Pancrazia ha una bella cantina. Grande e pulita. Appena trasferitasi nella nuova casa, ella adorava la sua capiente cantina. A tal punto che la di lei espressione preferita era: "Questa cosa non so
La capoccia nostra delle volte è proprio strana. Della notte in cui sorella mia se ne andò ricordo tutto come se fosse successo ieri, ma del funerale invece mi sono rimaste solo poche immagini, facce e parole. Così ingarbugliate che non sono manco sicura di cosa è successo prima e cosa dopo.
La chiesa era piena piena, questo me lo ricordo bene, perché, anche se poveraccia d’origine, Lucia era comunque diventata una Parise e quindi tutto il paese era venuto a piangere, chiacchierare, pregare la Vergine e guardare il carro nero coi cavalli. Così bello che manco una regina.
Io e la mamma eravamo arrivate fino alla prima fila, camminando piano piano e tenendoci per mano, ma posto per noi non ce n’era rimasto. Tutti i parenti d’Augusto avevano già piazzato i loro culoni sulle panche più importanti e non ci pensavano proprio a smuoverli per due disgraziate come noi. Che poi eravamo la madre e la sorella della morta era un particolare che non importava a nessuno. A nessuno tranne che ad Augusto. Lui si alzò subito e venne a prendere mamma mia, se la mise sottobraccio e la guidò fino al signor Ottavio: “Metteteve a lu posto mio”, le disse, “che tanto io seduto nun ce riesco a stare”, e poi tornò da me.
Rimanemmo tutto il tempo in piedi, uno vicino all’altra. A me mi girava la capoccia e se non fosse stato per Augusto che mi stringeva per un braccio sarei finita a terra come un mucchietto di ossi, stoffa e capelli.
“Dove stanno li bambini?”, gli chiesi.
“Nun te preoccupà, oggi li guarda Anna”, mi rispose.
“Anna chi?”
“La levatrice.”
Ero al funerale di Lucia ma l’unica cosa che mi veniva da pensare era che i nipoti miei stavano con un’estranea. Noi seppellivamo la madre loro e quelle anime candide se ne stavano con un’estranea. Chissà se c’avevano paura? Chissà che pensavano? I nipoti miei non ci dovevano stare con un’estranea. Loro una famiglia ancora ce l’avevano e ce l’avrebbero avuta sempre.
Non mi ricordo niente del cimitero o della processione dietro a quel carro per signori. Ma sono sicura che tutti piangevano e si strappavano i capelli, perfino zia Rita: “Cuscì giovane e bella. Glie volevo bene come na figlia”, diceva. A me mi veniva perfino da ridere e pure a Lucia mia se avesse sentito. Ad Augusto no, ed infatti fece mandare via quella vecchia bugiarda in malo modo e da quel giorno si trovò litigato con mezza famiglia.
Tutti piangevano e si strappavano i capelli, tutti tranne la sorella, la madre ed il marito della morta.
Noi avevamo gli occhi asciutti ed il core caduto ai piedi.
All’uscita del camposanto mi vennero incontro zia Caterina e la Vedova del Dottore. La Signora s’appoggiava alla zia d’Augusto, aveva ancora la camicia inamidata e quel profumo buono buono di una volta ma ormai s’era fatta proprio vecchia e si vedeva che di tempo non glie ne rimaneva tanto.
Mi baciò sulla guancia e mi sussurrò: “La nostra amica non l’ho portata. C’è troppa confusione e lei si agita. Ma ti manda questo”, mi aprì la mano, ci lasciò cadere dentro qualcosa, mi baciò un’altra volta e poi s’allontanò.
Abbassai lo sguardo e lo vidi: il bel nastro giallo di Annamaria. Il suo tesoro più grande. Il suo pensiero per me ed il dolore mio.
Guardai il nastro per un attimo ma poi non lo riuscì a vedere più. Gli occhi miei non erano più asciutti e non lo sarebbero stati fino alla mattina dopo.
Continua...
Prologo - 1 - 2 -3-4-5-6-7- 8 - 9 - 10- 11- 12- 13- 14- 15- 16- 17- 18- 19- 20- 21- 22
La chiesa era piena piena, questo me lo ricordo bene, perché, anche se poveraccia d’origine, Lucia era comunque diventata una Parise e quindi tutto il paese era venuto a piangere, chiacchierare, pregare la Vergine e guardare il carro nero coi cavalli. Così bello che manco una regina.
