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Ormai è quasi Natale e ho deciso di farti un regalo: un Pdf con cinque spunti/idee/esercizi per metterti alla prova e dedicare del tempo alla scrittura creativa. 

Io, con una certa spocchia (lo ammetto), li chiamo detonatori di creatività: 5 input per trovare nuovi spunti e ispirazioni per scrivere, per creare storie e mondi. 

Cosa devi fare per avere questi spunti? 
Scrivimi tra i commenti o contattami in privato e ti verrà subito inviato il documento. 

Non sei obbligato/a a condividere il mio post ma, se lo farai, non mento, apprezzerò moltissimo.

Intanto buone feste e buona scrittura!


Molti anni fa, diventata consapevole della mia passione corrisposta per la scrittura, mi misi alla ricerca di un corso. Volevo confrontarmi con gli altri, esercitarmi e imparare tutto ciò che ci fosse da imparare.
Ansia creativa, di prestazione e di conoscenza erano allacciate tra loro in uno scambio di amorosi sensi. 

Cercai per diverse settimane ma non trovai nulla che mi convincesse fino a quando la mia amica Mary non mi girò un volantino. Non si trattava proprio di un corso ma di un laboratorio di scrittura. Un posto dove ritagliarsi del tempo per scrivere, dove ascoltare ciò che scrivevano gli altri, sentire le loro opinioni e i consigli degli insegnanti. Un luogo per esprimere se stessi e per imparare a farlo al meglio. 

Ci andai e mi innamorai. 

Mi innamorai talmente tanto di questa formula che, dopo anni di frequentazione e una carriera avviata nella scrittura, ne realizzai anch’io diversi come guida e organizzatrice. “Maestra”, mi chiamano ma a me fa sempre sorridere. 

Ne ho fatti dal vivo, nella mia vecchia casa (con tanto di aperitivo pre-scrittura!) ma soprattutto moltissimi online, via Skype e attraverso il Blog. Laboratori con persone da tutta Italia e non solo. Un’esperienza che ha fatto nascere mille storie e anche bellissime amicizie. 

Per un anno ho dovuto rinunciarvi per questioni organizzative, di tempo a disposizione e per la necessità di ricaricami, di trovare nuove cose da dare e da insegnare. Il mio ruolo da “maestra” io lo prendo molto seriamente! Cerco di essere utile, gentile ma efficace, anche severa ma mai cattiva, voglio che la gente scriva e si esprima, non voglio tarpare le ali di nessuno, solo indirizzare e, se c’è bisogno, stimolare la creatività. 

Dicevo, è passato un anno senza laboratori, ma ora direi che sono pronta, piena di energia e di nuove idee, quindi nel 2022 farò partire un laboratorio di scrittura via zoom. 

Il come e il quando lo saprai presto, intanto “resta in linea” e preparati per questa nuova avventura. 

Io non vedo l’ora!

"Leggi". 

Così, pare, abbia risposto zia Jane alla nipote che le chiedeva un consiglio su come cominciare a scrivere.

Zia Jane, Jane Austen, ha sempre ragione.

Cos'è Goodreads? 
Un sito dove tenere conto dei libri letti, leggere recensioni e prendere ispirazione dalle letture altrui. Insomma, un Social per topi di biblioteca. Categoria a cui mi vanto di appartenere praticamente da sempre. 

Ogni inizio anno si può, volendo, indicare quanti libri si ha intenzione di leggere nei 365 giorni successivi. Un modo per sfidare se stessi, per stimolarsi, darsi un obiettivo. 

Io quest'anno l'ho fatto. Sono stata ambiziosa. Troppo. Probabilmente non raggiungerò l'obiettivo. 
Poco male, dirai tu. Ecco. E lo stesso che direi anch'io. Goodreads però non pare essere d'accordo e, colto da un'ansia da prestazione per interposta persona, con l'avvicinarsi della fine dell'anno ha preso a mandarmi una serie di email moleste. 

Appena finisco una lettura mi scrive per spronarmi, "Hai finito di leggere X e ora cosa leggerai? Eh eh eh?". Ho chiuso un libro e 5 secondi dopo attacca alla giugulare. "Ora che vuoi leggere? Eh? Ti suggerisco qualcosa?" 
Good, sto andando a dormire, ci penso domani. 
Good, sono sul water, potrei occuparmi della faccenda più in là? 
Good, se continui a stressarmi così, do fuoco alla libreria. 

