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Lo confesso.
Fino a pochi giorni fa non ne avevo mai visto neanche una puntata. Poi ho avuto una casuale iniziazione e, da quel momento, la mia vita non è stata più la stessa. 
La prossima settimana inizierà la quinta stagione ed io, mentre arranco nel recupero disperato degli episodi mancanti, ho deciso di dare un'utilità a questa nuova morbosa ossessione: scrivere degli arguti riassunti! Lo faccio per voi, adorabili disadattati tra i miei numerosi lettori, che sapete ancora poco o nulla circa Il Trono di Spade. Quando inizierà la quinta stagione, sulle bacheche di facebook di tutti, anche sulle vostre, si scatenerà l'inferno. Commenti, citazioni, lotte fratricide. L'unico modo che avrete per difendervi sarà conoscere il nemico, millantare una passione che non possedete, ammantare di menzogna un finto interessamento. 

Che siate neofiti come me o vecchi metalupi esperti, queste sono le cose più importanti da ricordare della prima stagione.
Ci sono 7 regni e 3 famiglie. In realtà le famiglie sono molte di più ma, diciamo la verità, le uniche di cui freghi qualcosa a qualcuno sono solo: gli Stark, i Lannister e i Targaryen.
Gli Stark sono i buoni. Moraccioni dal cuore nobile e l'animo virtuoso. Vivono al Nord e indossano sciccosissimi cappottoni con colli di pelliccia.
I Lannister sono i cattivi dediti ai complotti. Biondi, belli e perversi. Se l'inviti a casa tua, come minimo, ti buttano giù un figlio dalla torre.
I Targaryen sono gli esiliati che vorrebbero riprendere il potere perso. Sono biondissimi, pure più dei Lannister, e sono rimasti solo in due. Fratello e sorella. Viserys e Daenerys. Unici superstiti della stirpe nelle cui vene scorre il sangue del Drago. Lui è vile ed arrogante. Lei bella e dolce. Lui ha bisogno di un esercito per riprendere il trono e quindi vende lei al capo di un'orda di barbari. Quando si dice l'amore fraterno!

Il re dei 7 regni è Robert Baratheon.
E' molto amico di Ned (Eddard) Stark, capofamiglia dei moraccioni, ed è sposato con una Lannister.

L'amicizia con il nobile Stark lo porta a nominare quest'ultimo Primo Cavaliere:
"Eddai Ned vieni nella capitale con me"
"Ma no grazie, io vorrei restare al Nord con la mia famiglia"
"Edddai"
"Ennno"
"Edddai"
"Ennno"
"Edddai che potrà mai succedere?"
"Masssì, hai ragione, accetto!"

Il matrimonio con Cersei Lannister, invece, lo porta all'infelicità e alla tomba. La loro è quella che si dice un'unione riuscita. Lui beve e va con tutto ciò che cammina, seminando una quantità imbarazzante di figli illegittimi. Lei lo cornifica col suo fratello gemello. No, non il gemello di lui. Il gemello di lei. Orrore! In pratica, tutti i figli legittimi del re non sono figli suoi ma della moglie e del cognato. E tutti gli illegittimi, nelle cui vene però scorre sangue reale, fanno la vita degli straccioni in giro per la capitale.

E, a proposito di sangue, in questa serie ne scorre a fiumi. Lo svantaggio è che non ci si può mai affezionare troppo a nessuno. Il vantaggio è che si può sempre sperare nella morte del personaggio fastidioso di turno. I primi dieci episodi hanno visto la prematura e indegna dipartita di Re Robert, abbattuto da un cinghiale persino più grasso di lui. Il sovrano era a caccia, ubriaco. Non ci sono prove  al riguardo, ma lo sappiamo tutti che la moglie non è innocente. Quella non lo è mai.
Poi è stata la volta di Eddard Stark, decapitato di fronte alle figlie e a una folla in visibilio. Accusa: tradimento della corona. Avrebbe tramato per succedere al trono dell'amico. Ovviamente era innocente. Avrebbe solo gradito che sul trono ci salisse un erede legittimo e non quel sorcio biondo di Joffrey Lannister. Che oltre ad essere odioso è, come già detto in precedenza, figlio dei gemelli e non del defunto Re Robert. Ma si sa che, da che mondo e mondo, in questioni di trono, figli veri, figli presunti, eredi, e robe di questo tipo sarebbe sempre buona norma farsi i fattacci propri. Che ci si mette un secondo a pestare un merdone enorme e ancora meno ad essere venduti al miglior offerente.
Sono sempre i migliori quelli che se ne vanno
Gli altri due morti eccellenti della prima stagione appartengono al giro dei Targaryen. Uno è Viserys, quello odioso, violento e meschino. E' durato poche puntate ma sono state persino troppe! L'altro è il marito barbaro e selvaggio di Daenerys. Che era pure barbaro ma parecchio figo e, dopo un'iniziale incomprensione, persino gentile ed innamorato. Io, che sono una donna sensibile, ne piangerò a lungo la perdita.

