Perché proprio oggi?
Potrei trovare mille spiegazioni ma, in realtà, il vero motivo non lo so.
Perché prima o poi doveva accadere e lei, forse, ne sarebbe persino contenta.
Perché l'altro giorno ho letto di un festival e ho pensato "bello, glielo devo dire, potremmo andarci assieme". Ho pensato prima di ricordarmi che assieme, lei ed io, non potremmo più andare da nessuna parte. Almeno non ora, almeno non qui.
Perché stanotte, come altre notti, l'ho sognata. E nei miei sogni so perfettamente che lei non c'è più. E anche lei lo sa. Ma vogliamo rubare ancora un po' di tempo, ancora un pomeriggio, ancora un giorno. Facciamo passeggiate, visitiamo mostre. Stanotte lei mi salutava in fretta e poi correva alle sue prove di balletto. Lei, a cui la danza classica non è mai neanche piaciuta.
Perché stamattina mi sono svegliata e ho scritto ad una sconosciuta che sta dall'altra parte del mondo. Una donna che combatte e ha combattuto. Come lei non ha potuto. Come lei non ha voluto. Ho scritto e ho pianto. Come se fosse successo ieri e invece sono già sette mesi.
Perché sono ancora arrabbiata con me stessa, perché non le sono stata accanto come avrei dovuto. Con lei perché non ha lottato e non c'ha neanche provato. Perché abbiamo avuto paura tutte e due. Perché la malattia fa paura. Tanto e ancora di più quando hai 37 anni e, in fondo infondo, te ne senti anche molti di meno.
Perché il tempo passa, ma io ancora ogni tanto sbrocco. E la gente si chiede cos'abbia. E quasi nessuno capisce, perché quando parlo di lei lo faccio sempre con poche parole asciutte, dette in fretta e a voce alta. Come se non m'importasse. Come se fosse tutto superato. E invece questo è solo l'unico modo che conosco per tenere su i pezzi, almeno di fronte agli altri, almeno un po'. Perché preferisco passare per stronza piuttosto che frignona. E lei questo l'avrebbe capito.
Perché il dolore non va esibito. Neanche su un blog. Ma ho pensato che per una volta lo potevo pure fare. Buttare tutto fuori, in un solo colpo. Scrivere di lei e scrivere a lei.
Perché mi manca e mi mancherà. Perché 23 anni di amicizia sono tanti e non li cancella nulla. Perché lei c'era sempre e ora non c'è più. E non le posso raccontare quello che faccio. Né le stronzate, né le cose belle. E lo so che si dice che "lei ti guarda ancora" ma non me ne frega un cazzo di lei che mi guarda ancora. Vorrei andarci al bar a chiacchierare. Vorrei raccontarle di quello che faccio, delle persone che conosco o del tipo che frequento. Le piacerebbe ascoltarmi e si farebbe grasse risate. "Tu non puoi avere una vita regolare, tu devi scrivere!" mi direbbe e avrebbe ragione.
Lei che fu la prima a regalarmi un block notes e una penna. Lei che in me ci ha sempre creduto più di me stessa. Lei con cui ho fatto le peggio cazzate della vita mia. Ma sono rimasta solo io a ricordarle, e quando non ci sarò più io, non ci sarà più nulla.
Lei che ora sta al Campo Nord, che è un posto di merda come ce ne sono pochi al mondo. Lei che ha una mamma piccola piccola che quando mi vede dice "quanto le assomigli", noi che non ci siamo assomigliate mai. Lei che ha un uomo che cerca di andare avanti, ed è l'unico rimasto al mondo a chiamarmi ancora con quel nomignolo stupido, perché lo usava lei, perché gliel'ha insegnato lei. Lei che ha anche me. Perché i verbi al passato mi fanno schifo. E ogni tanto sono felice, ogni tanto sono arrabbiata, ogni tanto sono sola. E ogni tanto sbrocco. E me ne fotto del pudore. Persino sul blog.
