Voi lo sapete perché questo posto si chiama Radio Cole? No, che non lo sapete, a meno che non siate Juhan. Lui lo sa perché gliel'ho raccontato qualche tempo fa. E perché a
Radio Cole Graffiti/3
domenica, luglio 29, 2012
C'è stato un tempo in cui i blogger si tormentavano tra loro con meme e premi. Catene di Sant'Antonio che, nascoste o meno dietro il pretesto di un'onoreficenza, avevano lo scopo unico di
Radio Cole Graffiti/2
domenica, luglio 22, 2012
Non è detto che sia facile scegliere un post da riproporre. Molte delle cose che scrivo sono legate ad uno specifico momento e quindi replicarle a distanza di mesi o anni risulterebbe stonato
Un anno
venerdì, luglio 20, 2012
Un anno di gioia e dolore, pianti e sorrisi, perdite e incontri. Un anno di "Non ce la faremo mai". Un anno di "Come abbiamo fatto finora senza di lui?" Un anno di
Il mio 4 marzo 1943
giovedì, luglio 19, 2012
Lo scorso febbraio scrissi un post sulle vecchie canzoni dei cantautori italiani. Scrissi di quanto queste mi piacessero ma anche del dolore provocatomi dai finali struggenti. Raccontai di come da bambina risolvessi la
Che senso ha frequentare la blogosfera?/8
lunedì, luglio 16, 2012
Ha senso perché un social network non dà la pienezza di un blog. Perché i 140 caratteri di twitter delle volte sono davvero troppo pochi. Perché la comunicazione superficiale di facebook raramente porta
Radio Cole Graffiti/1
domenica, luglio 15, 2012
Oggi e tutte le domeniche estive fino al 2 settembre ci sarà una rubrica speciale su queste pagine: Radio Cole Graffiti. Un nome ruffiano ed accattivante che significa solo... repliche. Esatto, proprio come
L'importanza della letteratura e della mancanza di vergogna
venerdì, luglio 13, 2012
Negli ultimi giorni su twitter si è molto parlato dei grandi classici della letteratura. Ma soprattutto dell'effetto deleterio della lettura scolastica coercitiva. Io, al riguardo, mi sento una felice e fortunata eccezione. Eccezione
Le favole di zia Pancrazia
venerdì, luglio 06, 2012
(Articolo sponsorizzato... da me) Il piacere di sentire una storia è paragonabile solo al piacere di raccontarla. Il piacere di ricevere un regalo è paragonabile solo al piacere di farlo. Scrivere favole. Illustrare
Una giornata afosa. La camicia a quadretti appiccicata alla pelle. Il fondo dei pantaloni irrigidito da acqua, sale e sabbia. E i sandali, i sandali tenuti su con il nastro adesivo, che spernacchiano ciaf ciaf ciaf ad ogni passo.
Franco si toglie la macchina fotografica dal collo. La radio canta "Vamos a la playa", mentre lui svuota la borsa piena di rullini sul bancone della camera oscura.
Un buon giorno, è stato davvero un buon giorno. Finalmente le ha trovate. Erano ai bagni "Da Lillo", abbracciate sul bagnasciuga. Le stava cercando da tempo. Italiane, scure, con teste piene di ricci.
A Lei piacciono i ricci. Le piaceranno tanto. Anche a lui piacciono i ricci.
Non sono madre e figlia. Ma sorelle. Lei non ci farà caso. Lei non vorrà farci caso. Non le importa. E neanche a lui importa.
Anna e la piccola Elisa. Le ha trovate.
Franco prende l'ultimo rullino e sviluppa le foto. Cerca di fare il lavoro con calma. Una famiglia di tedeschi tutti grassi come porci. Ripete con cura gli stessi gesti. Un bambino che piange terrorizzato dall'acqua. Le mani gli tremano dall'agitazione. Una coppia di fidanzati. Li osserva un secondo di più, sembrano felici, quel bruciore all'altezza del cuore si fa sentire. Gastrite.
E poi eccole. La piccola con quel broncio che la rende più vera. La grande con i capelli scompigliati davanti al volto, e la promessa di una bellezza pronta a sbocciare.
A lui piacerebbe una donna così. A lui sarebbe piaciuta una donna così. Anche a Lei piacerà.
Aspetta che la foto si asciughi, poi sale le scale ed entra nell'appartamento semibuio sopra al negozio.