Insomma, si era partiti con sette regni più o meno in pace ma dopo dieci puntate si registrano: morti viventi a Nord, guerra incipiente a Sud, ragazzini sadici incoronati e, quasi dimenticavo, la nascita di tre draghi.

Regola numero uno della prima stagione? Se sei un re devi essere pazzo, alcolizzato o sadico. Altrimenti che regni a fare? Viva la Repubblica!

NdA: non ci avete capito nulla? Appiccicatevi con lo sputo queste quattro nozioni e sperate comunque che bastino.
Delle volte capita. Capita di leggere un libro, vedere un film, ascoltare una canzone e sentire lo struggente desiderio di esserne l'autrice. Capita. Ed è un sentimento sospeso tra lo stupore per il bello e l'invidia per un parto che si vorrebbe proprio. Capita.

A me è capitato con la geniale "Luigi il pugilista".
Ebbene sì, io sono in grado di provare un senso di appartenenza mancata per alcuni testi di Elio e le Storie Tese. Voi no? Me ne dispiaccio ma, tranquilli, non vi giudico per la vostra evidente mancanza di sensibilità artistica e profondità umana.

Luigi il pugilista è una storia irresistibile. Un racconto che funziona anche senza musica, ma con la musica è meglio. E' un mondo illustrato perfettamente da Sio. E' un capolavoro.

Vi canto la parabola agonistica
del pugile che fui, poi non fui più
E di una mia, direi, caratteristica
che mi evitò le botte nel campo della boxe. 
Col fatto che da piccolo ero piccolo,
le zuffe le schivavo o perlopiù
finivano col capo dei rivali che
diceva: "non ti picchio
solo perché hai gli occhiali" 
E cominciai di colpo ad anni 7
la vita da 4 occhi e 2 stanghette. 
Così iniziò la mia carriera atipica
picchiavo io ma non picchiavan me
e non per la mia condizione atletica
ma perché se hai l'occhiale
nessuno ti fa male. 
E questo sono io
Luigi il Pugilista
che ha il dono della svista
e che nessuno pesta
e faccio a modo mio.
E pugilo da Dio
senza venir percosso
perché io invece posso
e le manone addosso
gliele metto io
Parola di Luigi. 
Lo so che l'altro a me mi sottovaluta
ma tiro i pugni a vanvera finché
colpisco col bicipite l'occipite
e lui assapora il botto
di un tipo di cazzotto.
Di quelli che uno sembran ventisette
parola di 4 occhi e 2 stanghe... 
...tt'e questo sono io
Luigi il Pugilista
dai fondi di bottiglia
boxo a meraviglia
c'ho uno stile mio.
Non è un problema a sè
è tutto un po' sfocato ma quello che ho menato,
sì che l'ha capito,
l'ho menato io.
Parola di Luigi.  
Ma un giorno al suono della campanella
fece il suo ingresso quella donna bella
che regge il numero del round in corso
io all'improvviso mi sentii disperso
tolsi gli occhiali per sembrare aitante
e l'avversario me ne diede
tante. 
Ma quefto fono io
Luigi il tumefappo
che dall'84 deteneva il titolo dei pefi paglia
e quando mi sfegliai
vedevo molto meglio
e quella donna bella
che fembrava bella
era foltanto un tipo,  
era foltanto un tipo. 
ma io me ne infifchio. 

