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One at a time

He walks briskly between tracks and shops.
Small steps under arches and down corridors.
Under arches and down corridors.

He wanders stealthily between suitcases and travelers.
Looking right and then left.
Right and then left.

He slips unseen from one floor to another.
He seeks the victim and finds the prey.
"Do you want it? It's ripe. One euro"

He sells corn on the cob.
At the station.
One at a time.


End.

Eccolo qua il mio secondo "anglo-parto".
Continuo il percorso, il viaggio, la sperimentazione con la lingua del bardo.
Cammino lungo questa strada fatta di ritmo, struttura e suono. 

"One at a time" è nato in italiano ma è stato parallelamente modellato anche in inglese, con diversi passaggi e correzioni dall'una all'altra versione. (Sì, tutto questo lavoro per poche righe) Infine è intervenuta la penna rossa della mitica Renée, l'amicaammmericana, che mi supporta, sopporta e sgrida come neanche una maestrina incazzosa:
"Sì, Pancrazia, il soggetto lo devi sempre mettere in inglese, non lo puoi sottintendere. Altrimenti sembri un'ignorante sgrammaticata"
"Ma mi spezza il ritmo! Oh Cielo, questa lingua infelice tarpa le ali della mia creatività!"
"Aoh, fly down, Sciecspir dei miei boots!"

Direi che il prossimo passo, la prossima sfida, sarà scrivere direttamente in inglese.
Ci sto decisamente prendendo gusto!

ps: la versione italiana la potete trovare su Humans Torino (Avete messo il like a Humans Torino? Non avete ancora messo il like a Humans Torino? Cosa aspettate a mettere il like a Humans Torino?!?! Mettete il like a Humans Torino!)
Questo sabato sera è un sabato sera straordinario.
Prima di tutto, contrariamente ad ogni sabato sera che si rispetti, ha l'ardire di cominciare di pomeriggio. Sfacciato!

Alle 17 mi dipingo le unghie di rosso assassino, domo o almeno ci provo i ricci, infilo tutto il necessario in una borsa di tela, e mi precipito in centro. A fare che? In realtà non ve lo posso dire per ora, lo saprete a tempo debito, sappiate solo che esco di casa conciata come una poveraccia ma che, un'ora dopo, sono mimetizzata da gnocca. Strataccata, intubinata (inserita in un tubino nero), e truccata da figa (scusate il francesismo), che un miracolo così manco dopo una gita a Lourdes.

Alle 19 faccio orgogliosamente parte di uno stuolo di donne, la cui età varia dai 4 mesi ai nonvelodiconeanchesottotortura (ma portati benissimo) anni, che si dirige con passo sicuro verso il Café des Arts, locale dove avrà luogo la seconda data di Palco Oscenico. La rassegna teatrale che va dal cabaret alla musica, dalla sperimentazione all'improvvisazione. Questa sera è il turno dei DettoFatto, compagnia d'improvvisatori teatrali dotati di talento e Gorilla. (Eccoli su Humans Torino)

Le due ore che vanno dalle 19 alle 21 le trascorro bevendo vino rosso, razziando il buffet, chiacchierando e importunando gli artisti che costringo ad immortalarsi in un selfie.  Loro mi accontentano. E, del resto, perché non dovrebbero? Sono belli, quasi tutti, e possono contare tra le proprie fila nientepopodimeno che Delia Dimasi. Ella, oltre ad essere una delle migliori improvvisatrici di Torino, vanta anche il titolo di Regina dei Selfie. Non ho mai, ripeto mai, visto una sua foto in cui sia venuta male. Se tenesse dei corsi al riguardo io li frequenterei. Probabilmente verrei bocciata o sbattuta fuori dalla classe per manifesta incapacità e patologica antifotogenia, ma comunque m'iscriverei colma di fiducia e speranza.

Il gorilla c'è ma non si vede
La platea rimane desolatamente vuota fino a 5 minuti dall'inizio dello show. Poi, com'è nella tradizione dei sabato sera straordinari, i posti vengono occupati e la sala si riempie. Tra chi è seduto e chi resta in piedi non c'è più spazio per nessuno. Lo spettacolo può iniziare.

