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Io odio il mio lavoro!
Questo mestiere lo faceva mio padre e, prima di lui, mio nonno ed io non ho avuto altra scelta. Purtroppo certi impegni si ereditano, proprio come le lenzuola del corredo o i piedi piatti.
Ma io ho sempre avuto l'animo poetico ed il mio sogno sarebbe stato quello di fare il cantore di gesta. Ed invece no: fucile in spalla e pedalare!

A me gli animali piacciono tanto.
I loro musetti dolci e gli occhietti vispi mi fanno una tale tenerezza. Ed anche le bestie più grosse e pericolose, come gli orsi ed i lupi, mi emozionano per la loro bellezza e maestosità. 
Non farei mai loro del male di mia spontanea volontà, ma purtroppo la mia vita è questa: fucile in spalla e pedalare!

Se proprio la volete sapere tutta: io sono vegetariano.
Si, avete capito bene, V-E-G-E-T-A-R-I-A-N-O.
No, non c'è proprio niente da ridere!
Io, Capo Cacciatore Supremo del Bosco Nord del Regno, non addenterei una coscetta di coniglio neanche sotto tortura, non sfiorerei un risotto al capriolo neanche dopo una settimana di digiuno, non mangerei un carrè di cervo neanche per ordine diretto del Re.
Ma anche se io vado avanti a tofu, soia e polpette di riso, gli altri, e soprattutto la famiglia Reale, sono ghiotti di carne e mi devo piegare alle loro richieste. Quindi: fucile in spalla e pedalare!

Avete sentito anche voi? 
C'è qualcuno che chiede aiuto. 
Devo correre!

Lo sapevo: è successo un'altra volta.
Osvaldo, il lupo ingordo di questa zona, si è pappato delle persone.
E pensare che è un animale così intelligente e per cacciare usa metodi avanzatissimi: si traveste, camuffa la voce, rimbambisce la preda con dialoghi senza senso. Roba da far impallidire il più cattivo di tutti i cattivi di qualsiasi altra favola. Ma non ha ancora imparato che non dovrebbe dare la caccia agli essere umani o che per lo meno non dovrebbe mandarli giù interi. 
E invece no, lui non resiste, si fa prendere dall'entusiasmo e ingoia senza masticare. E così va a finire che questi chiedono aiuto e io sono deontologicamente obbligato a salvarli. 
Ogni volta la solita storia: dai una botta in testa al lupo, aprigli il pancione, libera i malcapitati, ricucigli il pancione. Ecchepalle!
Che poi ricucirlo, ovviamente, non rientrerebbe nei miei obblighi, ma ve l'ho già spiegato: io ho il cuore tenero e non sono fatto per questo lavoro.

Vediamo a chi è toccata questa volta. 
Non ci posso credere! Ancora? 
Ormai quella di Osvaldo è diventata una vera fissazione. Sarà la quinta volta che cerca di fare fuori la signora Trinciaballe e la sua degna nipote. Del resto, come dargli torto?
La vecchia rimbambita è tanto avida quanto acida: con tutte le volte che l'ho tirata fuori non mi ha neanche dato la mancia a Natale e poi ha già fatto scappare per la disperazione tre badanti rumene, due assistenti sociali e pure quella santa donna della Fata Madrina. 
Per non parlare della ragazzina, cappuccetto munita, che è una mezza delinquente, espulsa da cinque scuole diverse per bullismo, lesioni, spaccio, piedi puzzolenti ed alitosi.

Osvaldo, mi raccomando, la prossima volta: masticale!
"Carissimi lettori,
siamo finalmente giunti alla fine.
La storia finisce da dove è cominciata."

Augusto ed io siamo stati sposati per più di cinquant'anni.

All'inizio eravamo due estranei che dividevano lo stesso letto e dormivano dandosi le spalle, ma a poco a poco ci siamo avvicinati ed abbiamo cominciato a cercarci con gli sguardi e con le mani.

Assieme ne abbiamo passate così tante.
Abbiamo visto la fine della guerra e gli americani che entravano in paese. Quel giorno portarono euforia e cioccolata e la sera, complice l'aria di festa ed il vino, Augusto ed io facemmo all'amore per la prima volta. Eravamo così impacciati: io non sapevo niente di queste cose e lui aveva paura di spaventarmi o farmi male. Quella notte, a più di un anno dal sì pronunciato in chiesa, diventammo realmente marito e moglie.