Le presentatrici di Facce da Palco: Natalia e Donna Antea
Da ragazzina facevo sempre l'arbitro di pallavolo.
Alle medie e alle superiori, appena possibile, lasciavo il campo per arrampicarmi sul seggiolone del potere.
E perché mai?
Ovvio, perché ero una pippa! E stare lì, a mani giunte, in difesa, aspettando di esibirmi in un bagher vincente o, più probabilmente, di beccarmi una pallonata in faccia, mi metteva una certa ansia. Così abbandonavo la nave e cercavo rifugio lì dove osano le aquile, sul seggiolone appunto. Che poi, considerando che soffro di vertigini, era comunque uno sfoggio di un certo coraggio, oltre che di un'evidente disperazione.

Stavo dicendo, da ragazzina finivo spesso col fare l'arbitro a pallavolo.
Io ce la mettevo davvero tutta, prendevo il mio ruolo molto seriamente e cercavo di essere assolutamente imparziale: non avvantaggiavo le mie compagne, non provavo a far vincere le mie amiche, non prediligevo la mia classe. Sprizzavo rigore e correttezza da ogni poro ma, nonostante ciò, venivo spesso criticata da entrambe le parti. Amiche o nemiche, compagne o meno, una classe o l'altra, riuscivo nell'ardua impresa di scontentare tutti.
Non so da cosa dipendesse, forse dal mio essere troppo pignola, forse dal mio essere poco elastica, forse dal mio essere miope, fatto sta che s'incacchiavano tutti come bisce. Una volta un ragazzo di un'altra classe arrivò perfino a minacciarmi: "Ci vediamo fuori!", mi disse serio. Per fortuna, io non ebbi neanche il tempo di farmela sotto, perché i suoi compagni gli diedero del "cretino" e i miei, comunque, mi fecero da scorta.

Da questo lunghissimo preambolo capirete i miei sentimenti contrastanti quando mi fu proposto di entrare a far parte della giuria di Facce da Palco. Provai tanto orgoglio per il ruolo, ma anche una certa ansia per la responsabilità. Lì non avrei neanche avuto un seggiolone su cui scappare. Ma, in fondo, se non avevo ricevuto nessuna minaccia (non esplicita quanto meno) in un anno di cronache varie sul blog, c'erano buone probabilità che sopravvivessi anche a qualche serata da giurata.

E così, domenica scorsa, ho preso il mio posto in prima fila. Ho impugnato carta e penna, e mi sono buttata in questa nuova avventura.

E, finalmente, via di cronaca!
Si esibiscono tre artisti. Nell'ordine: i Proprietà Commutativa, Francesca Cassottana e le Terra Vergine. Una serata tutta dedicata al teatro.

I Proprietà Commutativa sono bravi, bravi sul serio. Due ottimi attori con una perfetta padronanza del palco. Su di loro niente da dire. Sul testo che portano sì.
Lo spettacolo s'intitola "3Q-Liberi esperimenti politici". In scena ci sono cuochi e snob. E poi c'è lui. Il cowboy. La voce narrante. Il fil rouge con la sua aria da vecchio west e il suo Johnny Cash. Lui. Completamente avulso dal contesto. Ma non avulso in un modo surreale e immaginifico. Più in un modo "eh???"
Sono confusa, Questo è solo un estratto dello spettacolo, magari non ci arrivo io, magari mi mancano tutte le informazioni. E quindi, per togliermi il dubbio, ad esibizione finita chiedo più o meno così: "Perché c'era un cowboy in scena?"
E mi viene risposto più o meno così: "Perché mi sono innamorato di questo personaggio e ho deciso di metterlo dentro questo spettacolo"
Ecco.
No!
Mai mai mai innamorarsi di un personaggio e metterlo a forza in una storia che non è la sua. Non funziona a teatro come non funziona in letteratura. I personaggi vanno rispettati. I capricci degli artisti: no. Neanche quando gli artisti siamo noi. Bisogna essere spietati con i propri vezzi. Altrimenti potrebbe esserlo qualcun altro. Tipo una blogger.