I DettoFatto presentano Gorilla Theatre TM, un format che si dipana grazie alle indicazioni del pubblico e a quelle degli attori che, uno alla volta, vestono i panni dei registi. 

Lo spettacolo standard prevede un regista, una storia, una votazione popolare, risate, un regista, una storia, una votazione popolare, grasse risate, un regista, una storia, una votazione popolare, grassissime risate, fino all'elezione del vincitore della competizione. Vincitore che avrà l'onore di portarsi a casa un gorilla. Un gorilla vero! O quasi.

La serata nello specifico vanta un primate "opponibile" ed accaldato che sverna in cortile, un DucaConte, due servi anglo-pugliesi, un UomodeiSogni e uno DegliIncubi, una mucca valdostana sedotta e abbandonata, una ragazza iberica appassionata dalle mani irresistibili (ben due, tra l'altro!), una Rossella O'Hara che, se non la si vede, non la si può spiegare. E pure una microdonna di 4 mesi che assiste al tutto composta e pacifica come un monaco buddista. La piccola non fa parte del format ma aggiunge dello stupefacente al sabato sera già straordinario.


I DettoFatto sono degli incredibili intrattenitori. L'ora di spettacolo vola via nel divertimento generale. Il pubblico è entusiasta, gli artisti sono contenti, l'organizzazione è soddisfatta. La blogger, e che ve lo dico a fa'?

Ma ormai si è fatta una certa. La gnocchitudine ha una sua scadenza. I tacchi slanceranno la figura ma dopo un po' anche basta. Lo straordinario deve tornare ordinario.

Buona notte a tutti!
Ci si legge al prossimo imperdibile appuntamento di Palco Oscenico.
A presto!
Perché proprio oggi?
Potrei trovare mille spiegazioni ma, in realtà, il vero motivo non lo so.

Perché prima o poi doveva accadere e lei, forse, ne sarebbe persino contenta.
Perché l'altro giorno ho letto di un festival e ho pensato "bello, glielo devo dire, potremmo andarci assieme". Ho pensato prima di ricordarmi che assieme, lei ed io, non potremmo più andare da nessuna parte. Almeno non ora, almeno non qui.
Perché stanotte, come altre notti, l'ho sognata. E nei miei sogni so perfettamente che lei non c'è più. E anche lei lo sa. Ma vogliamo rubare ancora un po' di tempo, ancora un pomeriggio, ancora un giorno. Facciamo passeggiate, visitiamo mostre. Stanotte lei mi salutava in fretta e poi correva alle sue prove di balletto. Lei, a cui la danza classica non è mai neanche piaciuta.
Perché stamattina mi sono svegliata e ho scritto ad una sconosciuta che sta dall'altra parte del mondo. Una donna che combatte e ha combattuto. Come lei non ha potuto. Come lei non ha voluto. Ho scritto e ho pianto. Come se fosse successo ieri e invece sono già sette mesi.
Perché sono ancora arrabbiata con me stessa, perché non le sono stata accanto come avrei dovuto. Con lei perché non ha lottato e non c'ha neanche provato. Perché abbiamo avuto paura tutte e due. Perché la malattia fa paura. Tanto e ancora di più quando hai 37 anni e, in fondo infondo, te ne senti anche molti di meno.
Perché il tempo passa, ma io ancora ogni tanto sbrocco. E la gente si chiede cos'abbia. E quasi nessuno capisce, perché quando parlo di lei lo faccio sempre con poche parole asciutte, dette in fretta e a voce alta. Come se non m'importasse. Come se fosse tutto superato. E invece questo è solo l'unico modo che conosco per tenere su i pezzi, almeno di fronte agli altri, almeno un po'. Perché preferisco passare per stronza piuttosto che frignona. E lei questo l'avrebbe capito.
Perché il dolore non va esibito. Neanche su un blog. Ma ho pensato che per una volta lo potevo pure fare. Buttare tutto fuori, in un solo colpo. Scrivere di lei e scrivere a lei.
Perché mi manca e mi mancherà. Perché 23 anni di amicizia sono tanti e non li cancella nulla. Perché lei c'era sempre e ora non c'è più. E non le posso raccontare quello che faccio. Né le stronzate, né le cose belle. E lo so che si dice che "lei ti guarda ancora" ma non me ne frega un cazzo di lei che mi guarda ancora. Vorrei andarci al bar a chiacchierare. Vorrei raccontarle di quello che faccio, delle persone che conosco o del tipo che frequento. Le piacerebbe ascoltarmi e si farebbe grasse risate. "Tu non puoi avere una vita regolare, tu devi scrivere!" mi direbbe e avrebbe ragione.
Lei che fu la prima a regalarmi un block notes e una penna. Lei che in me ci ha sempre creduto più di me stessa. Lei con cui ho fatto le peggio cazzate della vita mia.  Ma sono rimasta solo io a ricordarle, e quando non ci sarò più io, non ci sarà più nulla. 
Lei che ora sta al Campo Nord, che è un posto di merda come ce ne sono pochi al mondo. Lei che ha una mamma piccola piccola che quando mi vede dice "quanto le assomigli", noi che non ci siamo assomigliate mai. Lei che ha un uomo che cerca di andare avanti, ed è l'unico rimasto al mondo a chiamarmi ancora con quel nomignolo stupido, perché lo usava lei, perché gliel'ha insegnato lei. Lei che ha anche me. Perché i verbi al passato mi fanno schifo. E ogni tanto sono felice, ogni tanto sono arrabbiata, ogni tanto sono sola. E ogni tanto sbrocco. E me ne fotto del pudore. Persino sul blog.
A seguire la cronaca di un sabato appena trascorso.

