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Il vecchio Pietro Taccagni stava tornando a casa. 
La città era ricoperta da un sottile strato di neve e l'aria era gelida. 
Ma a lui non importava, dato che il suo cuore era più freddo ancora, così come la sua anima. 

Le finestre dei palazzi svelavano scene di famiglie festose e alberi addobbati. "Che ci troveranno tutti in questa festa?" si chiedeva tra sé e sé l'anziano commerciante. "E che avranno da festeggiare? Più sono poveri e più gioiscono, manica di folli! Il Natale non è altro che un giorno di scadenze quando non s'hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un'ora più ricchi!" borbottava, profondamente infastidito dal fatto che, ogni anno, i suoi dipendenti pretendessero di stare a casa per le feste. “Pigri, vogliono fare la bella vita a mie spese!” ringhiava a denti stretti. Poi, lanciando uno sguardo in tralice alla Mole, illuminata da giorni per l'occasione, "Che spreco di soldi e watt!", gridò e prese a camminare reggendosi al bastone. 

Camminò fino a giungere sotto i portici di via Po e fu lì che cominciò una serie di “spiacevoli” incontri.

Per prima cosa vide venirgli incontro Paolo, un cugino con cui aveva condiviso mille giochi d’infanzia. “Pietro!” urlò questi allargando le braccia in un gesto accogliente e poi, cieco e sordo di fronte all’evidente fastidio del vecchio compagno di giochi, gli attaccò un bottone infinito. Parlò a lungo dei bei tempi andati, di quanto dovessero frequentarsi di più, fino ad invitarlo al pranzo del giorno dopo. “Non ci penso neanche”, rispose acido Taccagni. “Per me domani è un giorno come un altro. Io lavoro, non sono mica un vërgnach!” Ma, l’altro, conoscendo bene il caratteraccio del cugino, non si fece abbattere: "Dai, non fare il solito bastian contrari, tutti amano il Natale. Goditi la festa con noi, con la tua famiglia. La mia signora preparerà vitello tonnato, acciughe al verde, agnolotti del plin e bollito misto!" “Tutto questo spreco? Un po’ di semolino in brodo e poi i miei cari libri contabili, ecco come trascorrerò questo Natale. Con l’unica persona interessante che conosco: io! E pensando all’unica cosa che importa: i soldi! Se proprio andrò a trovar qualcuno sarà quel buono a nulla del mio commercialista”, ripose e se ne andò via senza guardarsi indietro. 

Giunto in Piazza Castello, s'imbatté in un mendicante, "Me la dà una moneta, monsù?" gli chiese questi, facendo una riverenza così profonda che la punta del naso quasi gli toccò le scarpe sfondate. "Allontanati, scansafatiche!" lo minacciò il vecchio avaro col suo bastone. Poi allungò il passo per lasciarlo rapidamente alle spalle. Continuò a camminare e lamentarsi, “Tutti questi poveracci che infestano le strade dovrebbero metterli alle Vallette, così stanno al calduccio e smettono di dare fastidio alla brava gente!” 

Attraversando il cuore della città, si sforzò di ignorare le luminarie, maledisse la puzza delle caldarroste e poi, quando pensava di essere finalmente al riparo da ulteriori scocciature, girando l’angolo quasi andò a sbattere contro una giovane famiglia carica di pacchi. La più piccola del gruppo, una bimba avvolta in un candido piumino, ebbe l'ardire di rivolgergli la parola. "Buon Natale signore", disse mentre portava orgogliosa un cabaret di bignole tra le mani. "Buon Natale, signore" ripeté sfoggiando un adorabile sorriso sdentato, ma Taccagni sbuffò sgarbato e si rifiutò di contraccambiare. 

Stufo di tutti quegli incontri, attraversò di corsa il portone e si rifugiò in casa propria. Una volta dentro si mise le pantofole, la veste da camera e un berretto di lana, necessario dato quanto teneva basso il riscaldamento perché “Un po’ di freddo fortifica, il caldo rammollisce e, soprattutto, rende poveri!”

Mangiata una mela cotta del giorno prima si mise comodo sulla sua vecchia poltrona e, dopo pochi minuti, si assopì o almeno si convinse di essersi addormento perché, tutto quello che gli accadde nella mezz’ora successiva, non poteva che essere un sogno. Il più strano dei sogni! 

Era sulla sua poltrona quando venne svegliato da strani rumori che provenivano da ogni angolo della casa. Catene, scricchiolii, porte che sbattevano. 

Taccagni si mosse per tutto l’alloggio tra il terrorizzato e l’indignato, temendo la presenza dei ladri o di qualche sciocco ragazzino in vena di scherzi. Era pronto a chiamare la madama quando, al fondo del corridoio, vide suo cugino. 
“Paolo? Sei tu? Ma che ti prende? Pensi di essere divertente? Come diavolo sei entrato?” più il vecchio faceva domande più il cugino si avvicinava senza parlare. Non camminava, fluttuava con i piedi a qualche centimetro dal pavimento. Non era fatto di carne, era trasparente, un fantasma. Taccagni si aggrappò al bastone e si tenne il petto, temendo di stare per avere un infarto da un momento all’altro, “Chi sei? Cosa sei?” chiese. Fu solo a quel punto che la spettrale figura gli fu accanto e gli sorrise, “Sono il fantasma dei Natali Passati” “Il che?”, ma non ebbe risposta e in un battito di ciglia si trovò altrove. Un altro luogo, un altro tempo. In provincia, dove aveva vissuto da piccolo. 

“Guarda com’eri felice” gli disse il fantasma. E, spiando attraverso la finestra di quella che un tempo era stata la casa della sua famiglia, il vecchio commerciante si rivide da piccino con la sua mamma, la nonna e anche il cugino di cui il fantasma aveva preso le sembianze. 
“È passato tanto tempo”, disse Pietro in un sospiro. “Ero un piccolo sognatore, convinto di sapere tutto ma non sapevo niente. Pensavo di essere felice ma guarda in che catapecchia vivevo, guarda che vestiti logori portavo”. 
“E ora? Ora credi di stare meglio? Ora credi di sapere tutto?” gli disse il fantasma prima di riportarlo indietro.

Taccagni non ebbe neanche il tempo di riprendere fiato che ebbe un nuovo sussulto, accanto a lui non c’era più l’anima di prima ma il senzatetto che aveva incrociato per strada. “Lei che ci fa qui?” gli chiese irritato, ma poi si rese conto che anche i piedi di quest’ultimo non toccavano terra e che pareva fatto di aria e non di carne. 
“Oh cielo, ancora?” 
“Sì, io sono il fantasma del Natale Presente e voglio mostrarti come festeggiano gli altri mentre tu stai ad annoiarti da solo” 
“Annoiarmi? Io...” ma Pietro non ebbe il tempo di ribattere che, in un secondo, si trovò in strada. Con suo grande stupore il fantasma non lo portò in uno di quei palazzi che aveva visto prima, quelli addobbati e luminosi, ma nelle case più modeste, con pochi addobbi e ancor meno doni. “Lo sanno, lo sanno di avere poco o nulla”, gli spiegava il fantasma. “Ma non si arrendono e cercano di rendere migliore l’uno la vita dell’altro, con il loro amore”. “Quante insensate sdolcinatez...” stava per rispondere sgarbatamente Pietro, quando la sua attenzione cadde su una giovane madre. Ella stringeva al petto il suo piccolo bambino mentre il padre disegnava con dei pastelli un albero addobbato sul muro di casa. “Come sono belli” pensò un secondo prima di materializzarsi nuovamente a casa propria. 

Rimasto solo, si guardò in giro sospettoso, “Non c’è due senza tre” disse e infatti, da dietro la poltrona, spuntò un folletto. No, anzi, una bimba, la bimba incontrata per strada. Con una veste candida e i piedi nudi e svolazzanti. “Non hai freddo?” le chiese Taccagni sorpreso. “No” “Sei il Natale futuro?” “Esatto” “Va bene, andiamo”. 