Francesca Cassottana, ispirata da alcune lettere originali, porta in scena un'umanissima Frida Kahlo. Ottima l'idea, così come l'impatto visivo iniziale. Meno la realizzazione. Per ora.
Lo spettacolo è ancora troppo in costruzione, sa d'incompiuto. E' una promessa che potrebbe essere mantenuta, ma anche no. Personalmente la vedo come una sfida, un progetto ambizioso che necessita di più teste al lavoro. Un impegno arduo per cui consiglio di coinvolgere più professionalità.
C'è tanta fatica da fare, e tanto tempo da spendere, ma potrebbe valerne davvero la pena.

Le Terra Vergine sono quattro attrici chiuse ne "L'ascensore". Bloccate in un momento della vita. Vincolate in uno spazio ristretto. In pausa.
Le ragazze lavorano molto bene assieme. C'è fluidità nei dialoghi serrati, come nei movimenti costretti in pochi metri. Ma, nella mia attuale versione ScassosissimaPancrazia, mi tocca sottolineare quanto la recitazione e la scrittura funzionino molto bene nelle parti comiche, e molto meno in quelle "drammatiche". Consiglio di lavorarci ancora su.

La serata è finita. Il pubblico vota. La giuria vota. Io, per la prima volta, voto.
Passano il turno Proprietà Commutativa e Terra Vergine. I due lavori compiuti della serata. Inevitabile.
Dopo l'annuncio, però, mi becco mezz'ora di critiche circa il risultato. Mica da parte degli artisti o dei loro amici. No, da parte dei MIEI amici. Nessuno però minaccia di picchiarmi fuori dal locale. Faccio progressi.

L'ultima serata eliminatoria è prevista per il 4/4/2015 al Café des Arts. Ci sarò anch'io. E' un duro lavoro ma qualcuno lo deve pure fare.

N.d.A. le favolose foto sono del socio Sergio Sasso.
Avete mai frequentato un laboratorio di scrittura?
Io feci l'ingresso in questa realtà molti anni or sono.
Eravamo un gruppo vario e variopinto.

C'era l'attrice teatrale che scorrazzava sulla sua 2 Cavalli alimentata a fantasia. C'era la signora del bel mondo con un passato da sessantottina e un presente con maggiordomo filippino. C'era la ragazza snella, nervosa ed essenziale. Essenziale come i suoi haiku. C'era l'arte terapeuta capace di dipingere trame e di intrecciare disegni. C'era l'astrologa argentina, che un po' raccontava e un po' si faceva raccontare. C'era l'uomo siciliano che viveva in un furgone con le sue piccole scene piene di sole. C'era l'uomo piemontese capace di camminare lungo un filo teso tra due montagne, e di scrivere storie musicali come canzoni. C'era persino una blogger che, a guardarsi attorno, pensava di essere vittima di un'allucinazione. Di essere finita nel bel mezzo di un racconto pieno di personaggi pazzeschi.

Ma quello era il passato.
Ora occupiamoci del presente e anche del futuro.
Chi ci sarà il primo di aprile? Data in cui partirà un nuovo laboratorio di scrittura. Il mio.
Chi si butta con me? Non vi posso promettere un'umanità tanto varia e interessante. Ma energia, esperimenti e voglia di confrontarsi, sì!

Un laboratorio di scrittura è sempre un luogo magico. Dove vengono le idee migliori. Persone inaspettate sono in grado di dare consigli preziosi. Si cresce e ci si arricchisce.

Per chi scrive da sempre e per chi non ha scritto mai.
Voi cosa state aspettando? Io sto aspettando voi!

Guardare 1992 è come guardare un incidente che sta per verificarsi. Al rallentatore.
Un po' come essere a lato della strada mentre una macchina scivola sul ghiaccio e si dirige senza controllo verso un semaforo, un'altra auto, un ciclista, un passeggino. Un burrone.
Sei uno spettatore, sai come andrà a finire ma non puoi fare niente, neanche coprirti gli occhi.

Guardare 1992 è guardare quell'Italia con la consapevolezza del poi. Quell'Italia che non stava rinascendo dalle ceneri di un passato corrotto, come allora credevamo. Ma che, approssimativamente ripulita, correva ad inzozzarsi ancora di più. Un cormorano che tornava a tuffarsi soddisfatto nelle acque piene di petrolio. Sempre più a largo. Sempre più a fondo.
L'Italia della crisi economica, della televisione, della manipolazione, della Lega, dell'ignoranza, dello squallore, della donna che viene venduta e che si vende un tanto al kg. L'Italia che stava diventando appieno ciò che è ancora adesso. In questo momento. Ora.