Ore 19.00
Punto verso il centro con l'auto. Ho lo stomaco vuoto e sono di corsa.

Ore 19:20
Mi telefona IlSocio. Stasera, oltre che con Radio Cole, siamo in ballo con Humans-Torino.
"Tra dieci minuti arrivo" mi dice.
"Perfetto"
"Sono zoppo"
"Cosa?"
"Agility"
"Ah"

IlSocio ha da poco ripreso a fare agility col proprio cane.
La bestiola va come una scheggia.
L'umano arranca.
Pare che il quadrupede stia meditando di abbandonare il bipede ad un autogrill. Difficile dargli torto.

Ore 19:30
Comincia la ricerca del parcheggio.

Ore 19:35
Si conclude la ricerca del parcheggio.
Lascio la macchina lontano dal locale, ma non tanto lontano come altre volte, ad una distanza quasi dignitosa.
Mi commuovo.

Ore 19:45
Arrivo al Cafè des Arts, in via Principe Amedeo 33/f.
IlSocio è già davanti all'ingresso. La sua auto pure. Lo odio!
Accarezzo l'idea di acciaccargli pure l'altra gamba. Ma mi serve vivo e anche deambulante. Quindi desisto.

Ore 20:00
Incontriamo, abbracciamo, sbaciucchiamo, e intervistiamo Cecilia D'Amico, l'attrice romana vincitrice della scorsa edizione di Facce da Palco, tornata sotto la Mole per aprire in bellezza la stagione di Palco Oscenico.

Io domando, IlSocio fotografa, la comica si dimostra disponibile e con la chiacchiera caricata a pallettoni. Perfetto. Il risultato finale mi piace assai.
Le foto e le parole dell'incontro potete trovarle qui.
(Avete messo il like a Humans Torino? Non avete ancora messo il like a Humans Torino? Cosa aspettate a mettere il like a Humans Torino?!?! Mettete il like a Humans Torino!)

Ore 20:30
Mi avvento sul buffet dell'aperitivo con la voracità di un lupo della steppa siberiana.
Bevo vino rosso, mastico pizzette, ingoio bruschette, spalmo salsine e sgranocchio grissini.
Il barista mi osserva basito e leggermente spaventato.
Io lo ignoro. Ho fame.

Ore 21:20
Occupo, orgogliosa sbruffona e satolla, il posto che mi è stato tenuto da parte dall'organizzazione.