Pietro si era quasi abituato a quel sogno strano, ma a sorprenderlo ci pensò la bambina. 
“Un cimitero? Mi hai portato al Monumentale?” le chiese. 
“Guarda”, rispose lei indicandogli una lapide, “Pietro Taccagni, instancabile lavoratore”. 
Davanti alla tomba nessun fiore. Solo pietra liscia e fredda. 
“Non vien mai nessuno a trovarmi?” 

A questa domanda la bimba ripose portandolo in giro per la città, dai suoi vecchi dipendenti, i parenti, i compagni di scuola. “Il primo anno senza quell’avaraccio!” diceva uno. “Non mancherà a nessuno!” rispondeva l’altro. “Avido com’era sarà finito all’inferno e avrà chiesto al diavolo di abbassare le fiamme per non spendere troppo di gas!” Tutti ridevano di lui, nessuno lo ricordava con rispetto o un po’ di tenerezza. Solo il cugino Paolo, guardando un vecchio album di famiglia, diceva alla moglie “Eravamo così uniti, poi lui è diventato sempre più ambizioso, sempre più desideroso di arricchirsi. Si è allontanato da tutti ed è morto da solo. Forse avrei potuto fare di più, avrei dovuto insistere, andare a trovarlo più spesso.” Lei lo stringeva con tenerezza, “Non ti crucciare, ognuno sceglie il proprio destino, lui scelse il suo molto tempo fa”. 

Pietro aprì gli occhi, si era addormentato sulla sedia, fuori albeggiava. Un sogno, era stato solo un sogno. Raccolse i resti della cena sul tavolo e girò a lungo per le numerose stanze vuote della sua grande casa. Un sogno, davvero uno strano sogno. “Ognuno sceglie il proprio destino”, ripeté più volte, poi si vestì e corse in pasticceria a comprare un regalo: un panettone basso con la glassa. Infine si diresse a passi distesi verso la casa del cugino. Non aveva neanche più bisogno del bastone, sentiva di avere tutta la forza necessaria per percorrere la nuova via che aveva scelto. 

“Buon Natale, signore” sentì una vocina alle sue spalle. Era la bimba del giorno prima. 
“Buon Natale anche a te”, le rispose. 
Ormai è quasi Natale ed è il momento perfetto per scrivere un racconto a tema. 

Per queste feste, ti regalo 3 spunti. 

Il tuo racconto dovrà: 
1. Essere ambientato durante la notte del 24 Dicembre; 
2. Avere come protagonista: un bambino o una bambina o un animale; 
3. Avere nella trama: qualcosa o qualcuno che viene perduto e ritrovato. 

Tutto chiaro? 

Buona scrittura... e se hai piacere di avere un feedback da parte mia, manda il tuo racconto a janecole@live.it 

Buone feste!

Si avvicina il Natale e io mi sono data alle letture stagionali, quelle che profumano di vischio.

In realtà, quest'anno, mi sono data soprattutto alle riletture. 
In particolare, sto ascoltando, in rigoroso ordine cronologico, i 4 audiolibri che compongono la saga delle sorelle March. 

Da bambina lessi Piccole Donne e Piccole Donne Crescono. Ora, da adulta frollata, sto affrontando per la prima volta anche Piccoli Uomini e I Ragazzi di Jo. 

Piccole Donne rappresenta una pietra miliare nella letteratura per ragazzi e, tanto onore, merita un post dedicato. Un post in cui ho deciso di elencare 10 curiosità sul libro che, forse, ancora non conosci. 

1) Louisa May Alcott non voleva scrivere questo libro.
Fu l'editore a chiederle esplicitamente un romanzo per ragazzine di buona famiglia. Lei, da suffragetta impegnata qual era, trasalì e rifiutò. Per convincerla ci volle la proposta di un contratto editoriale anche per il padre filosofo. Cosa non si fa per la famiglia! 

2) Louisa scrisse il romanzo, che tanto non voleva scrivere, in sole 10 settimane.
Che fosse incredibilmente ispirata o semplicemente volesse togliersi il pensiero in fretta, non ci è dato sapere. Ma resta il fatto che, in poco più di due mesi, realizzò un libro che sarebbe stato amato da tutte le ragazzine del mondo. 

3) Il romanzo ebbe da subito un successo strepitoso.
Non si trattò di quei casi di riscoperte a posteriori o long seller che lentamente si fanno strada nei cuori dei lettori di tutte le epoche. No, Piccole Donne fu un successo editoriale fin dai primi momenti. 

4) Questo forse l'hai già sentito: il personaggio di Jo non si doveva sposare.
Louisa May Alcott voleva che alla fine Jo fosse una donna realizzata, ricca di passioni ma single, o meglio zitella, come si diceva allora. Una donna felice e indipendente che non aveva bisogno di un uomo. Una visione modernissima per l'epoca. Talmente moderna che l'editore la bocciò, ritenendo che le giovani lettrici avrebbero di gran lunga preferito un happy ending classico con tanto di principe azzurro. La Alcott dovette cedere a queste insistenze ma lo fece a modo suo, decidendo di non far finire Jo con il personaggio più ovvio. Niente Laurie: ragazzo americano, giovane, bello e ricchissimo. Meglio il Professor Bhaer: tedesco, poco attraente, in là con gli anni e povero in canna. 
Entrambi dal cuore d'oro, però.

5) L'autrice saccheggiò la propria vita e la propria famiglia per dare forma ai personaggi che avrebbero animato il suo libro. Lei stessa, infatti, era la secondogenita di 4 sorelle, proprio come Jo. Con cui condivideva, ovviamente, anche la passione per la scrittura. Sua sorella maggiore era una donna che amava il marito e i figli, come Meg. La più piccola della famiglia era una capace artista, come e più di Amy. E, purtroppo, l'amatissima terzogenita, Elizabeth nel libro e nella realtà, morì di scarlattina a soli 22 anni. 

6) Anche i genitori Alcott sono serviti da canovaccio per creare i signori March, con cui condividevano infatti la passione per la cultura e per l'impegno sociale.

7) Lo stesso Laurie pare essere ispirato a un tale Laddie, musicista polacco, che la scrittrice avrebbe conosciuto in Europa e con il quale avrebbe anche condiviso una breve vacanza a Parigi. Tra gossip e realtà non sapremo mai quale sentimento unisse veramente i due ma non c'è niente di male a sognare la (un po') bacchettona Alcott alle prese con un amore fugace per le strade della Ville Lumière. 

8) Persino la casa della famiglia March condivide con quella degli Alcott praticamente tutto: dal nome, al luogo (il Massachussets) fino all'aspetto. Tanto che Orchard House è diventata un feticcio per gli amanti della lettura di tutto il mondo e, trasformata in museo, accoglie ogni anno migliaia di visitatori curiosi di vedere dove le gesta di Louisa May, nonché quelle di Jo, abbiano avuto luogo. 

Che dire? Forse l'autrice americana ha fatto così in fretta a scrivere l'opera perché ha dovuto davvero inventare ben poco.

9) Piccole donne venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1868. Un anno dopo, nel 1869, uscì anche Piccole Donne Crescono. I due volumi rimasero separati per 11 anni, poi – a partire nel 1880 – vennero uniti in un unico tomo e, ancora adesso, vengono pubblicati in questo modo negli USA. 

10) Diversa la situazione in Italia (come saprai) ma anche in altri paesi, come Francia e Inghilterra, dove i due volumi sono sempre stati pubblicati separatamente, forse perché ritenuti in questo modo più appetibili per il pubblico dei più giovani. 