"Ehi Jane, sei un po' indietro con le letture, ti lascio a seguire un elenco di libri sotto le 300 pagine. Leggendo questi, vedrai che raggiungerai l'obiettivo annuale, io credo in te" 
Grazie, Good, sono commossa, la tua stima e il tuo affetto mi rinfrancano ma no, tutta la produzione di Baricco, anche no. 

"Ehi Jane, con questo ritmo rischi di non raggiungere l'obiettivo finale, perché non inserisci nell'elenco delle letture fatte nel 2020, qualche libro degli anni passati? Eh, dai valgono comunque!" 
Ma Good, tesò, mi stai suggerendo di barare? 

Viviamo in un mondo malato dove ci prefiggiamo obiettivi inutili da raggiungere ad ogni costo. 

Ah il piacere della lettura!

Rubianastrasse o anche via Romualda. 
La mia vecchia casa era così speciale da essere dotata persino di nomignoli appropriati. 

Io ci ho vissuto 8 anni, i primi da sola e i secondi con Fidanzato e Marito. Fidanzato e Marito, lo preciso per i più distratti, sono la stessa persona. 

Dentro quella casa ci sono state risate, amore ma anche lacrime. Dentro quella casa ci sono stati amici, nipoti, cugini e colazioni abbondanti. Ma anche laboratori di scrittura, prove di cabaret, pranzi, cene, un lock down e, naturalmente, un cane (Emilia) e tutti i suoi peli. 

In quella casa sono rinata, personalmente e professionalmente. Da quella casa sono partita e tra quelle mura sono tornata. Ho ricevuto notizie bellissime e altre terribili, ho vissuto gioie ma anche lutti. Mi sono innamorata e ho fatto cadere a terra tutto il riso incastrato tra capelli e abito da sposa. 

Quando nel 2013 arredai la casa un pezzo per volta, tra Ikea e mercatini, sapevo che probabilmente sarebbe stata solo di passaggio e che poi sarei andata oltre ma non avrei mai osato immaginare che avrebbe significato così tanto per me e che sarebbe stata testimone, muta ma presente, di momenti bellissimi. 

Fra poco (sperando che i lavori finiscano presto) ci sarà una cosa tutta nuova, ci andremo io, Marito e il cane. Chissà quante altre avventure potrò raccontare. Ma l’accogliente appartamento di via Rubiana – o meglio, l’alloggio, come lo chiamiamo qui – con i suoi colori, il suo divano e il suo quadro con l’anguria, occuperà sempre un posto speciale nel mio cuore. E, credo, anche in quello di tutti coloro che vi hanno passato dei bei momenti. 

Un augurio a chi ci vivrà dopo di me. 
Buon viaggio e trattamela bene!

Il Respiro della Palla

Quest'estate mi sto occupando di un progetto che mi piace molto. Si concluderà tra poche settimane e, colpevolmente, non ve ne ho ancora parlato.

Lo farò oggi.

Si tratta de "Il Respiro della Palla" un podcast dedicato allo Sport, la sua storia e i suoi eroi. Il progetto, il testo e la voce sono di Marco Pozzi, appassionato di basket e teatro che prima ha creato uno spettacolo per il palcpscenico poi, complice la pandemia, ha deciso di trsformarlo in un podcast.

In tutto ciò, io mi occupo della comunicazione social, della gestione di Facebook e Instagram.

Il Podcast è costituito da 9 puntate, ne esce una alla settimana, di venerdì. Oggi è stata pubblicata la quinta. Questa, ad esempio, tratta degli eroi dello sport italiano: da Carnera a Chechi, per intenderci. Ma ogni episodio ha un argomento diverso e interessante, come la storia delle Olimpiadi o la nascita dei Mondiali di Calcio.

Lo sport fa parte della vita di tutti noi e, soprattutto, influenza e viene influenzato dalla società e i suoi cambiamenti.

Io amo moltissimo questo progetto, mi esalta parlare di sport pur essendo una campionessa di tiro al telecomando, e mi fa piacere condividere con voi questo lavoro.

Online di contenuti di scarsa qualità ce ne sono tanti, questo non lo è. Ascoltatelo!

Trovate il Podcast QUI.

La pagina Facebook QUI.

e il Profilo Instagram QUI.

Indossate gli scaldamuscoli e seguiteci!
Vacanze Roma amicizia

È tempo di arrendersi, oggi si torna a casa. 

Queste ferie verranno ricordate per il gran caldo, i primi piatti spettacolari e le numerose persone incontrate e riincontrate. Nel giro di una decina di giorni ha, infatti, avuto luogo il mio tour. Un po' Regina Elisabetta, un po' zia rimbambita d'America, ho avuto la fortuna di incastrare viaggi e facce amiche. 