Ore 21:30
Musica introduttiva.
Cecilia sale sul palco.
Comincia lo spettacolo.


Cecilia D'Amico veste i panni di quattro diversi personaggi.
Tre donne e un ragazzo, tutti alle prese con le difficoltà di relazione, amorose o umane che siano. Il tutto fatto con un'ironia travolgente e una notevole presenza scenica.

Impossibile non riconoscersi in una o più delle maschere rappresentate.
Io, personalmente, adoro Mara. Esasperata, disperata, indomabile, travolgente, sarcastica, insicura, pazza, spazientita, speranzosa. UnaDiNoi! Noi a cui gli uomini piacciono ancora. Nonostante le delusioni e l'innegabile convinzione che meriterebbe di essere sterminati. Ma poi, sai che noia!

Un'ora di risate, trasformazioni e video.
Un'ora in cui è riassunto il lavoro di anni.
Un'ora in cui Cecilia ci presenta la sua prima creatura. E, per questo,  la più preziosa.

Questo sabato si è aperta ufficialmente la rassegna di Palco Oscenico.
Era ora!
E adesso?
Adesso la si segue fedelmente e appassionatamente.

Il prossimo appuntamento?
Sabato, 4 ottobre, al Cafè des Arts sarà la volta dei DettoFatto.
Numerosi e rumorosi, i migliori improvvisatori torinesi dotati di Gorilla ci faranno sicuramente ridere.
E noi, probabilmente, faremo ridere loro. In che senso? Venite e lo scoprirete!
Entro in questo locale pieno di mobilio perfettamente accocchiato a caso.
Mi rigiro tra le dita di rosso pittate la mia tessera nuova nuova.
Prendo posto su una seggiola d'oro e velluto.

E mi godo lo spettacolo.
Lo spettacolo che inizia dall'ingresso in questo teatro.
Teatro dove tutti si conoscono e io, ovviamente, non conosco quasi nessuno.
Quasi nessuno tra i cento spettatori che contano cabarettisti, attori, artisti di strada, maghi, domatori di leoni, leoni, foche, e una blogger.
Una blogger. Io.

Tempo d'iniziare a sentirmi a mio agio che si spengono le luci e arriva lei. La protagonista. Giorgia Goldini. Con il suo Maifemili.

Di Maifemili mi sono piaciute le musiche, la microscenografia, l'abilità di Giorgia nel tenere il palcoscenico, la prima mezz'ora di risate e gli ultimi cinque minuti di poesia.

Di Maifemili non mi sono piaciute alcune lungaggini nella parte centrale.

Di Maifemili è importante sottolineare come la Goldini scelga di far ridere con uno degli argomenti più tristi che ci sia: la perdita, vera, autobiografica. Quella che non è finzione, ma racconto di sé al pubblico. Questa è una scelta che può premiare o meno, ma che vanta comunque il marchio del coraggio.
L'attrice percorre e fa percorrere una via non facile. Via che, forse, è ancora da sistemare, da rendere più praticabile per lei e per il pubblico. Ramazzando via gli ostacoli e sfoltendo le chiome degli alberi, in modo che rimanga inevitabile, riconoscibile, ma anche un poco più illuminata e luminosa.

Giorgia Goldini è brava. Parecchio.
Lo spettacolo è buono, ma ancora con margini di miglioramento. Ampi.
Il Teatro della Caduta è una meraviglia. Sul serio

Ode a te,
vecchina che abiti proprio sopra di me.

Le tue novantaquattro primavere porti splendidamente,
non fosse per quella tua ottusa mente.
Tale limitazione, io me ne avvedo,
non dipende dal tempo andato, ma fa parte del tuo umano corredo.


Ode a te,
rimbambita che abiti proprio sopra di me.

Un tempo ti lamentavi dell'afro odor emanato dai quei due rumeni:
"puzza di pulito" la chiamavi. Una totale insensatezza, ne convieni?
Oggi cucini aglio come se non ci fosse un domani: "che t'andasse di traverso"
dico, chiudendo porte finestre pertugi, e verso.