Conoscevi qualcuna di queste curiosità? 
E qual è il tuo volume preferito della saga?



N.d.A. Immagine di janwillemsen.

Chissà cosa ricorderà Giulia di quella notte. 
Aveva solo tre anni, i capelli biondi e lo sguardo vispo. 

Forse ricorderà il caldo abbraccio della mamma: 
"Svegliati amore mio. Facciamo questo gioco: devi stare zitta e buona, non devi farti sentire dal papà."

Forse ricorderà le scale fatte di corsa: 
"Va tutto bene. Andiamo dai nonni, gli facciamo una bella sorpresa." 

Forse ricorderà il viaggio in macchina, il freddo attraverso il pigiama, una porta aperta nel cuore della notte ed il nonno con il viso pieno di sonno: 
"Cosa è successo? Che ci fate qua?" 

Forse ricorderà le lacrime della nonna e le parole concitate dello zio: 
"Io lo ammazzo! Se ti tocca ancora giuro che lo ammazzo!" 

Forse non ricorderà nulla, ma tutta quella notte rimarrà impressa indelebilmente dentro di lei. 

Paola ricorderà per sempre il pomeriggio di quello stesso giorno. Le botte del marito. Quei colpi secchi che le piovevano addosso, dappertutto tranne che sul viso. Sul viso no. Sul viso mai. Altrimenti gli altri avrebbero visto e capito. Una scena che si ripeteva sempre uguale ormai da anni. Ma quella volta era stato diverso. Quella volta Giulia aveva alzato le manine per difenderla: "No, papà, no!" 

La sua bambina era stata forte e coraggiosa. Forte e coraggiosa come lei non riusciva più a essere, come lei aveva dimenticato di poter essere. Fu quello l'istante in cui Paola, svegliatasi dall'apatia e dall'accettazione in cui era caduta, decise che se ne sarebbero andate. 

Dopo quella notte, la madre di Giulia ha dovuto affrontare mille battaglie in tribunale. È stata messa in discussione come persona, come moglie e come madre, ma non ha mai mollato. L'ha fatto per se stessa e per sua figlia. L'ha fatto perché era suo il compito di proteggere la piccola dalle brutture del mondo e non doveva essere la bambina a proteggere lei. L'ha fatto perché si è ricordata di quanto anche lei potesse essere forte e coraggiosa. 

Paola sta ancora lottando. 
Lotta contro un sistemo giudiziario lento, cieco e sordo. 
Lotta contro i ricatti e la violenza psicologica dell'ex marito. 
Lotta soprattutto contro i pregiudizi di chi pensa che, se permetti ad un uomo di ridurti così, è soprattutto colpa tua. 

Paola non si arrende e ogni sforzo è ripagato da una ritrovata libertà e dal viso sereno della sua bambina. 

– Questo racconto è un omaggio a una donna coraggiosa, che ho avuto l'onore di conoscere, e a tutte le donne che combattono ogni giorno per la propria dignità e per il diritto dei propri figli ad avere un'infanzia serena. – 

25 Novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

 


Da oggi trovi una piccola novità su queste pagine. 
Dai un'occhiata alla colonna di destra... in alto... la vedi? 
Ecco quella è la porta alla mia vetrina Amazon. 

Una pagina Amazon, appunto, dove trovi tutti i miei consigli di lettura, quelli generici e quelli legati alla scrittura creativa. 

Libri che intrattengono, libri che coinvolgono, libri che insegnano. 

Se acquisterai uno di questi libri direttamente dalla mia vetrina, il prezzo per te non cambierà, sarà quello standard disponibile per tutti, ma io riceverò un piccolo(issimo) contributo dalla piattaforma. 

Per te quindi non ci sarà un sovrapprezzo ma per me ci sarà un aiuto al mio lavoro, una spinta a far sempre meglio, uno stimolo a creare contenuti sempre più validi. 

Detto ciò, se non vuoi acquistare online o se preferisci altri siti, lo capisco, amici come prima.

E ora e sempre, buona lettura!

Oggi ho scelto una citazione che non fa riferimento alla scrittura, è qualcosa di più ampio che riguarda le aspirazioni personali, la voglia di migliorarsi e quella di creare. O, almeno, è così che la vedo io.

Io sono quel tipo di persona in continua ricerca, personale e professionale. 

Spingersi, migliorare, volere fare di più, nuovi corsi, nuove lingue, ancora libri. Questo mi appartiene. E, onestamente, è una parte del mio carattere di cui vado molto fiera.

Ma questa citazione, sentita la settimana scorsa durante un incontro di biblioterapia (in futuro ve ne parlerò), mi ha ricordato la necessità di essere buona con me stessa, di godermi i risultati che ottengo, perché derivano dal mio impegno e dovrei esserne orgogliosa. 
Orgogliosa di quello che faccio e di quello che sono, degli obiettivi raggiunti, della cura che ogni giorno dedico al mio giardino. 

Faccio il meglio che posso e dovrei ricordarmi più spesso che dovrebbe essere abbastanza. Abbastanza per me, per il mio giudizio, che è il più importante.

A seguire il testo da cui è tratta la citazione della psicoanalista Marina Valcarenghi.

"Esiste dunque un giardino per ognuno di noi che ci viene consegnato quando veniamo al mondo. 

A mano a mano che diventiamo grandi impariamo a conoscerlo: non abbiamo deciso quanto è grande, né se sia o no bene esposto al sole, se sia fertile o roccioso, arido o naturalmente bene irrigato e neppure sappiamo per quanto tempo ci sia dato di coltivarlo. 

Ma il compito principale di tutta la nostra esistenza è di farlo fiorire, di farlo essere al suo meglio.

Ognuno di noi farà quello che può mediando fra la natura del suo giardino e le sue aspirazioni: potranno crescere margherite o pomodori o orchidee; chi pianterà alberi d'alto fusto e chi rosai o lamponi: ciò che conta è il piacere di trasformare un terreno in un giardino e di riconoscere che quello 'è proprio il nostro giardino'. 

Per coltivare un terreno, bisogna saperlo difendere, recintarlo, sistemare un cancello, regolamentare le visite, escludere gli importuni, i perdigiorno e i violenti; è, questo, un diritto-dovere in assenza del quale nessuna coltivazione darà frutti." 
Mi chiamo Tina, 
ho 15 anni. 

Con me ho un sacchetto di marshmallow nascosto nella borsa, i miei occhiali da sole in testa per tenere indietro i capelli nerissimi e i braccialetti che mi tintinnano ai polsi. 

Cammino. 
Lui accosta. 
Mi trascina in macchina. 

Resti di mela sul cruscotto, una birra in mano, puzza di sigaretta. 
Chiude le sicure. 
“Fammi uscire, voglio uscire!” 

Non mi ascolta. 
Perché dovrebbe? Per lui io non sono niente, meno di niente, meno del cane che tiene legato alla catena. 

Combatto, mi ribello, sono forte, devo essere forte. 

Non basta. 

Sono stesa in mezzo ai sassi, sono nuda. 
L’uomo bianco m’infila in un sacco, io guardo dall’alto le mie braccia sottili. 

Il mio corpo scivola nell’acqua. 
Non sento più nulla. 

Raggiungo le mie sorelle, siamo in tante nella prateria.  
Ma a nessuno importa di noi, nessuno si ricorda di noi. 

Mi chiamavo Tina, 
avevo solo 15 anni. 

Le donne e le ragazze native americane sono vittime, a partire dagli anni ’80, di un massacro sistematico ad opera dei suprematisti bianchi. 

Il numero complessivo delle vittime in Canada, paese in cui si consumano prevalentemente queste tragedie, potrebbe toccare la sconvolgente cifra di 4000. Ad ammetterlo è stato, nel 2016, lo stesso Governo Canadese, attraverso la voce della ministra per la Condizione delle donne, Patty Hajdu. Fino a quel momento, in base alle dichiarazioni ufficiali della polizia, si riteneva che il numero delle vittime fosse “solo” di 1200. 