Io e la mamma eravamo arrivate fino alla prima fila, camminando piano piano e tenendoci per mano, ma posto per noi non ce n’era rimasto. Tutti i parenti d’Augusto avevano già piazzato i loro culoni sulle panche più importanti e non ci pensavano proprio a smuoverli per due disgraziate come noi. Che poi eravamo la madre e la sorella della morta era un particolare che non importava a nessuno. A nessuno tranne che ad Augusto. Lui si alzò subito e venne a prendere mamma mia, se la mise sottobraccio e la guidò fino al signor Ottavio: “Metteteve a lu posto mio”, le disse, “che tanto io seduto nun ce riesco a stare”, e poi tornò da me.
Rimanemmo tutto il tempo in piedi, uno vicino all’altra. A me mi girava la capoccia e se non fosse stato per Augusto che mi stringeva per un braccio sarei finita a terra come un mucchietto di ossi, stoffa e capelli.
“Dove stanno li bambini?”, gli chiesi.
“Nun te preoccupà, oggi li guarda Anna”, mi rispose.
“Anna chi?”
“La levatrice.”
Ero al funerale di Lucia ma l’unica cosa che mi veniva da pensare era che i nipoti miei stavano con un’estranea. Noi seppellivamo la madre loro e quelle anime candide se ne stavano con un’estranea. Chissà se c’avevano paura? Chissà che pensavano? I nipoti miei non ci dovevano stare con un’estranea. Loro una famiglia ancora ce l’avevano e ce l’avrebbero avuta sempre.
Non mi ricordo niente del cimitero o della processione dietro a quel carro per signori. Ma sono sicura che tutti piangevano e si strappavano i capelli, perfino zia Rita: “Cuscì giovane e bella. Glie volevo bene come na figlia”, diceva. A me mi veniva perfino da ridere e pure a Lucia mia se avesse sentito. Ad Augusto no, ed infatti fece mandare via quella vecchia bugiarda in malo modo e da quel giorno si trovò litigato con mezza famiglia.
Tutti piangevano e si strappavano i capelli, tutti tranne la sorella, la madre ed il marito della morta.
Noi avevamo gli occhi asciutti ed il core caduto ai piedi.
All’uscita del camposanto mi vennero incontro zia Caterina e la Vedova del Dottore. La Signora s’appoggiava alla zia d’Augusto, aveva ancora la camicia inamidata e quel profumo buono buono di una volta ma ormai s’era fatta proprio vecchia e si vedeva che di tempo non glie ne rimaneva tanto.
Mi baciò sulla guancia e mi sussurrò: “La nostra amica non l’ho portata. C’è troppa confusione e lei si agita. Ma ti manda questo”, mi aprì la mano, ci lasciò cadere dentro qualcosa, mi baciò un’altra volta e poi s’allontanò.
Abbassai lo sguardo e lo vidi: il bel nastro giallo di Annamaria. Il suo tesoro più grande. Il suo pensiero per me ed il dolore mio.
Guardai il nastro per un attimo ma poi non lo riuscì a vedere più. Gli occhi miei non erano più asciutti e non lo sarebbero stati fino alla mattina dopo.
Continua...
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Pancrazia and the City/3
giovedì, luglio 24, 2014
Un altro passaggio obbligato del ritorno alla singletudine consiste nell'iscrizione compulsiva a corsi di vario genere e natura. Il single lungimirante sceglie attività che riempiranno il suo tempo libero, gli consentiranno di fare
Capitolo Ventidue: Mi ricordo tutto di quelle ore
domenica, luglio 20, 2014
Lucia quella sera parlò ad Augusto con il cuore leggero e pesante assieme. “So due femmine” gli disse. “E perché fai quella faccia lì? Nun si contenta? San Giuseppe c’ha fatto la grazia!”