Abbiamo cresciuto sei figli: un esercito di maschi rumorosi e disordinati ma onesti e con un cuore grande. Ad occuparmi della casa e di quel branco di selvaggi delle volte mi sentivo peggio di una schiava, ma poi a guardarli negli occhi uno ad uno ero orgogliosa come una regina.
Io per loro, per tutti loro, sono sempre stata "mamma Adelì" e lui semplicemente "il Babbo".

Abbiamo cercato fortuna in città, che la poca terra che avevamo ed il ricamo non bastavano più per dare da mangiare a tutti quanti. La campagna ci mancava tanto, ma per la nostra famiglia la fabbrica fu una benedizione.
E mentre i nostri figli si sono sparpagliati per tutto il mondo, noi, una volta che ci siamo fatti vecchi, siamo tornati al paese e ogni estate abbiamo insegnato ai nipotini a cavalcare i muli, cacciare le rane e fare il bagno nel ruscello.

Cinquant'anni sono così tanti che alla fine non ti ricordi neanche com'era la tua vita prima, ti sembra che debba continuare così per sempre e che un giorno passerai al Creatore assieme a tuo marito, a braccetto, come quando andavate a passeggio la domenica. Ma non succede quasi mai purtroppo. Di solito uno dei due se ne va prima e lascia da solo l'altro.

Una mattina di quasi dieci anni fa mi svegliai all'alba, la stanza era buia e tranquilla, ma c'era qualcosa che mi disturbava.
Nella nostra camera da letto di solito non c'era mai silenzio. Augusto russava, ma non russava in maniera normale, lui era come un trattore e una betoniera messi insieme. Soffiava, sbuffava, grufolava, uno poteva stare ad ascoltarlo per ore senza annoiarsi mai, perché lui inventava sempre rumori nuovi.
Ma quella mattina no, quella mattina era come se Augusto nella stanza non ci fosse più. Mi girai a guardarlo e lui era lì, immobile.
"Augù, ma che fai? Non sarai mica morto? Dai non scherza, Augù"
Che cosa stupida da dire: il mio Augusto non avrebbe mai scherzato su una cosa così.
Era proprio morto. Morto stecchito.

Augusto ma che si muore così? Senza avvertire? Senza darmi il tempo di salutarti? Di dirti quanto bene ti ho voluto e quanto mi hai resa felice?

Vengo qua tutti i giorni per dirtelo, Augù, sei stato tutta la vita mia.

Fine.

Prima parte, seconda parte, terza parte, quarta parte, quinta parte, sesta parte, settima parte
No, non avete sbagliato indirizzo. Questa è ancora la paginetta di quella sciroccata di Pancraziuccia vostra.
E' bastato che la piattaforma aggiungesse la voce "Design", con tanto di freccetta ammiccante e suadente annuncio da sexy sirena (...provami, provami, provami...), perché Jane, stufa del solito vecchio rassicurante aspetto, si lasciasse sedurre e, dopo mille milioni di tentativi, scegliesse questo nuovo look.

Vi piace?

Si?
Grazie.

No?
Che significa no???? Come vi permettete? Screanzati! Cafoni! Insensibili!
Mai dire ad una blogger che ha appena cambiato Template che non vi piace o, peggio ancora, che preferivate il precedente. Sarebbe come dire ad una donna che si è appena tagliata i capelli che stava meglio prima. Non farete altro che deprimerla ed attirarvi astio e rancore.
Non lo sapevate? Sappiatelo!

Il verde è alle spalle, abbracciate con me questa nuova era.
Inutili rimpianti e resistenze. Non si torna indietro.

Almeno credo.
I libri sono come gli uomini.

Ci sono quelli pesanti e faticosi che ti aiutano a crescere ma non sono in grado di renderti davvero felice. Una volta che con loro hai chiuso, hai chiuso per sempre e non li riapriresti più neanche sotto tortura.
Ci sono quelli leggeri, magari un po' superficiali ma gradevoli. Non ti cambiano la vita ma sono perfetti per una storia breve e senza pensieri. Adatti per passarci un week end al mare, insieme ad un paio di sandali ed un vestito svolazzante che ti copra appena le gambe abbronzate.
Ci sono quelli belli, anzi bellissimi. All'inizio ti abbagliano, li divori, li consigli in giro. La vostra sembra una perfetta comunione dei sensi. Ma dentro di te lo sai che l'amore vero è un'altra cosa.
E poi ci sono quelli che incontri per caso e ad ogni appuntamento ti conquistano di più. All'inizio pensi che sia una storia senza importanza, ma presto ti rendi conto di non poterne più fare a meno, perché ti hanno presa cuore ed anima. Non sono i più profondi che tu abbia mai conosciuto e neanche i più belli, ma sono perfetti per te.