I suprematisti uccidono le donne fertili per sterminare definitivamente i Nativi. 
Violentano e uccidono le donne perché, come sempre, sono le vittime predestinate. 

Un caso tra i tanti è quello di Tina Fontaine, quindicenne scomparsa nel 2014. 
Il suo corpo venne trovato una settimana dopo, avvolto nella plastica e in alcune coperte, nelle gelide acque del Red River, il Fiume Rosso che attraversa la provincia canadese di Manitoba. 
Raymond Cormier, uomo bianco di 53 anni, venne incriminato con l’accusa di omicidio di secondo grado. Giudicato non colpevole nel 2018. 

Lo sterminio delle donne Native Americane è fatto di vittime invisibili e uomini bianchi non colpevoli.

Io vengo da una famiglia numerosa. 
Mia madre ha quattro sorelle e tre fratelli. Mio padre: una sorella e tre fratelli. 
Agli zii sono da aggiungersi i loro consorti, i cugini e ora anche i figli dei cugini. 
Molto numerosa, appunto. 

E chi, come me viene da una famiglia numerosa, si sarà reso conto che, a questa grande massa di facce e ricordi, appartengono anche i nonni. Non i propri, quello è ovvio, ma i nonni degli altri. Nel mio caso specifico, le nonne. 

Le nonne dei cugini, tutte vedove, che da bambina vedevo periodicamente alle feste e che mi hanno vista crescere alla periferia della vita dei loro nipoti. 
Io ho avuto due nonne molto ingombranti, per motivi diversi, ma le nonne degli altri non sono comunque sfuggite al mio occhio, guadagnandosi uno spazio nei miei ricordi. 

Negli anni se ne sono andate, chi prematuramente, chi attaccata alla vita con le unghie e con i denti fino all'ultimo. È successo anche l’altro giorno, se n’è andata la mia ultima “nonna degli altri” e, per questo, ora mi trovo a fare i conti con queste figure sfocate ma presenti. Voci timide o stentoree, mani grandi o piedi piccoli, dame uscite da una pellicola o paesane cresciute nei vicoli. Personaggi secondari della mia infanzia come io lo sono stata della loro vecchiaia, ma non per questo meno evidenti e caratteristiche. 

Una di loro avrebbe potuto insegnarmi l'eleganza, una pareva aver segreti che non voleva condividere, un'altra ancora mi avrebbe aspettato con il motore acceso se glielo avessi chiesto e dell'ultima, pur se non parlava ormai da anni, non dimenticherò mai la voce forte mentre chiamava le mie cugine o sua figlia. 

Ora se ne sono andate tutte. 
Questo non è il mio lutto ma loro apparterranno per sempre ai ricordi della me bambina e ragazzina, perché di nonni non ce ne sono mai abbastanza.

N.d.A: in foto ci sono due dei miei nonni... quelli regolari.

Questa sarà la notte di Halloween e questo l'ultimo post dei miei consigli di lettura. 

Per la notte da brivido mi sono tenuta il libro migliore alla fine. 
Uno dei miei romanzi preferiti. Una delle storie che avrei voluto scrivere io. Un'autrice straordinaria. Un mostro che è entrato negli incubi di tutti. Ma soprattutto temi come il rapporto tra la scienza e l'uomo, il delirio di onnipotenza, il doppio. 

Il dottor Frankenstein è il moderno Prometeo. Il titano si ribella agli dei per portare il fuoco agli uomini, così lo scienziato sfida il ruolo di Dio portando in vita un corpo morto. 

La leggenda dice che l'idea raggiunse Mary Shelley in sogno, durante una notte di tuoni e fulmini. Quale notte migliore per la nascita della Creatura? Mostro ma vera vittima. 

Il tutto scritto da una donna, diciannovenne all'inizio del 1800. 

Questo libro meriterà come minimo un altro post. 
Voi, intanto, se non l'avete ancora fatto, correte a leggerlo.

E buona notte delle streghe a tutti!


Ero molto piccola quando, un sabato sera, mi trovai a dormire da mia cugina Manuela, di qualche anno più grande di me. 

Quella sera mia cugina mi insegnò che lei a letto teneva sempre il lenzuolo fin sotto il mento, per evitare di essere morsa dai vampiri. 
Io ero piccola, lei era più grande, lei non poteva che avere ragione. 

Da quella notte dormo con il lenzuolo pure se ci sono 30 gradi e ormai lo so che i vampiri non esistono ma... 
ma meglio stare attenti, non si sa mai. 

Questo è il motivo principale per cui non ho mai letto Dracula di Bram Stoker. Ne ho ammirato e amato la versione cinematografica di Coppola, come del resto sono stata un'accanita fan di Buffy ma il libro di Stoker no, quello non me la sono mai sentita di affrontarlo. I libri sono tutta un'altra cosa. Fanno molta più paura. Almeno a me. Le loro parole affondano in profondità molto più delle immagini, s'insinuano nella mente e smuovono timori atavici. 

Il Discepolo di Elizabeth Kostova però l'ho letto. O meglio, lo lessi anni fa, in un momento in cui mi sentivo particolarmente sicura di me. Ero un'adulta, potevo affrontare la sfida, non ero più impressionabile. Mi lanciai nella lettura con entusiasmo. 

Non ero neanche a pagina 100 quando andai da mia madre e le chiesi: "Ma la mia croce del battesimo ce l'abbiamo ancora?" 
La indossai per tutte le restanti 570 pagine. 
Perché i vampiri non esistono ma... 

Tutto questo per dire che, non è un vero Halloween senza un bel libro sui canini affilati, e io oggi vi consiglio: Il discepolo di Elizabeth Kostova. 
Inquietante, moderno, coinvolgente. 

Prima o poi, leggerò anche quello di Stoker. 
O forse no. 

Buona lettura!


Tra il 1988 e il 1996, Neil Gaiman realizzò la serie a fumetti Sandman che quest'anno è diventata anche una serie tv e soprattutto una serie di audiolibri splendidamente realizzati. 

Una lettura o un ascolto perfetto per il periodo di Halloween. Storie a cavallo tra il mondo dei sogni e la realtà, oscure avventure di uomini e dei (o meglio entità soprannaturali), carnefici e vittime, angeli e demoni. 

Un percorso lunghissimo da percorrere tra una notte delle streghe e l'altra.

Halloween is coming: un consiglio libresco al giorno fino al 31 ottobre! 

Ci mi conosce lo sa: io sono una grande sostenitrice dei classici, fonte inesauribile di sorprese e conferme, difficile restare delusi. C'è un motivo per cui sono diventati classici, no? 

Per questi giorni da brivido impossibile non proporre almeno un titolo della regina del giallo. E io, per l'occasione, tra l'enorme mole di produzione letteraria della Christie, ho scelto di consigliarvi quella che per me rimane la sua opera migliore: Dieci piccoli indiani. 

Un'isola, dieci personaggi, il cerchio si stringe, chi è il colpevole? 

Una macchina da brividi perfetta, da leggere e anche rileggere, come feci io all'epoca, per cercare tutto ciò che è sfuggito alla prima lettura. 

A domani con il prossimo titolo!

Mancano 5 giorni ad Halloween. 

Non amo le feste in costume ma non so resistere a un bel libro dai temi oscuri e le ambientazioni macabre.

A partire da oggi, per 5 giorni, consiglierò un libro adatto alla notte delle streghe. 

Comincio con "La tredicesima storia" di Diane Setterfield. 

Una scrittrice molto anziana, una biografia, una storia che manca all'appello. 