Tutto ha avuto inizio il 14 agosto con una gita a Milano per incontrare Silvia, detta Sissi, fedele compagna di Erasmus. Chi ha letto Pancrazia in Berlin se la ricorderà. 

Sissi ha scelto l'ondata di caldo del secolo per trascorrere qualche giorno nella ridente città meneghina, sede dei suoi ricordi universitari più cari. 
Era almeno 4 anni che non ci vedevamo. E, pur rischiando la morte per sublimazione, questa occasione di rincontrarci era troppo ghiotta per rinunciarvi. 
Io ero con Marito, lei con tutta la sua truppa: Mauri, compagno storico che conosco da quando conosco lei, ossia più di 20 anni, e i loro 4 figli. A proposito, Sissi a 20 anni schifava i bambini. No, non è che non le piacessero, li schifava proprio. E niente, ora ne ha 4, questa cosa mi farà ridere per sempre. 

Sissi, per il resto, è una certezza. Non è cambiata. Perché si può crescere e si deve, ci mancherebbe, ma senza perdere il meglio di noi. Evviva Sissi! 

Pochi giorni dopo, arrivati a Roma, ha avuto luogo un altro storico incontro tra Ex Erasmus. 
Alla Garbatella, di fronte una carbonara memorabile, Renée ed io abbiamo ammorbato di chiacchiere e ricordi berlinesi i compagni, di entrambe, e il figlio, suo. 
Sì, Renée, un'altra delle famose Comari. Se non lo avete ancora fatto, dovreste proprio leggere Pancrazia in Berlin.

Lei ed io non ci vedevamo più o meno da una decina d'anni ma, nel frattempo, ci hanno tenuto unite il senso dell'umorismo e la passione per lo stalking social di ex (fidanzati e amici), senza vergogna e senza prendersi troppo sul serio. Ricordate: ciò non fa di noi due pazze persecutrici, no no, fa di voi dei tipi noiosissimi se non lo capite! 

Renée si scoccia se le ricordo che lei è sempre stata la mamma di tutti, poi si gira verso il suo bambino "stai dritto con la schiena", lo redarguisce. E allora vedi che ho ragione io? 

Ma non di solo Erasmus si è dipinta la mia estate. Sempre a Roma, Michela ed io ci siamo finalmente incontrate. 

Michela ed io ci conosciamo via internet, tramite blog e social, da un tempo indefinito pericolosamente superiore ai 10 anni. In questo periodo ci siamo lette, scritte, e viste su Skype mille milioni di volte, essendo lei, tra le altre cose, una delle frequentatrici più fedeli dei miei laboratori di scrittura online. 

Anni e anni di amicizia senza mai vedersi dal vivo, fino all'altra mattina, in cui ci siamo godute una colazione assieme. È incredibile quanto sia normale incontrare per la prima volta una persona che, in realtà, si conosce da molto tempo. Si fa quasi fatica a ricordare che, no, in effetti non ci si era mai viste prima. 

Per l'occasione eravamo noi e i nostri rispettivi consorti. Il mio già in essere, il suo (il mitico Gian) tra pochissimo. A proposito, evviva i futuri sposi! 

Il tour si è concluso a Lucca. Dove abbiamo rivisto per un aperitivo e una cena Lucia, Andrea e Leo. Quelli, tra tutti, che - tra Torino, Lucca e Firenze - abbiamo visto più spesso in questi anni. 

Lucia ed io leggiamo da una vita i nostri rispettivi blog. Tramite Lucia ho conosciuto Andrea, suo marito, che con la storia della sua famiglia di blog ne potrebbe riempire 30. E tramite loro 2 ho conosciuto il piccolo Leo, per cui, data la capacità di fare amicizia e l'invidiabile proprietà di linguaggio, prevedo un futuro da organizzatore di eventi, showman o profeta di una nuova religione. Solo il futuro potrà dirlo. 

"Non si può dire che io non conosca gente interessante" ho fatto notare, orgogliosa, a mio marito. 
"Già e hanno tutti voglia di vederti, pare incr... " 
"Mi sento generosa e scelgo di ignorare il tuo tono sorpreso. Ma tornati a casa potrei, per sbaglio, aizzarti contro il cane"
Roma vacanze

L'ultimo giorno a Roma è stato dedicato a Villa Borghese, parco e museo (meraviglia!), e poi Trastevere, Isola Tiberina e Lungo Tevere. 

Che dire? 
Roma è bella. Oggettivamente bella. 
A piedi o in auto, alzi gli occhi, guardi al fondo della strada e ti trovi di fronte a scenari stupendi. È talmente bella che è banale scriverne ma non ci si può astenere, perché le si farebbe un torto. 