Mi sono innamorata e non mi succedeva da tempo.
Tutto merito di Michael Zadoorian e del suo "In viaggio contromano".
Un "on the road" della terza età. Una moglie con "più problemi sanitari di un paese del Terzo mondo" e un marito affetto da una grave forma di demenza senile partono per un'avventurosa vacanza, ripercorrendo la celebre Route 66.
Con il loro vecchio camper macinano pagine e chilometri tra hamburger, alcool, diapositive, delinquenti, deambulatori e droga. I ricordi si mescolano con il presente. La nuova America va a braccetto con la vecchia.

Mi sono innamorata di una donna dignitosa che vuole la facoltà di scegliere un finale fuori dall'ordinario.
Ho adorato questa coppia unita, nonostante la mente ormai persa di lui ed il corpo pesante di lei, da un grande amore. Quell'amore reale, delle persone normali, infarcito di compromessi e banale quotidianità e perciò ancora più straordinario.

I libri sono come gli uomini. Non esiste quello giusto in assoluto, ma solo quello giusto per te.


"In viaggio contromano", Michael Zadoorian, edizioni Marcos Y Marcos.
Quella notte non chiusi occhio.
Sapevo cos'era giusto fare. Sapevo cosa avrei voluto fare. Ma non riuscivo a decidermi su cosa avrei davvero fatto.
Avrei dovuto occuparmi dei bambini. Me lo imponeva il senso del dovere e soprattutto l'affetto incondizionato che provavo verso di loro.
Avrei voluto andare da Augusto e prenderlo a male parole. Che diritto avevano lui e mia madre di sconvolgermi la vita? Di darmi un tale peso? Di decidere tutto alle mie spalle?
Ma quando finalmente si levò il sole non avevo ancora deciso cosa avrei davvero fatto.

Arrivata alla sera, dopo una nottata in bianco ed una giornata di lavoro, mi dolevano tutti i muscoli e a tenermi su erano solo i nervi che sentivo nello stomaco come un gomitolo tutto ingarbugliato.
Dopo aver messo i bambini a letto, Augusto si sedette di fronte a me ed io gli vomitai addosso tutto quello che pensavo.
Gli dissi quanto ero arrabbiata con lui e mia madre che si preoccupavano delle voci di paese e se ne fregavano di me.
Gli dissi che mi sarei aspettata della riconoscenza per tutto ciò che avevo fatto per i bambini e non una trappola che non mi lasciava via d'uscita.
Ed infine gli dissi la cosa più crudele di tutte. Gliela dissi perché ero furiosa e sapevo che l'avrebbe ferito. Gliela dissi nonostante avessi ormai imparato a conoscerlo e rispettarlo. "Pensavo che volessi davvero bene a Lucia e invece non vedi l'ora di rimetterti un'altra serva a pulirti casa e a scaldarti il letto"
Lui non alzò la voce, non mi insultò come avrei meritato, ma mi guardò con degli occhi severi e delusi che mi fecero sentire l'ultimo dei vermi sulla terra: "Per me Lucia è stata una benedizione. Ringraziavo il Signore ogni mattina per quell' angelo che mi aveva messo accanto. Penso a lei tutti i giorni e me la sogno tutte le notti, ma ai miei figli non possono bastare i ricordi: loro hanno bisogno di una madre"
Dio solo sa quanta fatica deve essere costata una dichiarazione così al mio Augusto, sempre riservato e geloso dei propri sentimenti.

E' passata una vita intera da quella sera ma io ancora mi vergogno di avere insultato lui e l'amore che provava per mia sorella. E me ne vergognai talmente tanto anche in quel momento che iniziai a piangere come una scema.
Io ero così mortificata che lui si intenerì e mi disse: "Sta serena Adelì. Non c'è fretta, prenditi un po' di tempo per pensarci. E non ti preoccupare, se decidi che non te la senti, ci parlo io con tua madre e le dico che è colpa mia, che sono stato io a cambiare idea. Così non ti darà il tormento."