Letto molto tempo fa, mi ha lasciato dentro inquietudine e una citazione che da Storyteller (Raccontatrice) amo tantissimo: "Tutti i bambini mitizzano la loro nascita. È un tratto universale. Volete conoscere qualcuno? Mente, anima e cuore? Chiedetegli di raccontarvi quando è nato. Ciò che ne ricaverete non sarà la verità; sarà una storia. E niente è più rivelatore di una storia".

Come le storie ci hanno reso umani. 

Un saggio dell'accademico Jonathan Gottschall, edito da Bollati Boringhieri.

Un libro che tratta del potere universale della narrazione. Del racconto come elemento fondamentale del successo evolutivo dell'umanità. 

L'uomo ha l'istinto del racconto talmente radicato in se stesso da cercarlo e crearlo consciamente durante la veglia ma anche inconsciamente durante il sonno e, soprattutto, il sogno. 

L'opera di Gottschall è una lettura fondamentale per chiunque ami scrivere o leggere, per chi senta fortissima la fascinazione del racconto e desideri saperne di più, approfondire l'argomento anche dal punto di vista meno umanistico e più scientifico, con l'applicazione delle neuroscienze e della biologia. 

Jonathan Gottschall, che ha dedicato la sua vita alla narrazione, ha dalla sua parte inoltre anche una notevole abilità di narrazione egli stesso. Leggere il suo saggio è come affrontare un romanzo avvincente di cui tutti noi, fin dalla più tenera età, siamo i protagonisti.

"Viviamo nell'isola che non c'è. Siamo l'animale che racconta storie."

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Questa mattina ho rovistato in casa e ho scelto 10 oggetti, un po' a caso un po' mossa dall'ispirazione.

Si tratta di:
1. Un paio di occhiali da sole
2. Un marshmallow
3. Una mela
4. Una piantina di caffè
5. Una cartina di Los Angeles
6. Qualche sterlina con ancora il profilo della fu Regina Elisabetta II
7. Un pennello
8. Un braccialetto
9. Un paio di forbici
10. La Favola di Eros e Psiche

Almeno 4 di questi oggetti, 4 su 10 appunto, dovranno entrare a far parte di un tuo racconto.

Scatena la fantasia, non porti limiti né di genere né di numero battute e, se poi ti va, mandami il tuo testo all'indirizzo janecole@live.it, lo leggerò e ti darò volentieri un feedback.

Buona scrittura!

Sai che cos'è un FrigoBook? 
Un frigorifero vintage, adeguatamente ridipinto e risistemato, che funge da luogo di bookcrossing.

Quindi, un frigorifero contenente dei libri che si possono prelevare liberamente ma, allo stesso tempo, un frigorifero dove si possono lasciare dei libri per gli altri. 

Un luogo di scambio, di cultura e di bellezza. 

Questa è un'iniziativa dell'associazione torinese Pagina 37 che ha disseminato questi frigoriferi speciali in giro per tutto il capoluogo piemontese. 
L'ultimo è stato installato pochi giorni fa, il 14 ottobre 2022, nell'area pedonale di corso Marconi, proprio davanti alla scuola A. Manzoni. 

Se sei di Torino o sei di passaggio in città, puoi cercare uno di questi frigoriferi – trovi tutte le posizioni sul sito ufficiale dell'associazione – per andare a scegliere un libro o lasciarne uno per chi passerà dopo di te. 

Buona lettura!

Generazione Z, Millenial, Generazione X, Boomer. 

È un dato di fatto: la generazione X è poco presente nella narrazione social attuale. 
Ci siamo, ma non ci si fila nessuno. 

Perché non ci riconoscono, ci mischiamo nella folla. Schiacciati tra i Boomer e i Millenial, veniamo considerati vecchi come i primi pur condividendo molti ricordi con i secondi, soprattutto quelli che, come me, appartengono alla coda finale della generazione. 

Onestamente, da fruitrice e creatrice del mondo social-virtuale io un po’ soffro di questa sotto rappresentazione, di questo sotto riconoscimento. Eppure gli anni ’90 visti dall’interno sembravano così cool, Brenda e Dylan regnavano! 

Basta! 
Oggi ho deciso di fare la mia parte, di raccontare la mia generazione X. 
Una sua micromolecola dal mio personalissimo punto di vita. 

Quali sono i ricordi che definiscono precisamente gli anni? Quelli musicali. Ovviamente. 
Tempo fa lessi da qualche parte che il gusto musicale delle persone si forma con il tempo ma il legame con le canzoni dell’adolescenza e della giovinezza, dai 15 ai 25 anni, – diciamo, a spanne –, rimane indelebile.

Quindi la mia musica, quella della mia generazione, io l’ho ascoltata tra gli anni 90 e l’inizio del 2000. 

All'epoca adoravo gli U2, lo sanno tutti, tutti coloro che mi frequentavano allora, ma la produzione degli irlandesi si è spalmata, diluita, trascinata fino a oggi. 
Se, invece, devo pensare a un gruppo incastonato indelebilmente in quegli anni (e solo in quelli!) in un'immagine dai colori saturi che riconoscerei ovunque, penso a loro: i Garbage.

Santo il cielo, i Garbage non se li ricorda più nessuno? 

Io volevo essere la cantante, cavoli, io la cantante me la sarei pure fatta! Tutti/e ce la saremmo fatta, in verità. 

Alternative rock. 
Elettronica, rabbia e sesso. 
Una frontwoman in un gruppo di uomini. Ci può essere qualcosa di più tipico dell’epoca? 

Cavoli, la nostalgia è quasi dolorosa. 

I Garbage sono la mia generazione X.

Immagine di Stig Nygaard.



Tutto ebbe inizio con Alice Basso, poi fu la volta di Amélie Nothomb ed Ema Stokholma. Ma fu solo con Nadia Terranova che, finalmente, ci feci caso. 

All’inizio di quest’anno, mi trovai a leggere solo romanzi scritti da donne. Uno dietro l’altro, senza rendermene conto. Poi, quando finalmente me ne accorsi, decisi che avrei continuato questa sorta di onda rosa letteraria per tutto il 2022.  

E così sto facendo. 

Non contenta, quest’estate ho anche iniziato a leggere ma soprattutto ascoltare, trattandosi per lo più di audiolibri, una serie di testi dedicati al femminismo. 

A tal riguardo, i titoli inanellati fino ad ora, in puro ordine casuale sono: 

Stai Zitta di Michela Murgia;

Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda Ngozi Adichie;

Il corpo elettrico di Jennifer Guerra;

e Il monopolio dell’uomo di Anna Kuliscioff.

Ho vagato tra gli argomenti, i luoghi e perfino il tempo.
Ora mi affido a tutte e tutti voi, avete qualche lettura sul tema da suggerirmi?


Hai mai scritto una lettera d'amore? 

Hai mai messo per iscritto i tuoi sentimenti? 

No? 
E cosa stai aspettando? 

Scrivi una lettera d'amore ma... 

... scrivila per qualcuno che non ti piace per niente. 

Ispirati a una persona reale, a chi conosci, oppure a un personaggio noto che, però, non hai mai incontrato dal vivo. 
Scegli chi vuoi, anche un politico (la butto lì!), l'importante è che ti ispiri sentimenti tutt'altro che benevoli. 

Buona scrittura! 

NdA: non dimenticare l'ironia.

Il blocco dello scrittore è una condizione in cui una persona creativa, principalmente uno scrittore, non riesce a concludere il proprio lavoro, non riesce più a scrivere, appunto. 

Una condizione che, ovviamente, è sempre esistita ma venne descritta per la prima volta nel 1947 dallo psicanalista austriaco, poi naturalizzato statunitense, Edmund Bergler. 