Lei è seduta sulla poltrona. Immobile. Nella stanza c'è puzza di chiuso, medicine e piscio.
"Le hai portate?", gli chiede allungando le mani come artigli e strizzando gli occhi quasi vuoti.
La stessa domanda. Sempre la stessa domanda.
"No, mamma, te l'ho detto tante volte. Anna lavora tutto il giorno e questo non è un ambiente sano per la piccola."
"Hai ragione, meglio che non vengano qui. Ma quando mi riprenderò mi farò bella. Bella e pulita. E andremo tutti a pranzo assieme. Come una famiglia vera."
"Sì, mamma, quando starai meglio", dice Franco pensando agli ultimi dieci anni.
La malattia, la depressione, la follia della madre.
La malattia, la depressione, la follia ormai diventate anche sue.
All'inizio aveva cercato di trattenerla, di sorreggerla, ma alla fine è stata Lei la più forte. Lei a trascinarlo nel baratro. Succhiando via ogni respiro, ogni attimo, ogni speranza.
Attaccati entrambi all'inganno di una vita immaginaria.
"Oggi però ho un regalo. Una loro foto."
Lei, attrice consapevole di una recita tragica, allunga le mani e afferra il loro ultimo feticcio, la loro ultima menzogna.
"Come sono belle. Un giorno staremo tutti assieme."
"Un giorno", ripete lui sedendole accanto. Al buio.
Franco si toglie la macchina fotografica dal collo. La radio canta "Vamos a la playa", mentre lui svuota la borsa piena di rullini sul bancone della camera oscura.
Un buon giorno, è stato davvero un buon giorno. Finalmente le ha trovate. Erano ai bagni "Da Lillo", abbracciate sul bagnasciuga. Le stava cercando da tempo. Italiane, scure, con teste piene di ricci.
A Lei piacciono i ricci. Le piaceranno tanto. Anche a lui piacciono i ricci.
Non sono madre e figlia. Ma sorelle. Lei non ci farà caso. Lei non vorrà farci caso. Non le importa. E neanche a lui importa.
Anna e la piccola Elisa. Le ha trovate.
Franco prende l'ultimo rullino e sviluppa le foto. Cerca di fare il lavoro con calma. Una famiglia di tedeschi tutti grassi come porci. Ripete con cura gli stessi gesti. Un bambino che piange terrorizzato dall'acqua. Le mani gli tremano dall'agitazione. Una coppia di fidanzati. Li osserva un secondo di più, sembrano felici, quel bruciore all'altezza del cuore si fa sentire. Gastrite.
E poi eccole. La piccola con quel broncio che la rende più vera. La grande con i capelli scompigliati davanti al volto, e la promessa di una bellezza pronta a sbocciare.
A lui piacerebbe una donna così. A lui sarebbe piaciuta una donna così. Anche a Lei piacerà.
Aspetta che la foto si asciughi, poi sale le scale ed entra nell'appartamento semibuio sopra al negozio.
Lei è seduta sulla poltrona. Immobile. Nella stanza c'è puzza di chiuso, medicine e piscio.
"Le hai portate?", gli chiede allungando le mani come artigli e strizzando gli occhi quasi vuoti.
La stessa domanda. Sempre la stessa domanda.
"No, mamma, te l'ho detto tante volte. Anna lavora tutto il giorno e questo non è un ambiente sano per la piccola."
"Hai ragione, meglio che non vengano qui. Ma quando mi riprenderò mi farò bella. Bella e pulita. E andremo tutti a pranzo assieme. Come una famiglia vera."
"Sì, mamma, quando starai meglio", dice Franco pensando agli ultimi dieci anni.
La malattia, la depressione, la follia della madre.
La malattia, la depressione, la follia ormai diventate anche sue.
All'inizio aveva cercato di trattenerla, di sorreggerla, ma alla fine è stata Lei la più forte. Lei a trascinarlo nel baratro. Succhiando via ogni respiro, ogni attimo, ogni speranza.
Attaccati entrambi all'inganno di una vita immaginaria.
"Oggi però ho un regalo. Una loro foto."
Lei, attrice consapevole di una recita tragica, allunga le mani e afferra il loro ultimo feticcio, la loro ultima menzogna.
"Come sono belle. Un giorno staremo tutti assieme."
"Un giorno", ripete lui sedendole accanto. Al buio.

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