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Luca pedala sulla sua bicicletta.
Veloce, sempre più veloce, mentre il paesaggio gli corre accanto. La casa di Stefano a destra, quella di Paolo sulla sinistra. Il giardinetto dei drogati, "Ehi tu, dove scappi? C'hai fretta?" "Lasciatelo in pace è solo un bambino" "Stai zitta! Dove hai messo il fuoco?"

La discarica sulla sinistra ed il cimitero delle auto sulla destra.
Le case popolari colorate. Azzurra, rosa, verde acqua, azzurra, rosa, verde acqua. "Chissà che effetto fa affacciarsi su un mondo che sembra fatto di cicche?", si chiede Luca mentre pedala, pedala, pedala.

Pedala con i polmoni che gli scoppiano ed il fianco che gli brucia. Il sinistro. La milza o il fegato? Non se lo ricorda mai. Fa sempre confusione. Se ti fa male la milza è normale. Il fegato, vuol dire che sei malato. Così gli ha spiegato la mamma. Luca non ha tempo di essere malato. Ha un appuntamento.

Finalmente la vede al fondo della strada. Giovannina è là, con la sua faccia tonda, i codini storti, gli occhiali spessi come il fondo delle bottiglie di birra del babbo, ed un sorriso tutto di metallo come quello dei robot dei cartoni.

"Ciao Giovannina!"
"Era ora, sono dieci minuti che t'aspetto."
"Ho avuto da fare. Lo sai"
"Lo so"
Giovannina lo sa. Giovannina conosce Luca dall'asilo e lo sa.
Lo sa che Ignazio Caronte, il babbo di Luca, è un ubriacone da competizione, un alcolizzato olimpionico, un cirrotico per vocazione. Quando non è svenuto sul divano, è incazzato con il mondo. In particolare con la moglie e il figlio, colpevoli di tutto: dallo scoppio della seconda guerra mondiale alla sconfitta del Milan, dalla fame nel mondo alla fine delle birre nel frigo.

Oggi ha urlato e sbavato, con gli occhi di fuori e le vene gonfie. Ha urlato perché gli erano finite le sigarette e Luca è dovuto restare nel suo angolo, senza far rumore, aspettando buono buono.
"Vammi a comprare uno stecca", gli ha detto alla fine il babbo, facendolo volare sul pianerottolo con un perfetto calcio di piatto destro.

Ignazio Caronte da giovane era mediano nella Pro Vercelli ma poi, con una caduta dal motorino, gli saltarono legamenti, sogni di gloria e pure l'appuntamento con Margherita. La figlia del farmacista con la quarta di reggiseno e la bocca a cuore.
Ora Margherita è sposata con un avvocato e Ignazio è sposato con Ginetta, che porta "la retro" e ha le labbra sottili sempre all'ingiù.

Luca ha comprato le sigarette. Le ha portate a casa. E' saltato sul sellino ed è volato via. "Dove corri cretino?" "E lascialo in pace" "Sta sempre in giro quel vagabondo coi piedi scarsi" "Fuma e non rompere!"

Luca ha ancora il fiatone quando chiede a Giovannina: "L'hai letto?"
"Sì", sorride lei, arrossendo dalla fibbia dei sandali alla punta dei codini.
"E che ne pensi? Ci stai?"
Giovannina tira fuori dalla tasca un pezzo di carta appollottolato, lo liscia bene con le mani cicciotte e poi lo passa a Luca.
Lui lo guarda. E' lo stesso biglietto che le ha lanciato di nascosto durante l'ora di geografia. E' lo stesso ma Giovannina in fondo al foglio, con l'inchiostro rosa della biro, ha aggiunto un piccolo "sì".

Luca si sente tutto scombussolato. E non è neanche tanto sicuro del perché. Ma ormai non importa. Lei si avvicina, "Posso?", chiede con un filo di voce. Lui annuisce e chiude gli occhi. Giovannina si mette in punta di piedi e gli stampa un bacio umido e appassionato. Un bacio che sa di patatine al formaggio.
Dopo un secondo Luca riapre gli occhi. Lei si stacca e, mantenendo la promessa, gli regala "Scarafoni Lorenzo, classe 1965, attaccante dell'Ascoli" e scappa via ridendo.

Lui è felice. Ha finalmente completato l'album.
E poi gli sono sempre piaciute le patatine al formaggio.
E a me viene un poco da piangere.
E lo so che le disgrazie nella vita sono altre.
E sì, so anche che il mondo è pieno di problemi ben più importanti.

Oggi è il primo d'aprile. Magari è solo uno scherzo.
La borsa sul letto. La custodia del netbook per terra. Gli stivali vicino alla cassettiera. Una vecchia agenda sul comodino. Due computer sulla microscrivania. Mille vestiti accatastati sulla sedia. La valigia ancora in attesa di essere disfatta.