Nella Rete: Brodo Pane
giovedì, luglio 17, 2014
In un anno e mezzo di questa rubrica vi ho parlato di corto-medio e lungometraggi, fotografie sabaude, illustrazioni originali, erasmici documentari, libri nascosti, iniziative online e offline. Ma... Ve lo aspettavate il "ma",
Improvvisadente!
martedì, luglio 15, 2014
Voi che avete fatto venerdì sera? Io sono andata ad uno spettacolo. Uno spettacolo con un nome improbabile ma un fine nobile. Improvvisadente! Una serata di cabaret e improvvisazione per raccogliere fondi in
Capitolo Ventuno: Filtri, polletti e magia
lunedì, luglio 14, 2014
Augusto e Lucia desideravano tanto una femminuccia e sperarono che la benedizione fosse finalmente arrivata quando Enrico aveva quasi due anni. La sorella mia scoprì di essere di nuovo in attesa ed era
Una Pancrazia Mondiale (2014)
lunedì, luglio 14, 2014
Dati i preoccupanti vuoti di memoria emersi durante questo viaggio attraverso gli anni e i mondiali, ho deciso di organizzarmi per tempo e di scrivermi un efficace promemoria per il 2018. Ha vinto
Una Pancrazia Mondiale (2010)
domenica, luglio 13, 2014
Ecco un altro mondiale di cui non ho memoria. E, considerando che si svolse solo quattro anni fa, il fatto è curioso oltre che preoccupante. Ancora una volta chiedo aiuto a Wikipedia. La
Capitolo Venti: “E se te prometto che quando torno te sposo?”
sabato, luglio 12, 2014
Per le strade del paese incontravo spesso Tommaso e Gino. Il primo era rimasto piccoletto, con le ginocchia larghe ed ancora lo stesso sorriso furbo di quando si arrampicava sui rami più alti.
La bellezza è l'unica soluzione
venerdì, luglio 11, 2014
Sono giorni un po' così. Giorni in cui aggiusti una cosa e se ne rompe un'altra. Giorni in cui le spese sono molte più dei guadagni. Giorni in cui hai un milione di
Una Pancrazia Mondiale (2006)
venerdì, luglio 11, 2014
Germania 2006. Cosa ricordo di quell'evento? Tutto. Ricordo che indovinai i pronostici di ogni partita dell'Italia. No, non provai a scommettere, ma forse avrei dovuto, anche perché il talento divinatorio non mi si
Una Pancrazia Mondiale (2002)
martedì, luglio 08, 2014
I Mondiali del 2002 sono perfettamente impressi nella mia mente. Perfettamente e dolorosamente. Furono i campionati della Corea e dell'arbitro Moreno. Ma, per me, furono soprattutto i mondiali di Elmar. Elmar chi? Il
Capitolo Diciannove: Zia Adelì
sabato, luglio 05, 2014
Augusto si godeva le gioie del matrimonio e di una compagna dolce e morbida come un’albicocca matura. Lucia si godeva la vita che aveva desiderato per tanto tempo e che era arrivata quando
Fare, o non fare! Non c'è provare!
sabato, luglio 05, 2014
Io vorrei svegliarmi la mattina e trovare Yoda seduto al tavolo del soggiorno. Vorrei fare colazione con lui, inzuppando pan di stelle nel cappuccino e spalmando nutella sul pan carré. Vorrei iniziare ogni
Una Pancrazia Mondiale (1998)
mercoledì, luglio 02, 2014
Del '98 non ricordo nulla. Nulla di nulla. E' impressionante. Tabula rasa. Niente che sia accaduto nel campo, fuori dal campo, o nella mia vita. Fa quasi paura, anzi no, fa paura sul
La mattina dopo ci svegliammo pieni di energia.
LAmicoFab era pronto a scoprire finalmente Berlino ed io ero pronta a fargli da guida.
Sì, insomma, forse è il caso che dica la verità. Io non ero piena di energia. No. Io ero divorata dall'ansia da prestazione.
Avete presente quei nonni che esibiscono i loro nipotini, tutti orgogliosi e tronfi? Avete presente quando comincia il circo dei "Fa vedere ai signori come fai questo, fai vedere ai signori come fai quest'altro"? E, soprattutto, avete presente questi nani che, con un legittimo moto di ribellione, invece di recitare la filastrocca "che sanno taaanto bene" si mettono le dita nel naso? Tutte e 10 contemporaneamente. Oppure, invece di dire i colori dell'arcobaleno in inglese, cinese e aramaico, "che le lingue sono taaanto importanti", sillabano a rutti il loro nome di battesimo? Sbagliandolo, per giunta!