Ode a te,
stracciamaroni che abiti proprio sopra di me.

Ce l'hai sempre avuta anche con i giovinastri extracomunitari
che abitavano al piano pari.
A sentire il tuo dire accusatore,
costoro passavano le giornate ad andare su e giù in ascensore.


Ode a te,
vecchiaccia che abiti proprio sopra di me.

In passato ti lamentasti ogni giorno della molesta presenza dei miei predecessori,
Fu per questo motivo che gioisti alquanto quando vedesti i miei traslocatori.
Prima ti crucciavi di viver sopra due indegni stranieri,
ora festeggi per la mia presenza, come mi spiegasti non più tardi di ieri.


Ode a te,
che abiti proprio sopra di me.
Le tue novantaquattro primavere ti proteggono da qualsiasi mia lamentela,
ma almeno lascia che ti dedichi questa mia d'insulti sequela.
Secondo Wikipedia Torino occupa una superficie di 130,84km² e conta un numero di abitanti pari a 902.137 unità.
Ma Wikipedia mente.

Torino è un trilocale con bagno, sgabuzzino, ampio terrazzo, spazio auto in cortile, e cantina. 110m². Calpestabili. Non uno di più.
E noi torinesi saremo, a voler tenersi larghi, un migliaio. Mille persone che entrano ed escono da questo alloggio, come lo chiamiamo noi, incontrandosi e scontrandosi in continuazione. C'è chi passa dalla finestra, chi se ne va sbattendo la porta, e chi dirige il via vai come il più esperto dei padroni di casa. Tutti noi, tutti assieme, negli stessi luoghi, in tempi diversi o uguali.

Prendi un caffè in cucina e ti passa lo zucchero una tua compagna delle superiori.
Vai al cinema in soggiorno e ti trovi seduta accanto a tuo cugino.
Esci in terrazza per vedere uno spettacolo di cabaret e scopri che quel terrazzo è lo stesso dove tu, meno di un anno prima, hai fatto un corso di acquerello. Lo stesso luogo dove l'insegnante, individuate immediatamente le tue doti, prese ad usarti come metro di giudizio. Negativo. "Più acqua, devi usare più acqua. Sei quasi peggio di Pancrazia!" "Che orrore! Una roba così non la farebbe nemmeno Jane!" "Sei irrecuperabile, vatti a sedere vicino alla Cole e fatevi compagnia"

Ieri sera sono tornata a Lombroso16, il coloratissimo centro policulturale che lo scorso autunno vide il nascere e l'estinguersi della mia carriera da acquerellista. Carriera durata il tempo di un gatto in tangenziale. Impagliato.

Sono tornata nella stessa sala per assistere a uno spettacolo di stand up.
Quello di Elena Ascione, una stand up comedian, di cui avevo già scritto bene in passato. Ricordate?
Elena ci ha fatto ridere raccontando le sue nevrosi e manie, l'ossessione per il controllo e l'ordine della casa. Praticamente una di famiglia!
La magia si è ripetuta anche questa volta. Elena ha fatto ridere me, e tutto il resto del pubblico.
Ha raccontato il mondo delle donne: dalle favole all'Eden, dal multitasking isterico alla pacifica consapevolezza delle ottuagenarie, dalla dieta drenante alla prova abiti in camerino.
Ha espresso semplici concetti condivisibili: "un uomo scontroso probabilmente non ha subito gravi traumi infantili, è solo stronzo!"
Ha chiarito trame e complotti secolari: "con le favole ci è stato insegnato che dobbiamo essere salvate da un principe. Ma anche che noi, a nostra volta, dobbiamo salvare lui, Rospo o Bestia che sia, in un cortocircuito culturale che ci trasforma in svenevoli crocerossine destinate all'infelicità."
E' riuscita, come mai nessun altro prima, a rappresentare la commessa tipo di un negozio di abbigliamento tipo. Commessa che, non me ne vogliano le appartenenti alla medesima categoria, viene selezionata in base alla propria stronzaggine. Caratteristica che questa esprime, in tutte le sue potenzialità, piazzandosi dietro la tenda del camerino e chiedendo: "Va tutto beneeee???" Già sapendo che non va affatto tutto bene. Poiché la cliente tipo di un negozio di abbigliamento tipo, magra o morbida che sia, guardando la propria immagine riflessa, si sentirà sempre e comunque un epico, fantasmagorico, sfavillante cesso a pedali!