E a Roma, è necessario dirlo, si mangia da Dio. 
I fritti e le pastelle, ne vogliamo parlare? 
E la pasta? Dopo un'attenta e scrupolosa analisi, che certe cose o si fanno bene o non si fanno proprio, ho realizzato che la mia preferita è la gricia. È incredibile che fino a poco tempo fa non l'avessi mai sentita nominare: perché non ha conquistato l'Italia e il mondo al pari di altre sue sorelle? Perché??? 
Io, mi perdonino amiche e amici vegetariani e vegani, vorrei farmi un lettino col guanciale (non a caso), avvolgermici tutta e vivere felice. 

Arrivederci Roma e grazie. 

Grazie per la bellezza, la generosità e il carattere dei romani che, visti da una torinese - cresciuta a "non mi oso" e "non si fa"- , sembrano un po' alieni, diversi, sfacciati, fumantini, ma affascinanti nel loro ruolo di eredi dell'impero, orgogliosi di esserlo, giustamente. La città e la gente racchiudono un'energia e una sfacciata superiorità, alla sti cazzi (nel significato originale loro e non quello storpiato nostro), da prendere ad esempio e portare con sé. 

Ora si parte e, dopo un'ultima giornata di vacanza rubata a Lucca, si tornerà a casa. Maledetto covid, che mi avevi quasi fatto dimenticare quanto fosse bello viaggiare, conoscere, incontrare e tornare a scrivere solo per il piacere di raccontare!

Vacanze Romane 5.
MAXXI Roma

Il bello di tornare a visitare una città più e più volte è che, a ogni incontro, puoi permetterti di trascurare i luoghi più ovvi e concentrarti su altro. Ciò vale a maggior ragione quando la città in questione è Roma, dove di luoghi nuovi da visitare ce ne sono per una vita intera. 

Marito, cintura nera nel trovare posti di cui valga la pena, dopo il Museu Berardo a Lisbona, il villaggio di Aurora nello Stato di New York e il MassMoca in Massachusetts, mette a segno un altro colpo felice. Complici alcune volte la Lonely Planet e altre il suo (insospettabile) intuito, Marito in vacanza dà il meglio di sé, proponendo per le nostre visite luoghi meno ovvi, talvolta inaspettati, sempre bellissimi. Io durante i primi viaggi, lo ammetto, ero parecchio titubante ma ormai mi fido ciecamente. E anche questa volta ho fatto bene. 

Il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, merita assai. Inaugurato nel 2010, raccoglie nelle sue sale un'interessante varietà di installazioni, esperienze, opere immersive ed ispirazioni. Da vedere. 

Il bello di tornare a visitare una città più e più volte è che puoi tornare a vedere i luoghi migliori, i più meritevoli, perché ogni volta c'è qualche particolare nuovo da scoprire o perché tuo marito, per esempio, non c'è mai stato. 

È questo il caso dei Vatican Museums - Musei Vaticani, km e km di storia, bellezza e cultura. Un'esperienza della testa, dell'anima e pure del corpo, provato dallo spazio da coprire e dalla temperatura da subire in alcune sale. 

"Allora che ne pensi?" chiedo a Marito appena usciti. 
"Qual è la tua impressione sulla Cappella Sistina? Io ne uscii sopraffatta e confusa, tu?" 
"Sì... ma il braccio di Adamo è evidentemente sproporzionato" 
"Ma io perché ancora ti parlo?" 

Il bello di tornare a visitare una città più e più volte è che puoi goderti la vacanza con più rilassatezza mentre ti concentri sui pregi e i difetti di chi ti sta accanto.

Vacanze Romane 4, 5.

 

Roma via Margutta

Quest'anno, per la prima volta, sono a Roma con l'auto e posso apprezzare a pieno la viabilità della capitale. Un unico, infinito, irrinunciabile senso unico. Per muoversi tra un colle e un altro si seguono gincane che a una torinese, abituata a strade perfettamente perpendicolari, paiono completamente illogiche. Anche se, onestamente, il tutto pare funzionare e l'obiettivo finale, la meta, si raggiunge con limitate difficoltà. Certo, tutto ciò nel 2021 col navigatore, perché vent'anni fa, con la cartina, ci saremmo messi a piangere in un angolo e a quest'ora starei scrivendo da lì. 