Ecco la mia situazione fu identica.
Nonna Pancrazia cercò di far dire la poesiola di Natale a Berlino.
Ma quella fancazzista, anarchica, ribelle della Stadt mi si rivoltò contro.
Non avevo programmato un vero e proprio itinerario, ma mi ero fatta un vago elenco delle cose più importanti da far visitare a LAmicoFab. Elenco che vedeva al primo posto l'arioso viale Unter den Linden.
La sciccosa passeggiata. Il corridoio del lusso. Il tappeto rosso della Berlino Est.
Con Unter den Linden non potevo sbagliare. Andiamo: avevo persino scritto un racconto ambientato lì!
Saremmo partiti dalla Porta di Brandeburgo e poi avremmo passeggiato sotto i tigli.
Un doppio colpo con cui avrei steso LAmicoFab, portandolo al deliquio per la capitale teutonica in 5 minuti.
Tutti dovevano amare Berlino quanto me. Tutti!
Era questa la mia missione.
Era questo il mio piano diabolico.
Era questo il mio inevitabile futuro fallimento.
La Porta, da poco restaurata, appariva di quel biancore perfetto, privo di sfumature e anche di fascino. Così diversa da come l'avevo vista io la prima volta quel lontano settembre del 2000. Non solitaria, imponente, e malinconica, ma bianca come il latte e circondata da turisti. Chiassosi, fastidiosi turisti. Idioti che facevano la coda per farsi fotografare accanto a figuranti vestiti da Superman, Batman o Predator.
"Predator? Che cazzo vi fate la foto abbracciati a Predator? Non siete a Los Angeles. Non state passeggiando davanti al Kodak Theatre. Siete a Berlino. Dannazione! Berlino. Ma che vi dice la testa? E perché Predator non ve la stacca quella dannata testa?" sibilavo a denti stretti peggio di un'invasata.
Unter den Linden fu ancora peggio.
Lavori in corso.
Lavori in corso in ogni dove.
Tutto coperto. Niente visibile.
"Vedi là dietro?" dicevo a LAmicoFab.
"Dove?" mi rispondeva lui.
"Là!"
"Là dove?"
"Là! Se ti pieghi di 30° verso destra, giri la testa di 25° verso sinistra, strizzi gli occhi, apri la bocca, fai una giravolta e falla un'altra volta, dietro quelle due gru potrai vedere la punta del tetto dell'Opera. La vedi???"
"Sìììì bellaaaaaa" mi dava retta il mio compare, dimostrando una commovente fiducia nella riuscita del nostro viaggio.
Infine, per fuggire al dolore e risollevare la giornata, ebbi la brillante idea di andare al Pergamon. Il mio Pergamon. Il museo berlinese che meglio conoscevo e che più amavo. L'edificio tra le cui sale mi ero smarrita e ritrovata mille volte, rapita da tanta antica bellezza.
Ebbene, il Pergamon era in restauro. E credo che lo sia ancora. E credo che lo sarà per sempre. E credo che io non ci metterò mai più piede neanche trascinata per i capelli!
Metà delle sale chiuse. Metà delle opere inaccessibili. Il mio amato Attalo confinato chissà dove!
Non era ancora l'ora del tramonto ed io, nonna Pancrazia, ero già sull'orlo di una crisi di nervi.
Berlino si era messa le dita nel naso, anche quelle dei piedi. Aveva sillabato a rutti nome, cognome e persino numero di telefono. E, da un momento all'altro, avrebbe sicuramente fatto pipì in soggiorno. L'avrebbe fatto se non fosse intervenuto lui.
Lui: LAmicoFab.
Continua...
LAmicoFab era pronto a scoprire finalmente Berlino ed io ero pronta a fargli da guida.
Sì, insomma, forse è il caso che dica la verità. Io non ero piena di energia. No. Io ero divorata dall'ansia da prestazione.
Avete presente quei nonni che esibiscono i loro nipotini, tutti orgogliosi e tronfi? Avete presente quando comincia il circo dei "Fa vedere ai signori come fai questo, fai vedere ai signori come fai quest'altro"? E, soprattutto, avete presente questi nani che, con un legittimo moto di ribellione, invece di recitare la filastrocca "che sanno taaanto bene" si mettono le dita nel naso? Tutte e 10 contemporaneamente. Oppure, invece di dire i colori dell'arcobaleno in inglese, cinese e aramaico, "che le lingue sono taaanto importanti", sillabano a rutti il loro nome di battesimo? Sbagliandolo, per giunta!
