare san Silvestro risiede nella realtà dei fatti. Io ho collezionato una serie di veglioni fallimentari che neanche Fantozzi!
Io sto al Capodanno come il ragionier Ugo sta alle partite di calcio della Nazionale. Ogni volta succede qualcosa che trasforma una bella serata in una tragica commedia o in una comica tragedia, dipende dai punti di vista.

E' impossibile stilare una classifica dei 31 dicembre peggiori della mia vita ma, per il vostro diletto, vi farò qualche esempio sufficientemente esplicativo.

Il pensiero corre direttamente a molti anni or sono, in occasione del primo capodanno con G., il mio grande amore di gioventù. Avevo solo diciotto anni e quella sera, io e l'amore mio, volevamo approfittare della rimozione momentanea del coprifuoco per passare ore ed ore a farci tenere ed appassionate coccole. (Avete notato la scelta delicata del linguaggio? Avrei potuto dire scopare come due giovani e insaziabili ricci in calore, ma sono troppo Signora per sì triviali espressioni). Purtroppo il 30 mi venne l'influenza con annesso febbrone da cavallo. Contro i consigli di mammaCole, decisi di uscire comunque e m'imbottì di paracetamolo.
Ma purtroppo si sa: la mamma ha sempre ragione. L'effetto dei farmaci svanì poco dopo la mezzanotte. Ed io, peggio di Cenerentola, mi trasformai da sexy principessa in sorellastra febbricitante, malmostosa e moccolosa.
Il mio devoto amore trascorse le prime ore dell'anno nuovo a vegliare una diciottenne che bruciava, ma non certo di passione! La nostra relazione non arrivò al capodanno successivo. Del resto fu un miracolo che giunse all'epifania.

Il premio di 31 dicembre più patetico lo vince a mani basse quello che trascorsi con 4 amici. Due coppie. Una roba triste ma triste ma triste. Triste.
Mentre io assistevo al loro scambio di vari ed eventuali liquidi organici, il mio fidanzato di allora stava in montagna coi suoi amici. Perché? "Noi siamo una coppia moderna mica di quelle che devono per forza stare sempre appiccicate", mi disse.
Ovviamente (chevelodicoafare?) noi non eravamo una coppia moderna ma solo una coppia molto affollata. Cornuta e mazziata.

E come non parlare del magico capodanno del 2000? Quello che pensavo essere l'amore della mia vita mi aveva lasciato a Novembre, e io passai la notte fatidica cercando di uccidermi d'alcol. L'apice dell'abbrutimento lo raggiunsi quando di nascosto dalle mie amiche, che altrimenti me lo avrebbero impedito, corsi a telefonare al mio ex per fargli gli auguri e dirgli che, nonostante tutto, "gli volevo bene e sarebbe sempre stato molto importante per me". Incommentabile.

Infine c'è l'indimenticabile e indimenticato capodanno durante il mio Erasmus. Dovrei proprio parlarvene. Ma ora no. Nel prossimo post.
Ogni dicembre è la solita storia. Anzi, ogni anno che passa è un poco peggio. Incontro sempre più persone che, per un motivo o per un altro, dicono di odiare il Natale.
Chi lo odia per partito preso, chi per ragioni condivisibili e chi, ne ho il forte sospetto, solo perché è un modo come un altro per darsi un tono.

A me invece il Natale piace e, una volta per tutte, vorrei spiegarvi il perché.

Il mio Natale è la festa dei nonni che non ci sono più, ma è come se ci fossero ancora. Natale è il pigiamone di flanella e la colazione del 25 sentendosi perennemente una bimba. Natale sono i pacchi da aprire il 24 a mezzanotte perché noi terroni usiamo così, e quasi 50 anni di vita in Piemonte non hanno minimamente scalfito questa atavica abitudine.

Il mio Natale è la famiglia enorme, divertente e caciarona. Natale è la zia che mi conosce da quando andavo in giro col pannolino, e quindi pensa di avere il diritto di farsi i fatti miei. E forse, a pensarci, non ha tutti i torti. Natale sono gli auguri con le amiche più care, passa il tempo, cambiano le situazioni, ma a noi basta ancora un solo sguardo per capirci al volo.

Natale è soprattutto la festa della ludoteca. I bambini prendono una stellina di creta a testa, PrincipeV si fa strada tra tutti gli adulti e corre da sorellaCole con uno slancio che neanche il più devoto degli innamorati "Per te mamma. Fatta io!", dichiara appassionato.
E a me sembra di poter morire in quell'istante. Morire felice di fronte alla scena più bella che abbia mai visto. Morire di troppo amore.

Questo è il mio Natale.
Se foste al mio posto piacerebbe anche a voi.
Ormai siamo agli sgoccioli di questo 2011 e in rete, in televisione e sulla carta stampata fioccano le classifiche di tutto l'anno. Il miglior film, il miglior libro, la migliore canzone. E se non si parla di classifiche si parla di buoni propositi. Saremo tutti più buoni, più bravi e persino più belli. Insomma quest'anno non è ancora finito e io già non ne posso più. E allora sapete cosa ho deciso di fare? Salto l'ostacolo a piè pari e mi proietto direttamente nel 2012.
Indosso un bel foulard colorato sopra i folti ricci, brucio incenso, accendo candele e per voi, solo per voi, tiro fuori la mia impolverata sfera di cristallo. Et voilà! In un secondo mi trasformo in "Madame Pancrazià la blogger che tutto sa" e vi svelo cosa ci attende nei prossimi 365 giorni.
Nel 2012 vedo, vedo, vedo...vedo le Olimpiadi di Londra. Troppo facile? Ok, mi concentro di più.
Vedo, vedo, vedo...vedo tante cinghie tirate. Ok, avete ragione, oggettivamente pure questa non è un granché come previsione.
Abbiate pazienza, datemi una terza opportunità. Nel prossimo anno vedo, vedo, vedo... l'Enel Blogger Award 2012. Questo non lo sapevate, eh? So' maga!

Il concorso è aperto a tutti i blogger che si occupano di ambiente, finanza, attualità e lifestyle. Ci si può autocandidare, l'importante è che il vostro sito risponda a pochi requisiti fondamentali: deve essere attivo da almeno sei mesi, aggiornato almeno una volta a settimana e non essere multiautore.
Se siete interessanti recatevi sul sito ufficiale della competizione, registratevi, scegliete la categoria di appartenenza ed indicate il vostro post più bello e rappresentativo. Avete tempo fino al 17 gennaio. E da quel momento in poi pubblico, lettori, navigatori esperti della blogosfera potranno votare i propri blog preferiti fino al 13 marzo.
I primi classificati per ogni categoria si porteranno a casa, oltre ad un ego smisurato, anche un iPad 3G. E, come se non bastasse, verranno premiati durante una super glamour cerimonia nell’auditorium Enel. Mica pizza e fichi!
Dato che, ahimè, per ragioni di opportunità e correttezza non mi posso autocandidare. (Altrimenti non ce ne sarebbe più per nessuno). Vi faccio un poco di nomi di coloro che, secondo me, meriterebbero un'occasione e una vostra lettura. Non vorremo mica che vincano sempre i soliti noti? Io punto su: Machedavvero, Nonsolomamma, Il Rockpoeta, Sabrina Ancarola, Letteredalucca, A Casa Di Simo, Il diario delle Derelitte, Mammamsterdam, Inchiostro Indelebile, e Taccodieci. E voi?




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