Il blocco colpisce e ha colpito gli scrittori di tutti i tempi.
Ad esempio, nei diari di Kafka, si trovano diversi riferimenti a questo problema, a questi suoi blocchi periodici. Oppure, in anni decisamente più vicini a noi, John Grisham ha raccontato che, quando ha il blocco dello scrittore, si appende a testa in giù. Pare che l'aumento del flusso sanguigno al cervello lo aiuti... bah!

Il mio preferito, però, è Victor Hugo che riteneva che il blocco fosse dovuto all'eccesso di stimoli esterni e distrazioni. Per questo motivo, quando si sentiva in difficoltà, si spogliava, consegnava tutti i suoi abiti ai domestici e si chiudeva nella sua stanzetta. In questo modo non aveva altro da fare che mettersi seduto a scrivere. Niente distrazioni. Ecco fatto.

Io, che sono un'anima molto più semplice, di solito mi faccio una passeggiata oppure una doccia, l'acqua aiuta molto, è un ottimo conduttore, anche di idee. Altre volte, semplicemente, mi metto seduta e comincio a scrivere, qualsiasi cosa, parto dalla lista della spesa per poi riversare su carta tutto ciò che mi passa per la testa. Non deve avere un senso e la maggior parte delle, infatti, volte non ce l'ha. Ma, in questo incontrollabile flusso di parole e pensieri, prima o poi, viene fuori una frase interessante o un'idea buona da sviluppare. 

Quando anche tu avrai il blocco dello scrittore segui uno di questi esempi: fatti una doccia o spogliati nudo. 
O entrambe le cose.


Scrivi di ciò che conosci. 

Se ambienti il tuo racconto in un luogo che conosci, in un tipo di società che ti è familiare, questo sarà sicuramente più verosimile e più credibile. 

Mi raccomando, non vivere ciò come un limite. Vivilo come uno strumento. 
Uno strumento che hai a disposizione per scrivere bene è, appunto, quello di raccontare un ambiente che conosci. 

Se, per esempio, tu hai sempre vissuto a Milano e a New York ci sei stato solo un paio di volte in vacanza, perché mai dovresti ambientare il tuo racconto lì? Perché ritieni che sia una località più accattivante, più esotica, ti dia maggior possibilità di vendere la tua scrittura all'estero? Mi spiace ma non è così. La New York di cui scriveresti tu non esiste, se non nei film e nelle serie tv di cui ti sei abbondantemente nutrito negli anni. Racconteresti una città finta, piena di cliché, poco credibile, destinata ad affossare la migliore delle trame. 

Quindi, a meno che, per una motivazione che mi è sconosciuta, tu ritenga che quella storia specifica debba essere ambientata a New York, scegli un altro luogo, uno che conosci. Che conosci bene. 

Se invece quella storia, per la suddetta motivazione sconosciuta, deve essere assolutamente ambientata nella Grande Mela o in qualche altro luogo che conosci poco, allora documentati, documentati e ancora documentati. Lavora come un matto, fatica oltremodo. Solo così potrai ottenere un risultato apprezzabile. 

Ma, attenzione, "scrivi di ciò che conosci" è un concetto più ampio, che non riguarda solo i luoghi e le società, riguarda per esempio anche l'età e le epoche. 
Hai 50 anni e magari non hai figli? Se decidi di scrivere un racconto i cui protagonisti siano dei ragazzini, è bene che questi vivano negli anni in cui tu stesso sei stato un ragazzino. 
Solo così saprai come farli parlare e muovere in maniera credibile e coerente, perché te lo ricordi. 

Buona scrittura!
Un racconto nasce dalla testa dell'autore ma poi vive mille vite grazie ai lettori, alla loro immaginazione, alla sensibilità e alle personali esperienze pregresse. 

Un viaggio affascinante, fatto di mille percorsi diversi.

1. Perugia è proprio bellina ma anche noi non scherziamo. 

2. In Italia siamo oltre 60 milioni di persone per più di 300 mila kmq di territorio, eppure si può incontrare per caso una coppia di amici torinesi dentro la cattedrale di Perugia. 
"Quella è Caterina?" mi chiede Marito. 
Io guardo nella direzione indicata, individuo una statua, che a pensarci adesso probabilmente era della Madonna, e rispondo: "Ma che ne so??? Stai zitto, sto ascoltando di straforo la guida là dietro!". 
La nostra amica Caterina, in effetti, era in piedi un metro a destra della statua. 
Potete chiamarmi Occhi di Falco. 

3. Spello è bella quanto faticosa, soprattutto se si arranca per le sue vie in salita sotto un sole che non perdona. 
Io, comunque, se rinasco, voglio rinascere "turista perfetta". 
La turista vestita di lino, dalle caviglie sottili, i sandali su misura comprati a Capri e la sudorazione che evapora in una nuvola di lillà. 
Maledetta. 

4. La salita fino alla Rocca di Spoleto è una prova di resistenza. 
Resistenza di coppia. 
Lungo la strada si incontrano donne agguerrite, magari poco allenate nel corpo ma imbattibili nello spirito, seguite da uomini che, nonostante le mirabolanti settimanali imprese al calcetto con gli amici, sbuffano, faticano e rimpiangono i bei tempi andati in cui erano single e non si facevano coinvolgere in imprese del genere. 
Marito, la tradizione del calcetto non ce l'ha, ma le sue maledizioni sibilate tra i denti sono uguali a quelle degli altri suoi compagni d'avventura e sventura. 
Io, intanto, controllo soddisfatta il contapassi uahuauhauah... 

5. Mi perdonino le altre località ma Assisi vale tutto il viaggio. L'architettura, l'arte, l'atmosfera. 
Assisi è l'oasi dell'altrove che riesce a rimanere mistica anche invasa dalla confusione dei turisti. 
Inoltre, Marito e io, abbiamo fatto di nostra volontà, senza coarcizione alcuna, una passeggiata all'interno del Bosco di San Francesco. Più di due ore in discesa e poi salita, su un terreno sdrucciolevole, sotto il sole cocente una parte, e sotto un'ombra umida da giungla vietnamita un'altra. E ci è persino piaciuto! Un'impresa del genere può essere fatta rientrare serenamente nei miracoli di San Francesco. 
Grande France'! 

6. Gubbio è l'idea della cittadina umbra. 
Chiudi gli occhi, pensa al Medioevo, a una fortezza arroccata su una collina, ai rilievi boscosi, alle botteghe degli artigiani, ai cavalieri con le loro armature. 
Ci hai pensato? 
Ecco. Riaprili. Guarda. 
Hai visto? Hai pensato a Gubbio. 
E, a proposito di armature, proprio mentre mi inerpicavo tra le roventi stradine locali, mi sono venuti in mente i cavalieri, fasciati nelle pesanti armature. Nel medioevo si combatteva solo durante le mezze stagioni, vero? No, perché, seguite il mio ragionamento, d'inverno, dentro quelle scatolette di tonno, rischiavi che ti si congelassero gli zibedei ma d'estate - peggio mi sento - , rischiavi proprio di arrostire come un polletto e rimanere in piedi, già schiattato, ma tenuto su da tutto l'ambaradan. 
Medievalisti, che mi dite? 

7. Bellina Foligno. 
Uno non parte da Torino per visitare Foligno. No. Ma, se si è di passaggio, è un bel posto per fermarsi a bere qualcosa e fare una passeggiata. 
Bellina Foligno. 

8. "Dai 3 agli ...anta anni, anche oggi si conferma il mio mito di camminatrice!!!" 
Dopo aver ammirato le cascate delle Marmore da sopra e da sotto, ho celebrato con questa umile frase la mia passione per le scarpinate. 
Marito, dopo averla sentita, benevolo, mi ha fatto correre dietro l'auto solo per un paio di km. 

9. Le ferie sono finite. 
Siamo tornati a casa pieni di buoni intenzioni. 
Maledetto settembre!

Foto: Ponte delle Torri che si vede dalla Rocca di Spoleto

Io ho sempre amato Ettore. 
Tutti amano Ettore. 
Forte, coraggioso e giusto. 