Non sono disordinata. Sono creativa.
Non riesco più a commentare i vostri blog marchiati Wordpress.
Perché? Non ne ho la più pallida idea. Ma non credo dipenda dalla mia inettitudine, dato che la difficoltà è stata riscontrata da altri e in entrambi i sensi. In pratica, noi di Blogger non riusciamo a commentare su Wordpress e viceversa.
La cosa mi sta innervosendo alquanto. L'incomunicabilità fra piattaforme mi rende frustrata e triste. Vedo i miei amici al di là del fiume ma non riesco a raggiungerli.
Qualcuno mi aiuti!

Per suggerimenti, soluzioni o espressioni di solidarietà: commentate!
Nel caso vi riesca, ovviamente.
Già lo sapete. L'ho detto più di una volta. Quando in rete trovo qualche progetto, forma di creatività, tentativo di originalità, io mi emoziono e sento l'incontenibile desiderio di comunicarlo al mondo. O, quantomeno, a quel piccolo spicchio di mondo che mi legge.

Oggi voglio segnalarvi Silvia Storelli, filmmaker, vlogger e storyteller, che ha ideato e prodotto #twitscript n°1. Mix di poesia, socialmedia e video.

Il percorso seguito è stato il seguente: Silvia si è ispirata a "Contributo alla statistica", poesia dell'indimenticabile e indimenticata Wislawa Szymborska.

Su cento persone:
che ne sanno sempre più degli altri
- cinquantadue;

insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;

pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
- ben quarantanove;

buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
- quattro, be’, forse cinque;

propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;

viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;

dotati per la felicità,
- al massimo poco più di venti;

innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro più della metà;

crudeli,
se costretti dalle circostanze
- è meglio non saperlo
neppure approssimativamente;

quelli col senno di poi
- non molti di più
di quelli col senno di prima;

che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;

ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatré
prima o poi;

degni di compassione
- novantanove;

mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.

Poi sono entrati in gioco gli "abitanti" di twitter a cui è stato affidato il compito di prendere il testimone e continuare l'elenco. Partendo dalla frase "Su cento persone...", sono stati scritti molti tweet che gli stessi autori hanno letto e registrato.
Silvia ha raccolto tutte queste voci, tutti questi pensieri, e li ha uniti ad immagini da lei stessa riprese.

Ne è nato un piccolo video, dove le parole mute della rete hanno finalmente acquistato respiro, inflessione, pronuncia e corpo.
Un lavoro decisamente interessante che spero verrà riproposto anche in futuro.

"Sono proprio contenta dei miei capelli. Non trovi anche tu che oggi mi stiano benissimo?"
"Beh, insomma."
"Ciccio, vorrei ricordarti che ho in ostaggio il tuo maglione di cashemere. Potrei lavarlo a mano con amorevole cura o metterlo, per sbaglio, in lavatrice a 90°."
"Benissimo, Pancraziuccia del mio cuore, i capelli ti stanno benissimo!"
Ricordo ancora il giorno in cui la mia amica, nonché ex collega, Erika mi confidò: "Io non stiro niente. Io a casa non ho neanche il ferro."
Io la guardai e, con tutto l'affetto che provavo e provo tuttora per lei, riuscì solo a pensare: "Si vede, tesoro mio, si vede."

Ora, a distanza di qualche anno, con il lavoro che, per fortuna, si è raddoppiato. Con i nuovi progetti realizzati, da realizzare e ancora da pensare. Con la casa che ha una vita propria e una preoccupante tendenza al caos. Con il raffreddore e la sinusite che si abbattono su di me ogni tre settimane. Con le ore del giorno che, inspiegabilmente, continuano ad essere solo 24.

Ora, dicevo, le risponderei: "Tu hai capito tutto della vita!"

Ci vorrà del tempo, ma un giorno ce la farò.
Un giorno riuscirò a liberarmi da questa pesante eredità materna.
Un giorno smetterò di farmi ossessionare dalle cose da fare, e di non godere per quelle fatte.
Un giorno imparerò a gestire il mio tempo pensando a ciò che è bene per me, e non a ciò che è giusto secondo gli altri.

Mi siete tutti testimoni: un giorno non mi stirerò più le mutande!
Noto astrologo di colori pastello vestito:
"Avrai una settimana meravigliosa e una giornata fantastica. Ottime opportunità di lavoro. Grandi soddisfazioni. Gioia, giubilo e fuochi d'artificio!"

30 secondi dopo via email:
"Cara Pancrazia dei nostri cuori,
tu sei una delle nostre migliori collaboratrici: sei tanto caruccia, simpatica e ti vogliamo sinceramente bene.

Però quel lavoro per cui ti eri proposta l'abbiamo affidato ad un altro. Ma anche tu sei brava. E ti vogliamo bene. Non te la prendere. Sarà per la prossima volta.

Con smisurato affetto.
Ciao ciao"

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