Mi lavai la faccia, mi avvolsi nello scialle e poi a passi stanchi mi diressi verso casa.
Ero quasi a metà strada quando finalmente nella mia testa si fece chiarezza. Non so se fu l'aria gelida di gennaio o il fatto che Augusto mi avesse fornito una via d'uscita. O forse fu Lucia che da lassù mi mise una mano sulla capoccia e l'altra sul cuore. Fatto sta che tornai indietro a passo spedito, bussai e quando la porta si aprì dissi solo: "Si."

Quella primavera nella chiesetta del paese si celebrò un matrimonio d'amore.
Non quel tipo d'amore che lega un uomo e una donna. Ma quello che ci legava entrambi ai bambini e a Lucia.

Continua...

Prima parte, seconda parte, terza parte, quarta parte, quinta parte, sesta parte
Scatto.
Corsa.
Torsione.
Impatto.
Esplosione.

Estasi.

Jane ha una fissazione. Anzi no. Jane ha tante fissazioni.
Ma per questa volta ci soffermeremo solo su una: l'ineluttabile, inalienabile, irrinunciabile necessità di chiudersi a chiave nel bagno.
Jane non ci entra neanche in una toilette la cui porta non si possa chiudere. Piuttosto si accuccia dietro un albero (ma anche no!) o si trattiene fino a che la vescica non raggiunge le dimensioni di un pallone aerostatico (più probabile).

Qualche mese fa in un ristorante, mossa dalla disperazione che aguzza l'ingegno ed azzera il senso del ridicolo, la vostra blogger bloccò la porta, NOchiavistello e NOchiave munita, piazzandoci contro un' enorme cactus (lo giuro!!!). Una pianta alta due metri e pesante quanto un facocero obeso.
A tutt'oggi, nonostante un'ernia e una miriade di spine conficcate in ogni dove, Ella rimane convinta che l'escamotage scelto fosse un colpo di genio, segno di una mente superiore, e non il chiaro sintomo di una follia (neanche tanto) latente.
Jane, del resto, ha abbandonato da tempo il buonsenso e si chiude in bagno a chiave anche a casa e anche se è da sola. Si, avete capito bene, l'infelice si mura viva pure quando l'appartamento è deserto.

Ciccio trova questa fissazione particolarmente esilarante e non perde occasione per farsi beffe della di lui compagna. Le ha già provocatoriamente proposto una porta corazzata, un ponte levatoio e/o un fossato con alligatori da piazzare proprio davanti alla ritirata.
Lui scherza. Lei finge di stare al gioco ma in realtà l'idea del ponte levatoio non le sembra affatto malvagia e sarebbe pronta ad imbracciare ella stessa pala e piccone per scavare un fossato.

Lo scorso week end la giuliva coppia ha dormito in un Bed and Breakfast.
La porta del bagno presentava una serratura vecchia, capricciosa e facilmente incline a bloccarsi. Nonostante le chiare avvisaglie della tragedia che stava per compiersi, l'incurante Jane ha perdurato nella sua lotta per la privacy, continuando a chiudersi a doppia mandata.
Alla fine è accaduto l'inevitabile: sabato sera, quando nell'appartamento erano presenti solo lei e Ciccio, Ella è rimasta chiusa nel cesso (of course).
All'inizio ha fatto la dura, non ha chiesto aiuto, ha cercato da sola di avere la meglio sulla serratura cocciuta. Ma il tempo passava, la porta non cedeva, le pareti si stringevano, la temperatura si alzava e Jane ha cominciato ad iperventilare.
Per fortuna, attirato dagli squittii spaventati di una donna ormai ridotta all'ombra di se stessa, è giunto in soccorso SuperCiccio (ta-da!).
Egli con sprezzo del pericolo, coraggio ed abilità, è riuscito velocemente a liberare la povera reclusa. Ed Ella, con una spiccata propensione per il melodramma, gli ha letteralmente buttato le braccia al collo, giurandogli riconoscenza, sesso ed amore eterni.

Un eroe non ha bisogno dei superpoteri, gli bastano presenza di spirito, pazienza infinita ed una fidanzata che lo coinvolga in mille inutili avventure.