Guardare 1992 è guardare l'inizio della fine. Impotenti. Inebetiti. Dolorosamente consapevoli di non essere passanti ma passeggeri. Noi eravamo dentro l'auto allora. Noi ci siamo ancora.
Prima fu la televisione del dolore, dell'esibizione e dei ritorni dall'Argentina. Dalla Carrà alla De Filippi, passando per tutte le 50 sfumature del porno emotivo.
Poi arrivarono i social. E la televisione non fu più abbastanza.

Non siamo più, o almeno non siamo solo, spettatori dei sentimenti e sentimentalismi altrui, ma siamo diventati protagonisti. Non guardiamo più dal buco della serratura degli altri, ma apriamo le nostre stesse finestre affinché tutti sappiano.

Facebook ha ucciso il pudore.

No, non sto parlando delle scollature casualmente esibite. E neanche delle tartarughe appositamente definite. Parlo di quegli status in cui tutti, prima o poi, abbiamo urlato al mondo, vomitato in piazza, masturbato in bacheca il nostro amore, i nostri affetti, le nostre storie. Felici o meno che fossero.

Sì, ci siamo cascati o ci caschiamo tutti, prima o poi. Non assumete quell'aria di superiorità che non ci crede nessuno.
Certo, la distinzione tra gli esibizionisti patologici e quelli colti da un unico raro momento d'incoercibile condivisione spudorata esiste, eccome. Ma, nel caos del flusso continuo di una bacheca qualunque, ciò non ha importanza, l'impressione è che la gente non nasconda più nulla. O, meglio, non protegga più nulla.
Perché no, se non parlo dei fatti miei o, a maggior ragione, dei miei sentimenti non vuol dire che non ne abbia o che, orrore, me ne vergogni. Forse significa solo che desidero custodirli. Difenderli dagli sguardi e dalle parole altrui, dal giudizio di bocche affrettate, dalla curiosità superficiale dei molti. O semplicemente da tutto e da niente.

Perché le cose davvero care si conservano, si curano, non si esibiscono.
I bambini si stringono al petto. Gli amici si comprendono muti. Gli amori sono misteri insondabili agli occhi dei più, e tali dovrebbero rimanere.

Il pudore è delicato. La pornografia è volgare.
Ci caschiamo tutti. Ma qualcuno di più.
Immagine tratta dal sito www.cab41.it
Avete presente il Cab 41?
Quello che sta in via fratelli Carle 41, a Torino.  Quello che la prima volta non riuscivo a trovare. Quello che la seconda volta non riuscivo a parcheggiare. Quello che... beh sì, insomma quello!

Sabato scorso sono andata al Cab 41 per assistere allo spettacolo di Nando Timoteo.
Un comico che non avevo mai visto né dal vivo e neanche in tv, nonostante vanti diverse partecipazioni in diverse trasmissioni. Ma io, come direbbe qualcuno, sono una disadattata, quindi non faccio testo.

Comunque, forte della mia ignoranza, mi sono approcciata allo spettacolo senza pregiudizi o attese particolari. E...
E mi sono divertita. Un bel po'!
Ho riso, applaudito e mi sono persino prestata a quei siparietti della serie "metà del pubblico faccia questo, l'altra metà faccia quest'altro". Mi ci sono prestata nonostante io nell'animo sia snob e sostenuta, ma Nando Timoteo ha un mondo di approcciarsi al palco e alla gente assolutamente irresistibile. E' un talento dell'intrattenimento e della comicità. Nato come animatore turistico, ha studiato teatro, fatto esperienza in tutti i campi, fino a poter vantare un eccellente repertorio e un atteggiamento coinvolgente e naturale. A Nando Timoteo non gli puoi dire di no. Lui ti chiede di cantare e tu canti. Lui ti chiede di applaudire a tempo e tu applaudi a tempo. Lui ti chiede dei soldi e tu. E tu niente, c'è la crisi! Neanche Nando Timoteo può essere così convincente!