Achille invece con quella sua semideità non mi ha mai affascinato. 

Probabilmente per lo stesso motivo per cui tra Superman e Batman ho sempre preferito quest’ultimo. Che ci vuole a essere un supereroe se si hanno i superpoteri? Tutt’altro merito se si hanno sì i miliardi ma non si è anti proiettile. 

Ok, perdonatemi questa digressione fumettistica e, oggettivamente, un po’ tirata. 

Comunque, tutto ciò per dire che, quando a scuola studiai l’Iliade, sviluppai una spontanea simpatia per Ettore, un altrettanto spontanea antipatia per Achille e un’assoluta indifferenza per Patroclo. 
E questi miei sentimenti non sono cambiati di una virgola nel tempo. 
Anche Achille in versione Brad Pitt KenAnticaGrecia non mi fatto cambiare idea, anzi. 

A farmi cambiare idea, in parte, ci è riuscita, però, Madeline Miller con il suo “La canzone di Achille”. 

La Miller è un’esperta di lettere classiche. Il suo libro, uscito nel 2012, è stato un grande successo. Io l’ho letto per la prima volta questa primavera. 

L’autrice americana racconta una storia d’amore e racconta la forza di un uomo che sembra debole. Patroclo è un protagonista straordinario, fragile ma forte, un ragazzino che cresce e, grazie all’amore ma anche nonostante questo, diventa ogni giorno più consapevole e maturo. Alla fine non si può che amarlo e piangerlo. 
I sentimenti scatenati da Achille sono diversi ma, a onor del vero, rispetto alla madre e a quell’essere spregevole del figlio, anche lui, alla fine, ne esce dignitosamente. O quasi. 

La canzone di Achille è un libro d’amore, delicato e appassionato che tratta, prima dell’innamoramento tra due ragazzini, e poi della passione, della quotidianità, della stabilità di un sentimento tra due uomini. Vabbè, tra un uomo e un semidio. 

Se, come me, avete sempre amato i miti greci e, come me, vi eravate persi quest’opera, vi consiglio caldamente di recuperarla. 

L’inizio può essere straniante, perché le vicende dell’Olimpo e dintorni in prosa ricordano in maniera sbalorditiva una qualsiasi soap opera Californiana ma, superato lo scoglio iniziale, questo libro è davvero un percorso intenso da compiere, pur sapendo dolorosamente dove andrà a finire. 
E anche voi, alla fine, come Achille, amerete Patroclo.
I ricordi d'infanzia sono una tra le più fertili fonti d'ispirazione. Quindi, per l'esercizio di oggi, l'ultimo prima della breve pausa estiva, ho pensato proprio di procacciare stimolo e idee dall'enorme tesoro dei nostri ricordi di bambini. 

La partenza per le vacanze, in particolare, è un'esperienza carica di emozioni che lascia tracce indelebili nel nostro io adulto. 
Si prepara una valigia, si mette a posto l'auto e immancabilmente tornano alla mente spicchi estivi della nostra infanzia. Come quella volta che, ancora in pigiama, siamo stati caricati in macchina per andare al mare, "Perché di notte fa più fresco e si guida meglio" ci ha spiegato la mamma mentre riempiva la borsa frigo. Oppure tutte le volte che andavamo a passare le vacanze dai nonni, due mesi di piedi nudi, bimbi di paese e totale assenza delle rigide regole genitoriali. O ancora la prima volta che, zaino in spalla, abbiamo provato l'avventura del campeggio con gli scout.

Ognuno ha i ricordi a sé più cari. 

Per questo esercizio io ti chiedo di sceglierne uno e utilizzarlo come ispirazione per scrivere un racconto. Un racconto, il cui protagonista deve essere un bambino, o una bambina, che sta partendo per le vacanze.

Buona scrittura e buone vacanze!



Da pochi giorni, a Milano, è nata la prima Smart Library. 

Si tratta di una vera e propria biblioteca, che si trova all'interno della fermata di Porta Venezia della metropolitana. 

Vista dall'esterno potrebbe ricordare un po' una di quelle macchinette per le fototessere e, invece, si tratta di una biblioteca connessa direttamente con il sistema bibliotecario milanese. 

Quindi, chi ha la tessera può andare là e prelevare direttamente uno dei titoli. 
In questo momento ce ne sono circa 400 a disposizione ma probabilmente in futuro aumenteranno. 

Si tratta di un esperimento ma, se avrà successo, sicuramente si diffonderà. A Milano ma, io spero, anche in altre città d'Italia. 
Sogno di poter usufruire un giorno di una Smnart Library nella metropolitana di Torino.

Ci sono diversi manuali di scrittura là fuori. 
E un’innumerevole quantità di autobiografie. 
Ma Stephen King, il grande Stephen King, ha pensato di risparmiare tempo e fatica e di scrivere un libro che raccogliesse entrambe queste tipologie di letteratura: un bio-manuale, lo chiamo io, un’”autobiografia di un mestiere” l’ha chiamata la casa editrice Pickwick. 

“On writing”, questo il titolo dell’opera di King, è un libro dove l’autore americano dà ottimi suggerimenti di scrittura accompagnati dalla sua personale esperienza con quest’ultima. Aneddoti che vanno dall’infanzia alla scuola, passando per il successo di Carrie, alla dipendenza da alcol e droga fino all’incidente che quasi l’uccise. 

Stephen King ha sempre amato parlare di se stesso, rilasciare interviste con storie incredibili, brandelli di verità tra l’autobiografico al fantasy, nella costruzione perfetta della visione dell’autore americano, con gli occhiali spessi, la madre single con i mille lavori e la provincia a stelle e strisce a fare da sfondo. 

Che tutto ciò che racconta King sia vero o meno, poco importa, lui lo racconta da Dio, come sa fare. E a questi aneddoti si aggiungono, intrecciano, accompagnano, consigli per il mestiere di scrivere. Semplici ma efficaci, utili, preziosi. 

A tutto ciò, l’edizione italiana aggiunge l’ottima prefazione di Loredana Lipperini, che trasmette tutta la sua passione per l’autore e l’argomento. 

Se ti piace scrivere ti consiglio questo libro. Se ti piace Stephen King ti consiglio questo libro. Onestamente te lo consiglierei a prescindere ma lungi da me essere molesta.


* Se vuoi contribuire al mio lavoro, puoi acquistare il libro al mio link di affiliazione Amazon. Per te il prezzo non cambierà ;) https://amzn.to/3zy5UAu

 

I racconti si trovano nel proprio passato. 
Ricordi, esperienze, chiacchiere intorno a un fuoco. 

Tutto resta dentro, macera, fermenta, si impasta nel fango e poi un giorno te lo ritrovi su un foglio, senza neanche averlo previsto.

Hai mai sentito parlare della ruota dell’intreccio di Edgar Wallace? 
The Plot Wheel of Edgar Wallace? 

Edgar Wallace era un autore americano che durante gli anni ’20, 1920 naturalmente, inventò questa ruota dell’intreccio, allo scopo di superare il cosiddetto blocco dello scrittore ogni volta che ne fosse stato colpito. O, più semplicemente, allo scopo di avere nuove idee senza la fatica di pensarle da solo. 

Una ruota di cartone, presumibilmente, divisa in diversi spicchi e, in ogni spicchio, era scritto un evento in grado di smuovere una trama. Dalle cose più banali, per dire, “Un personaggio riceve una visita da un suo vecchio amore”, a quelle più originali e drammatiche, come “Un personaggio ritorna dal regno dei morti”. 

Con una trovata del genere si possono scrivere capolavori? 
Onestamente ne dubito. 