Potrei trovare mille spiegazioni ma, in realtà, il vero motivo non lo so.
Perché prima o poi doveva accadere e lei, forse, ne sarebbe persino contenta.
Perché l'altro giorno ho letto di un festival e ho pensato "bello, glielo devo dire, potremmo andarci assieme". Ho pensato prima di ricordarmi che assieme, lei ed io, non potremmo più andare da nessuna parte. Almeno non ora, almeno non qui.
Perché stanotte, come altre notti, l'ho sognata. E nei miei sogni so perfettamente che lei non c'è più. E anche lei lo sa. Ma vogliamo rubare ancora un po' di tempo, ancora un pomeriggio, ancora un giorno. Facciamo passeggiate, visitiamo mostre. Stanotte lei mi salutava in fretta e poi correva alle sue prove di balletto. Lei, a cui la danza classica non è mai neanche piaciuta.
Perché stamattina mi sono svegliata e ho scritto ad una sconosciuta che sta dall'altra parte del mondo. Una donna che combatte e ha combattuto. Come lei non ha potuto. Come lei non ha voluto. Ho scritto e ho pianto. Come se fosse successo ieri e invece sono già sette mesi.
Perché sono ancora arrabbiata con me stessa, perché non le sono stata accanto come avrei dovuto. Con lei perché non ha lottato e non c'ha neanche provato. Perché abbiamo avuto paura tutte e due. Perché la malattia fa paura. Tanto e ancora di più quando hai 37 anni e, in fondo infondo, te ne senti anche molti di meno.
Perché il tempo passa, ma io ancora ogni tanto sbrocco. E la gente si chiede cos'abbia. E quasi nessuno capisce, perché quando parlo di lei lo faccio sempre con poche parole asciutte, dette in fretta e a voce alta. Come se non m'importasse. Come se fosse tutto superato. E invece questo è solo l'unico modo che conosco per tenere su i pezzi, almeno di fronte agli altri, almeno un po'. Perché preferisco passare per stronza piuttosto che frignona. E lei questo l'avrebbe capito.
Perché il dolore non va esibito. Neanche su un blog. Ma ho pensato che per una volta lo potevo pure fare. Buttare tutto fuori, in un solo colpo. Scrivere di lei e scrivere a lei.
Perché mi manca e mi mancherà. Perché 23 anni di amicizia sono tanti e non li cancella nulla. Perché lei c'era sempre e ora non c'è più. E non le posso raccontare quello che faccio. Né le stronzate, né le cose belle. E lo so che si dice che "lei ti guarda ancora" ma non me ne frega un cazzo di lei che mi guarda ancora. Vorrei andarci al bar a chiacchierare. Vorrei raccontarle di quello che faccio, delle persone che conosco o del tipo che frequento. Le piacerebbe ascoltarmi e si farebbe grasse risate. "Tu non puoi avere una vita regolare, tu devi scrivere!" mi direbbe e avrebbe ragione.
Lei che fu la prima a regalarmi un block notes e una penna. Lei che in me ci ha sempre creduto più di me stessa. Lei con cui ho fatto le peggio cazzate della vita mia. Ma sono rimasta solo io a ricordarle, e quando non ci sarò più io, non ci sarà più nulla.
Lei che ora sta al Campo Nord, che è un posto di merda come ce ne sono pochi al mondo. Lei che ha una mamma piccola piccola che quando mi vede dice "quanto le assomigli", noi che non ci siamo assomigliate mai. Lei che ha un uomo che cerca di andare avanti, ed è l'unico rimasto al mondo a chiamarmi ancora con quel nomignolo stupido, perché lo usava lei, perché gliel'ha insegnato lei. Lei che ha anche me. Perché i verbi al passato mi fanno schifo. E ogni tanto sono felice, ogni tanto sono arrabbiata, ogni tanto sono sola. E ogni tanto sbrocco. E me ne fotto del pudore. Persino sul blog.