Adelina (quinta parte)

Lucia ed Augusto erano felici.
Lui era orgoglioso di una moglie così bella che tutti gli invidiavano.
Lei amava occuparsi di lui e della loro piccola casa.

A me mancava la nostra famiglia com'era prima, ma giorno dopo giorno mi abituai e poi, quando iniziarono ad arrivare i nipotini, scoprì che la nuova situazione poteva anche essere meglio della vecchia e che a me fare la zia piaceva tanto.
Il primo a nascere fu Sandrino, grosso come un vitello e scuro come il papà, con le guanciotte tonde da mordere e gli occhi grandi e neri come pozzi.
L'anno dopo fu la volta di Enrico il Bello, chiaro come la mamma, con i capelli sottili e i lineamenti delicati.

Mentre Augusto si occupava della poca terra che avevano e delle loro bestie, Lucia continuava a ricamare con noi. Di lavoro non ce n'era molto, che con la guerra anche i ricchi di città stringevano un po' la cinghia, ma noi riuscivamo comunque ad andare avanti con tanti sacrifici, le ossa che sporgevano, ma una nuova serenità nel cuore.
Ogni giorno mia sorella veniva a casa nostra e si portava dietro i bambini. Quelle quattro mura non erano mai state così vive.
Loro giocavano nel cortile tra le galline e il fango, mentre noi li tenevamo d'occhio dalla finestra. Quando rientravano erano sempre tutti inzaccherati. Mamma e Lucia facevano la voce grossa e li sgridavano e quei due mascalzoni, un po' per finta e un po' sul serio, si rifugiavano dietro di me. L'avevano capito subito che ero io la mollacciona del gruppo, quella che non resisteva ai loro musetti da canaglie ed alle loro vocine lamentose. "Zia Adelìììì" mi chiamavano ed io mi scioglievo come una scema. Per loro sarei andata a piedi fino al santuario della Madonna, per loro avrei sfidato un re a duello, per loro avrei fatto qualsiasi cosa.

Augusto e Lucia desideravano tanto una femminuccia e la benedizione sembrò finalmente arrivata quando Enrico aveva quasi due anni. Mia sorella scoprì di essere di nuovo in attesa ed era talmente convinta che questa volta sarebbe stata una bimba che cominciò a ricamare dei vestitini meravigliosi. Dei piccoli capolavori, così belli che le mogli di Sandro ed Enrico li conservano ancora come dei tesori.
Il tempo passava e Lucia si faceva sempre più grossa e un giorno la Pazza la fermò per strada, le guardò il pancione e le disse: "Ne aspetti due. Due femmine."
Una volta non esistevano mica le macchine che ci sono adesso, che ti dicono se tuo figlio è maschio o femmina, grande o piccolo, bello o brutto, sano o malato. Una volta era una sorpresa fino a quando il bambino non usciva fuori. La levatrice lo prendeva per i piedi, gli dava una sculacciata e poi guardava se aveva tutte le cosine al posto giusto, contava le dita e controllava pure se aveva il pisellino oppure no. Ma la Pazza per queste cose era una vera sicurezza, ci prendeva sempre, meglio di una macchina.
E così Lucia andò da Augusto con il cuore leggero e pesante al tempo stesso: "Sono due femmine. Come facciamo?"
"E che problema c'è? Ne volevamo tanti, no? San Giuseppe ci ha fatto la grazia! Dove potevano mangiare in tre, mangeranno in quattro. La guerra non durerà per sempre: stà serena Lucia, che quando ti preoccupi ti viene la faccia brutta."
Augusto non è mai stato un tipo sdolcinato, ma neanche uno che si spaventava facilmente.
Augusto era una roccia.

Il travaglio cominciò un mese dopo, al tramonto. Mia madre andò a casa di Lucia ed io tenni Sandro ed Enrico con me.
Mi ricordo tutto di quelle ore. I bambini erano molto agitati, non stavano fermi un attimo e crollarono addormentati solo a sera tarda, accoccolati vicino alla stufa come due gattini. A quel punto li presi in braccio uno alla volta e li infilai nel lettone con me.
Loro dormirono profondamente tutta la notte, ma io non chiusi occhio: ero troppo curiosa di vedere le mie nipotine nuove di zecca. Me le immaginavo belle come Lucia, con le guanciotte rosa e le ciglia lunghe, due principessine, due regine. Due bambine belle come le figlie dei Signori.

Scivolai fuori dal letto all'alba, uscì a prendere le uova ed in cortile incontrai mia madre. Aveva una faccia che non le avevo mai visto, con due occhi grandi ma vuoti. Disse solo: "I bambini, dobbiamo pensare ai bambini"
Non avevo mai visto mia madre piangere, neanche quando mio padre l'ammazzava di botte, neanche quando lo stomaco le faceva male dalla fame.
Mia madre piangeva ed io sentivo il mio cuore spezzarsi.
Lucia, la mia Lucia, se n'era andata: il signore si era preso lei e le sue due gemelline.
"I bambini, dobbiamo pensare ai bambini" ripeteva mia madre.
Io avrei voluto scappare, scappare come facevo un tempo, correre fino a quando ti sembra di scoppiare e non senti più il dolore e neanche la paura.
Ma questa volta non potevo, non ero più una bambina, non c'era più Lucia, c'ero solo io.
"I bambini, dobbiamo pensare ai bambini"

I bambini adesso erano l'unica cosa importante.

Continua...

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