Il Nando Timoteo Show è uno spettacolo lungo ma che scorre via velocemente. Uno spettacolo completo e godibilissimo. Uno spettacolo fatto di battute a raffica, succosi racconti di vita vissuta, e musica. Sì egli, come se non bastasse, canta e suona.

Di qualunque parte d'Italia voi siate, tenete occhi ed orecchie aperti. Dal nord al sud, lo potreste trovare ovunque. E, nel caso, vi consiglio fortemente di non lasciarvelo scappare!
ENNE semplici regole per NON diventare MAI una blogger famosa.

Ad aprirsi un blog, diventare un fenomeno di costume e fare millemilioni di fatturato son capaci tutti.
Ma ad aprirsi un blog, scriverci con devozione per anni, e rimanere comunque un’emerita squattrinata sconosciuta ci vuole un talento speciale.
Io, non per vantarmi, questo talento ce l’ho e, nella mia immensa generosità, ho scelto di condividerlo. Con voi.

Magari siete quel tipo di persona che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Magari siete quel tipo di persona che raccoglie simpatia e consensi anche solo alzandosi dal letto. Magari siete dei vincenti naturali.
Ecco, voi sventurati, avete sicuramente bisogno del mio aiuto.
Voi rischiate di aprire un blog e svoltare. Una cosa tanto banale quanto volgare. Il successo è per i pigri. A scartavetrarsi le gonadi con lo struggimento dell’insoddisfazione ci vuole impegno. Non è roba per tutti!

Ma per molti sì! Quindi non spaventatevi. Ce l’ho fatta io, ce la potete fare anche voi! Vi basterà seguire questo dettagliato vademecum.

Regola numero 1.
Scegliere un Nickname complicato e di cui nessuno capisca il senso.
Avete presente?
Qualcosa tipo Jane Pancrazia Cole.
Orribile, nevvero?
Sì. Non per vantarmi. Ma, sì.

Lo elaborai, ormai molti anni or sono, con tanta tantissima attenzione.
Partì tutto da Cole. Cognome tratto da una saga letteraria opera di Noah Gordon. Uno scrittore americano molto conosciuto. Conosciutissimo. Dappertutto. Dappertutto tranne che in Italia.  
La mia fu una scelta consapevole. Volevo un cognome che fosse legato alla letteratura ma non fosse troppo ovvio. Missione compiuta. Cole non è ovvio. Per niente. Molti sono convinti che si scriva Col, altri che si pronunci Cole (con la “e” finale bella aperta), alcuni pensano che sia un sofisticato omaggio a Nat King Cole altri uno più pop a Cheryl Cole.

Tutti brancolano nel buio dell’ignoranza e io rido soddisfatta dal mio tetro angolo imbottito dell’incomprensione autoinflitta.

Ma senza l’inspiegabile accoppiata di nome e secondo nome, il mio destino avrebbe potuto comunque essere diverso. Sarei potuta diventare la sexy Cole, l’opinion leader Cole, la social Cole. Orrore! Destino ingrato prontamente evitato grazie all’incongruo abbinamento di Jane e Pancrazia. Potrebbe mai venirvi in mente qualcosa di più sgraziato? No, a voi no. E, infatti che ci sto a fare io? Che ci sta a fare questa guida? A guidarvi, appunto.
Ecco alcuni esempi che vi possano essere d’ispirazione per il vostro futuro da blogger anonimo. Lucy Eustacchia Martìn, Sophie Genoveffa Trotter, e per gli uomini James Abbondio Trueba, Nick Gerundio Zosimov.

Le combinazioni possono essere infinite. Il risultato unico e inevitabile: la sgradevolezza!
(...)

E le enne regole mancanti?
Ops, non ve l'avevo detto?
Le pubblicherò in un piccolo ebook autoprodotto.
Perché?
Per raccogliere ciò che di buono ho scritto in questo blog durante tutti questi anni. Per buttarmi in questa nuova avventura senza prendermi troppo sul serio. Per fare un regalo a me e spero anche a chi, tra di voi, avrà voglia di leggerlo. 

I tempi sono ancora da stabilire voi, intanto, tenetevi pronti.

NdA: sì, per l'occasione, ci metto persino la faccia!
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