Elena parla di sé e degli altri. Ride di sé e degli altri.
Travolgente, sicura, padrona del palco e dell'attenzione del pubblico.
E' valsa la pena tornare nel luogo dell'acquerellico delitto, eccome se ne è valsa la pena!

NdA: i virgolettati sono miei, non estrapolazioni letterali del monologo di ieri. L'Ascione le cose le dice meglio.
NdA2: non era la mia insegnante di disegno ad essere cattiva, ero io ad essere una pippa.
His story 

The tracks are on fire.

The old man walks and sweats in a wool coat.

He sees me from afar. I smile.
He sits next to me. He smells.

"Do you take the next train?"
"Yes"


I pull out the headphones from the bag. I select the music.

It's not enough.
He speaks.
I give up.
I listen.

He starts telling his story.

A difficult childhood.
A bad mother. A selfish mother.
She's still alive. She's still bad and selfish.

A happy youth.
The '80s full of women, business, money, and friendship.

And then: drama.
Wrong choices. No more friends.
Debts.
Prison.

"Were you in prison?"
"Yes, it was a big scandal"
He's happy to have my attention, finally.

He speaks.

I listen.
Listen and surf the web. I want to know the truth, his words aren't enough.

I find something.

The story is true.
Him? I don't know.
I can't recognize his old tired face in the young man smiling on my phone.

"From the hills to the jail. He could have helped me, but he didn't"
"Who?"
"Him"
"Him? Him?"
"Yes. He's a son of a bitch!"
"He died years ago"
"He's a son of a bitch. Anyway."


The end.


Siete arrivati fino a qua? Bene. Avete appena letto il mio primo racconto in inglese. Oooooooooh.
Era ormai da tempo che volevo provarci. Esprimermi in un'altra lingua. Trovare un ritmo diverso.
L'occasione di buttarmi in questo mare grandissimo e straniero (nell'ovvio senso della parola) mi è stata data da Humans Torino. La pagina facebook dove il mio socio Sergio ed io raccogliamo volti e storie da sotto, sopra e tutto attorno alla mole. La maggiorparte dello spazio è dedicata a foto accompagnate da brevi didascalie, ma sono presenti anche piccoli racconti rubati alla quotidianità d'inconsapevoli passanti. 

Nelle ultime settimane il socio ed io abbiamo deciso che sarebbe stato il caso di tradurre tutti i post di Humans anche in inglese, "che magari non guadagnamo neanche un like, ma comunque fa figo", abbiamo sentenziato all'unisono da cialtroni par nostri. Così abbiamo iniziato a lavorarci. Così ho(!) iniziato a lavorarci.
Prima ho scelto le didascalie più brevi, poi quelle più semplici, infine ho deciso che fosse tempo di provarci con un racconto. E oggi ci ho provato.
"His story" è il risultato di questo esperimento. Esperimento rivisto e corretto da nientepopodimeno che Renée, una delle Comari berlinesi. Non so se mi spiego!

E' stato faticoso ma incredibilmente stimolante poter rimettere mano alle mie parole, cercare un nuovo respiro, riadattare il tutto a una lingua diversa. Il racconto è sempre lo stesso ma è anche un altro. E io ne vado molto orgogliosa. Questo piccolo figlio, ammettendo che a qualcuno interessi, potrà essere letto da milioni di persone in più. Lui ha un passaporto che, almeno nei miei sogni, lo potrà far viaggiare. 
E' la prima volta che ciò accade a una mia storia. Ed era il momento che accadesse.

Quindi, volete farmelo un piacere? Mandate questo link a i vostri amici sparsi per il mondo. Fate "partire" questa piccola storia per il suo lungo viaggio. 
Grazie. Thank you.

N.d.A: la versione italiana del racconto la potete trovare qui.
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