Ma nello spirito del “non si butta via niente”, la ruota può essere comunque utile per giocare, avere idee originali o, comunque, esercitarsi un po’ nella scrittura. 

Se non hai voglia di metterti lì a fare una vera e propria ruota, ti consiglio di prendere un contenitore e infilarci dentro 30, 40 o anche 50 bigliettini. Su ogni biglietto, precedentemente, dovrai aver scritto un evento particolare in grado di far smuovere una trama: “arriva una brutta notizia tramite una telefonata”, “il protagonista trova un oggetto molto prezioso”, e così via dicendo. 

Quando avrai voglia di giocare un po' o sgranchirti i neuroni, ti sarà sufficiente metterti alla scrivania e iniziare a scrivere una storia qualsiasi. Ogni tot minuti – mettiti la sveglia! – estrai un bigliettino e aggiungi l’elemento scritto al racconto. 

Alla fine ne uscirà molto probabilmente qualcosa di folle e insensato. Ma sono sicura che sarà stata comunque un'esperienza interessante, avrai forse trovato stimolanti soluzioni nella scrittura e, chi lo sa, tra tutta quell’insensatezza, anche qualche ottima idea. 

 Buona scrittura!

Ti piace scrivere e vuoi migliorare la tua scrittura? 
Oggi ho un consiglio per te, molto facile da seguire, subito applicabile. 

Se vuoi migliorare la tua scrittura, elimina dal tuo vocabolario le parole piedipiatti e strizzacervelli. Sono parole che non appartengono all’uso quotidiano italiano. Derivano dagli adattamenti cinematografici dei film americani. Sono riconoscibili, ne conosciamo perfettamente il significato ma non le usiamo mai. Quindi perché mai dovrebbero usarle i nostri personaggi? 

Un personaggio italiano di una storia ambientata in Italia non dovrebbe pronunciare queste parole, se lo fa è poco credibile e la scrittura stessa suona come adolescenziale se non, addirittura, infantile. La qualità generale del testo cade a picco. 

Per evitare che ciò accada la soluzione è semplice: cancella dal tuo vocabolario le parole piedipiatti e strizzacervelli.

Si può trovare ispirazione da ogni cosa anche dagli atti più quotidiani, come quello di portare a spasso il proprio cane.

Ed è proprio in un'occasione del genere che ho pensato a un nuovo esercizio di scrittura. Semplice semplice.

Racconta una passeggiata per la città ma raccontala dal punto di vista di un cane. 
E, nel farlo, ricorda due particolari importanti:

  • I cani sono più bassi degli uomini, quindi il loro punto di vista lo è altrettanto
  • I cani esplorano il mondo soprattutto con l'olfatto.
È tutto chiaro?

Buon divertimento e buona scrittura!

Ciao, 
tu lo sai chi è Giorgio Strehler? 

In questi giorni se n’è parlato molto, quindi ho pensato di fare un breve post per incuriosirti un po’. Farti capire qualcosa sul personaggio, se ancora non lo conosci, e quindi invogliarti a saperne di più. 

Giorgio Strehler
nasce a Trieste (14 agosto 1921) e muore a Lugano (25 dicembre 1997), ma la sua figura è strettamente legata alla città di Milano. 

È un regista teatrale e un direttore artistico e nel 1947, insieme a Paolo Grassi e Nina Vinchi, fonda il Piccolo Teatro di Milano che, a gestione municipale, è il primo teatro pubblico e il primo teatro stabile d’Italia. 

Il Piccolo Teatro nasce per essere un “teatro d’arte per tutti”. 
Cosa significa? 
Significa che nel preparare il cartellone non ci si preoccupa di fare cassa e richiamare il pubblico solo con l’intrattenimento ma l’obiettivo è portare l’arte, l’arte teatrale, l’arte di alto livello a tutti. 
Come si ottiene questo obiettivo? 
Facendo una politica di prezzi calmierati, in modo che tutti (o quasi) si possano permettere di andare a teatro. 

Questa fu una vera e propria rivoluzione di carattere sociale, culturale e teatrale che da Milano si diffuse nel resto della penisola. Attualmente in Italia ci sono circa 17 Teatri Stabili. 

Per questo (e per altri motivi che non tratterò oggi) la figura di Giorgio Strehler è così importante.

Sarebbe il caso di studiarla nelle scuole? 
Sì. 
Succederà a breve? 
Non credo proprio. 

Però se questo mio breve testo ti ha incuriosito e, a questo punto, vorresti saperne di più, ti consiglio un documentario presente su RaiPlay: “Strehler: com’è la notte”. 

Buona visione!

Ti piace scrivere e vuoi migliorare la tua scrittura? 
Oggi ho un consiglio per te: cura il tuo vocabolario. 

Le parole sono la base della scrittura. Se vuoi raccontare una bella storia hai bisogno di avere a disposizione più parole possibili, quindi devi curare il tuo vocabolario. 

Come fare? 

Leggendo. Ovviamente. 
Leggi libri, leggi riviste, leggi quotidiani. 

Ascoltando. Ascolta podcast, ascolta le persone attorno a te, ascolta i dialoghi nelle serie, ascolta ciò che viene detto in tv. 

E prendi appunti. 
Segnati le parole che conosci ma usi poco e segnati le parole nuove, che fino a quel momento non conoscevi, cercane il significato e falle entrare nel tuo vocabolario. 

Quando questo piccolo tesoretto di parole inizia a prendere forma, comincia a utilizzarle. 
Scrivi un racconto breve in cui è inserita una parola che conosci ma che usi poco. 
E scrivine un altro dove inserisci una delle parole nuove, di cui hai da poco imparato il significato. 

In questo modo eserciterai la tua scrittura, migliorerai il tuo vocabolario e avrai nuovi spunti creativi. 

Buona scrittura!

Ti piace scrivere e vuoi un consiglio su come migliorare la tua scrittura? 
Ecco il secondo consiglio per te: scrivi! 

Sembra banale ma non lo è. 

Scrivi. Scrivi tutti i giorni. Scrivi e riscrivi. 

Non ore e ore al giorno, non ce la faresti mai, a meno che tu non sia un professionista, non ne avresti il tempo né l’energia. Ma scrivi almeno 10 minuti al giorno o un quarto d’ora. 
Non lasciare che quell’idea fantastica che hai in testa rimanga là, perché la dimenticherai, perderà valore, perderà potenza e non riuscirà mai a diventare davvero una storia. 

Perché una storia sia tale deve passare dalla tua testa alla carta o dalla tua testa al computer. 

Scrivi tutti i giorni un po’ al giorno. 

Non ti preoccupare di quello che scriverai. 
Scriverai epiche schifezze, capiterà spesso, anche i più grandi a casa hanno scatoloni pieni di brutti racconti, è normale, fa parte del processo creativo, fa parte del percorso. 

Scrivi!

Ti piace scrivere e vuoi un consiglio su come migliorare la tua scrittura? 
Il primo consiglio che ti posso dare, il più ovvio, è: leggi! 

Leggi i classici, leggi gli autori contemporanei. 
Sii curioso, sii ingorda, non leggere solo i best seller ma cerca anche nelle piccole case editrici, tra gli autori meno conosciuti. 

E non sono solo io a dirlo, lo dicono anche i grandi. 
Jane Austen consigliò a sua nipote, che voleva darsi alla scrittura, di iniziare a leggere, leggere tanto. E anche Stephen King, nel suo libro dedicato alla scrittura “On writing”, afferma di leggere circa un’ottantina di titoli all’anno e si rimprovera di essere persino un po’ pigro. Non ti consiglio ovviamente di raggiungere certi numeri ma leggi, cerca sempre nuovi stimoli, questo ti permetterà di migliorare te e soprattutto la tua scrittura. 

Io diffido di chi scrive ma non legge. Esattamente come diffido dei musicisti che non ascoltano la musica altrui.
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