Dopo la morte di Lucia il peso della sua famiglia ricadde completamente su di me.
Una volta si usava così: gli uomini da soli erano persi ed i vedovi non erano mai lasciati allo sbando, soprattutto se c'erano dei bambini di mezzo.
Augusto poteva lavorare nei campi per dodici ore senza fare una piega, ma non era in grado di cuocersi neanche un uovo e soprattutto non era capace di accudire i propri figli. Li amava con tutto il cuore, ma non sapeva proprio da dove cominciare per occuparsi delle cose pratiche. Insomma, a quei tempi, nessuno si sarebbe mai sognato di chiedere ad un padre di pulire il sedere ai suoi figli, era una cosa inconcepibile e per questo c'era bisogno di una zitella. Io, appunto.

Enrico, il più piccolo, cercava la madre con ogni gesto ed in ogni sguardo. Chiedeva continuamente: "Dov'è mamma? Quando torna?" Noi gli spiegavamo che lei adesso era con gli angeli, che lo guardava dal cielo e lo amava tanto. Lui si chetava un attimo, ma poi ricominciava da capo: "Dov'è mamma? Quando torna?"
Mi si stringeva il cuore a vederlo così confuso e spaventato, lo prendevo tra le braccia e gli promettevo che gli sarei sempre stata accanto, che non sarebbe mai stato da solo.
Sandro invece non chiedeva nulla ma aveva gli occhi tristi e rassegnati. La notte faceva sempre dei brutti sogni e si svegliava piangendo. Piangeva a lungo, forte, con i singhiozzi che gli mozzavano il respiro, gli toglievano le forze e lo lasciavano stremato. Augusto gli si sedeva accanto, gli accarezzava la testolina e lo lasciava sfogare senza dirgli niente. Perché in certi momenti non c'è niente da dire. Che se non è libero di piangere un bambino che ha perso la mamma, allora chi lo è?

Il bello di avere molte cose da fare è che non si ha il tempo di sentire il dolore. Io non avevo neanche il tempo di piangere Lucia. Dovevo lavorare, dare un occhio a mia madre, che dopo la disgrazia sembrava invecchiata di dieci anni, occuparmi di Augusto, dei bambini e della casa. Solo la mattina presto, sdraiata nel lettone accanto a mamma, ripensavo a mia sorella, me la sentivo vicina, mi sembrava di averla di nuovo accanto, ne percepivo quasi il profumo. Ma non potevo abbandonarmi a questi pensieri e così mi alzavo e ricominciavo un'altra giornata.

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, erano ormai passati sei mesi da quell'orribile notte quando mia madre mi disse: "La gente parla"
"E che dice?"
"Parla di te ed Augusto"
"Che c'è da dire su me ed Augusto?"
"Passate molto tempo assieme"
"Certa gente dovrebbe lavarsi la bocca con il sapone. Io non passo il mio tempo con lui ma con i bambini"
"I bambini hanno bisogno di una madre"
"Appunto! Io faccio quello che posso, ma non è mica facile. Mi ammazzo di fatica ogni giorno. Non ho tempo di dare retta alle chiacchiere dei cretini"
"Hai ragione. Ma Augusto ed io ne abbiamo parlato. Dovete sposarvi"
Ancora me la ricordo, come se ce l'avessi davanti in questo momento, la faccia di mia madre che in tutta tranquillità mi dice che devo sposare il vedovo di mia sorella.

Io lo so che a sentire queste cose adesso ai giovani gli vengo i brividi, ma una volta era una cosa quasi normale. Normale per Augusto e mia madre perlomeno. Non tanto per me.
A me sembrava che il mondo stesse andando alla rovescia, che fossero diventati tutti pazzi. Me la presi con Dio, la morte, mia madre, Augusto e pure Lucia che mi aveva lasciata in un tale pasticcio.
Mamma, che conosceva bene i suoi polli, mi fece sfogare e poi disse soltanto: "Se non ci pensi tu, Augusto cercherà qualcun' altra per crescere i figli di Lucia"
Qualche altra?
A me sposare Augusto sembrava una cosa assurda, una cosa sbagliata, una cosa sporca. Mi sembrava di rubare la vita di mia sorella.
Ma l'idea che un'altra donna crescesse i miei nipoti mi era ancora più odiosa.

Continua...

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