Ecco la mia situazione fu identica.
Nonna Pancrazia cercò di far dire la poesiola di Natale a Berlino.
Ma quella fancazzista, anarchica, ribelle della Stadt mi si rivoltò contro.
Non avevo programmato un vero e proprio itinerario, ma mi ero fatta un vago elenco delle cose più importanti da far visitare a LAmicoFab. Elenco che vedeva al primo posto l'arioso viale Unter den Linden.
La sciccosa passeggiata. Il corridoio del lusso. Il tappeto rosso della Berlino Est.
Con Unter den Linden non potevo sbagliare. Andiamo: avevo persino scritto un racconto ambientato lì!
Saremmo partiti dalla Porta di Brandeburgo e poi avremmo passeggiato sotto i tigli.
Un doppio colpo con cui avrei steso LAmicoFab, portandolo al deliquio per la capitale teutonica in 5 minuti.
Tutti dovevano amare Berlino quanto me. Tutti!
Era questa la mia missione.
Era questo il mio piano diabolico.
Era questo il mio inevitabile futuro fallimento.
La Porta, da poco restaurata, appariva di quel biancore perfetto, privo di sfumature e anche di fascino. Così diversa da come l'avevo vista io la prima volta quel lontano settembre del 2000. Non solitaria, imponente, e malinconica, ma bianca come il latte e circondata da turisti. Chiassosi, fastidiosi turisti. Idioti che facevano la coda per farsi fotografare accanto a figuranti vestiti da Superman, Batman o Predator.
"Predator? Che cazzo vi fate la foto abbracciati a Predator? Non siete a Los Angeles. Non state passeggiando davanti al Kodak Theatre. Siete a Berlino. Dannazione! Berlino. Ma che vi dice la testa? E perché Predator non ve la stacca quella dannata testa?" sibilavo a denti stretti peggio di un'invasata.
Unter den Linden fu ancora peggio.
Lavori in corso.
Lavori in corso in ogni dove.
Tutto coperto. Niente visibile.
"Vedi là dietro?" dicevo a LAmicoFab.
"Dove?" mi rispondeva lui.
"Là!"
"Là dove?"
"Là! Se ti pieghi di 30° verso destra, giri la testa di 25° verso sinistra, strizzi gli occhi, apri la bocca, fai una giravolta e falla un'altra volta, dietro quelle due gru potrai vedere la punta del tetto dell'Opera. La vedi???"
"Sìììì bellaaaaaa" mi dava retta il mio compare, dimostrando una commovente fiducia nella riuscita del nostro viaggio.
Infine, per fuggire al dolore e risollevare la giornata, ebbi la brillante idea di andare al Pergamon. Il mio Pergamon. Il museo berlinese che meglio conoscevo e che più amavo. L'edificio tra le cui sale mi ero smarrita e ritrovata mille volte, rapita da tanta antica bellezza.
Ebbene, il Pergamon era in restauro. E credo che lo sia ancora. E credo che lo sarà per sempre. E credo che io non ci metterò mai più piede neanche trascinata per i capelli!
Metà delle sale chiuse. Metà delle opere inaccessibili. Il mio amato Attalo confinato chissà dove!
Non era ancora l'ora del tramonto ed io, nonna Pancrazia, ero già sull'orlo di una crisi di nervi.
Berlino si era messa le dita nel naso, anche quelle dei piedi. Aveva sillabato a rutti nome, cognome e persino numero di telefono. E, da un momento all'altro, avrebbe sicuramente fatto pipì in soggiorno. L'avrebbe fatto se non fosse intervenuto lui.
Lui: LAmicoFab.
Continua...
Capitolo Diciotto: 3 luglio 1937
martedì, luglio 01, 2014
Pochi giorni prima delle nozze ci fu l’esposizione del corredo. Entravano tante femmine in casa, toccavano le lenzuola, ribaltavano le coperte, si guardavano in giro e ficcavano il naso zozzo dappertutto. Quel giorno
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- "Pancrazia in Berlin" Il Ritorno/3
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