Il mio Augusto non è mai stato una gran bellezza.
Era piccoletto con la fronte bassa e tanti capelli duri come il fil di ferro, che per sistemarglieli ogni mattina era una battaglia. Lui si sedeva in canottiera ed io bagnavo il pettine in un catino pieno d'acqua. Gli tenevo la testa premuta contro il seno e lui un po' rideva e un po' si lamentava: "Piano Adelì, mi vuoi tirare il collo?" "Ma stai zitto tu, che stai comodo come tra due guanciali". Quello era il nostro momento della giornata e ci piaceva così tanto che andammo avanti a farlo anche quando di capelli glien'erano rimasti pochini.
Augusto era anche zoppo, perché da bambino aveva avuto quella brutta malattia, quella che ti lascia con una gamba più piccola dell'altra: la polio. Per camminare aveva bisogno del bastone, ma lavorava come e più degli altri, faceva il doppio della fatica e non chiedeva mai sconti.
Ma a quei tempi ancora non lo conoscevo e, quel giorno di settant'anni fa, quando lo incontrai non vidi un uomo per bene, ma solo un porco arrivato per mettere le zampacce su mia sorella.
Lui e mia madre rimasero a parlare per ore, facendo conti e progetti: "Soldi ce ne sono pochi, ma non dobbiamo farci ridere dietro da nessuno in paese. Basterà fare qualche sacrificio in più. Sarai bellissima Lucia mia, moriranno tutte d’invidia!"
Io non ci capivo niente, mi sembrava di stare facendo un brutto sogno, uno di quelli che ti ci vuole un pizzico bello forte per svegliarti.
Quando finalmente ci trovammo da sole, sdraiate tutte e tre nel lettone che dividevamo, feci la domanda che mi tenevo dentro da ore: "Perché Lucia deve sposare quello storpio schifoso?"
Non ebbi neanche il tempo di vederlo arrivare, ma sentì solo lo spostamento d’aria: mia madre mi mollò un ceffone, che a ripensarci adesso ancora mi fa male. "Guai a te se lo dici un’altra volta. Tu sei solo una ragazzina, che ne vuoi sapere? Questo matrimonio è una benedizione."
Io piansi in silenzio, al buio, per il dolore e l'umiliazione.
Lucia, accanto a me, attese che il respiro di nostra madre si facesse regolare, poi mi abbracciò stretta stretta e mi sussurrò all’orecchio: "Augusto è un bravo ragazzo"
"E' brutto come il peccato e con quel piede storto sembra un demonio arrivato dall'inferno"
"Esagerata, non è così male. E poi io sono senza dote: è una vera fortuna che almeno lui mi voglia"
"Ma che bisogno c'è di sposarsi?"
"Io voglio una famiglia"
"Io e mamma siamo la tua famiglia"
"Voglio dei figli"
A questo non avevo niente di buono da rispondere e così continuai a piangere.
Piangevo perché il mio mondo veniva stravolto.
Piangevo perché Lucia se ne andava e ci lasciava sole.
E, anche se non l'avrei mai ammesso neanche al diavolo in persona, piangevo perché io sarei rimasta intrappolata in quella vita mentre lei andava avanti.
Lucia ed Augusto si sposarono il 24 aprile del 1938.
Continua...
Prima parte, seconda parte, terza parte
Era piccoletto con la fronte bassa e tanti capelli duri come il fil di ferro, che per sistemarglieli ogni mattina era una battaglia. Lui si sedeva in canottiera ed io bagnavo il pettine in un catino pieno d'acqua. Gli tenevo la testa premuta contro il seno e lui un po' rideva e un po' si lamentava: "Piano Adelì, mi vuoi tirare il collo?" "Ma stai zitto tu, che stai comodo come tra due guanciali". Quello era il nostro momento della giornata e ci piaceva così tanto che andammo avanti a farlo anche quando di capelli glien'erano rimasti pochini.
Augusto era anche zoppo, perché da bambino aveva avuto quella brutta malattia, quella che ti lascia con una gamba più piccola dell'altra: la polio. Per camminare aveva bisogno del bastone, ma lavorava come e più degli altri, faceva il doppio della fatica e non chiedeva mai sconti.
Ma a quei tempi ancora non lo conoscevo e, quel giorno di settant'anni fa, quando lo incontrai non vidi un uomo per bene, ma solo un porco arrivato per mettere le zampacce su mia sorella.
Lui e mia madre rimasero a parlare per ore, facendo conti e progetti: "Soldi ce ne sono pochi, ma non dobbiamo farci ridere dietro da nessuno in paese. Basterà fare qualche sacrificio in più. Sarai bellissima Lucia mia, moriranno tutte d’invidia!"
Io non ci capivo niente, mi sembrava di stare facendo un brutto sogno, uno di quelli che ti ci vuole un pizzico bello forte per svegliarti.
Quando finalmente ci trovammo da sole, sdraiate tutte e tre nel lettone che dividevamo, feci la domanda che mi tenevo dentro da ore: "Perché Lucia deve sposare quello storpio schifoso?"
Non ebbi neanche il tempo di vederlo arrivare, ma sentì solo lo spostamento d’aria: mia madre mi mollò un ceffone, che a ripensarci adesso ancora mi fa male. "Guai a te se lo dici un’altra volta. Tu sei solo una ragazzina, che ne vuoi sapere? Questo matrimonio è una benedizione."
Io piansi in silenzio, al buio, per il dolore e l'umiliazione.
Lucia, accanto a me, attese che il respiro di nostra madre si facesse regolare, poi mi abbracciò stretta stretta e mi sussurrò all’orecchio: "Augusto è un bravo ragazzo"
"E' brutto come il peccato e con quel piede storto sembra un demonio arrivato dall'inferno"
"Esagerata, non è così male. E poi io sono senza dote: è una vera fortuna che almeno lui mi voglia"
"Ma che bisogno c'è di sposarsi?"
"Io voglio una famiglia"
"Io e mamma siamo la tua famiglia"
"Voglio dei figli"
A questo non avevo niente di buono da rispondere e così continuai a piangere.
Piangevo perché il mio mondo veniva stravolto.
Piangevo perché Lucia se ne andava e ci lasciava sole.
E, anche se non l'avrei mai ammesso neanche al diavolo in persona, piangevo perché io sarei rimasta intrappolata in quella vita mentre lei andava avanti.
Lucia ed Augusto si sposarono il 24 aprile del 1938.
Continua...
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