Quest'anno ho scoperto che sulla scalinata di Trinità dei monti non ci si può sedere. Magari valeva la stessa regola anche anni fa ma io in realtà ricordo dei gran bivacchi quindi, o non la facevano rispettare prima o l'hanno istituita poi, proprio per evitare i bivacchi di cui sopra. Che poi io capisco il punto di vista dei vigili che si ammazzano di noia sotto il sole urlando ogni 3x2 "non ci si può sedere sugli scalini" e quella dei romani che vorrebbero una città più vivibile e meno cannibalizzata dalla presenza dei turisti. Lo capisco ma, lo ammetto, non poter appoggiare il mio augusto deretano sulla scalinata un po' mi è dispiaciuto. E anche alla scalinata. 

Quest'anno mio marito ha proposto "Andiamo in Via margutta?" e io, senza pensarci un secondo, ho risposto "quella di Luca Barbarossa?" 
Perché, hai voglia di acido ialuronico e creme idratanti, hai voglia di diete e abbigliamento giovane, hai voglia di combattere il passare del tempo con il corpo tonico e pure lo spirito minchione, ma niente svela la vera età di una persona quanto le sue conoscenze musicali. Nel caso specifico basiche, nazional popolari e tanto "bimba cresciuta a pane e SanRemo". 
Maledizione!

Vacanze Romane 3, 4, 5.
Roma dal Vittoriano

Questa è la quarta volta che vengo a Roma. 

Era febbraio del 2000 quando, finita la sessione invernale di esami, due compagne di università ed io salimmo sul treno che di notte andava verso la capitale. Non eravamo ancora a porta Susa che una delle due tirò fuori la cartina di Roma e ci disegnò sopra due linee perpendicolari. "Ecco, ho diviso la città in 4 zone. Quattro zone per quattro giorni", disse soddisfatta, insensibile tanto ai nostri sguardi allibiti quanto alla grandezza della città. 

Alla fine dei 4 giorni, sul treno di ritorno, eravamo più morte che vive e anche la nostra amicizia, a dire il vero, non stava benissimo. 

Più o meno tre anni dopo ci tornai con FidanzatoTedesco. Era l'inizio di agosto e a spasso sul Palatino sotto il sole cocente vidi la Madonna, o almeno così mi parve. Per salvare i miei pochi neuroni non ancora stracotti mi comprai un adorabile cappellino bianco. Da pescatore. 
Ero così caruccia e all'ultima moda che FidanzatoTedesco iniziò a camminarmi due metri dietro. "Io non konosko te", diceva. Avete letto bene: un tedesco coi sandali criticava il mio di look, frutto di una scelta di sopravvivenza. E, infatti, è da mo' che è diventato ExFidanzatoTedesco. 

Una decina di anni dopo andai a godermi semifinali e finali di tennis al Foro Italico. Non ebbi nessuna apparizione mariana ma, in compenso, una ispanica. Vidi Nadal sulla terra rossa. Un alieno. Un banale essere umano non poteva giocare così. 

Quest'anno sono tornata con mio marito. Non facevamo una vera vacanza come piace a noi dai tempi del viaggio di nozze, nel 2019. A distanza di due anni io sono carica a pallettoni, immune al caldo e ai km. Marito ansima e ripete "Eravamo più giovani allora". 
"Sono passati solo due anni" 
"Sì ma gli anni di pandemia valgono come quelli dei cani".

Vacanze Romane 2, 3, 4, 5.




... anche il Pancarré.

A tal proposito, tempo fa, ho pubblicato un racconto sul quotidiano online TorinOggi. Realtà con cui collaboro felicemente da qualche anno.

Le prime righe ve le propongo qua, le altre dovrete leggerle sul sito ufficiale.

Buona lettura!

L'invenzione del Pancarré. Una storia raccontata da un punto di vista insolito

La folla urla e insulta. Il malcapitato ha le gambe che gli tremano. Cercherò di essere più rapido possibile, nessuno dovrebbe salutare questa terra nel terrore.

Non amo il mio lavoro ma mi permette di vivere bene. E poi qualcuno deve pur farlo.

La gente insulta ladri e assassini quando sono al patibolo ma poi quando tutto passa, la testa cade e si torna per le strade, quello ad essere insultato sono io. Il boia.

Le mie mani sono sporche di sangue, non lo nego. Ma lo sono anche quelle del giudice e soprattutto quelle della folla assetata del dolore altrui che, alla faccia di ciò che ci ha lasciato detto nostro signore Gesù Cristo, di “prime pietre” ne scaglia un bel po'.

Ogni volta che c'è un'esecuzione la piazza è così piena che, tra una spalla e l'altra, non riuscirebbe a cadere a terra neanche una capocchia di spillo. Stanno tutti là ad abbeverarsi del sangue colpevole del condannato. Senza carità cristiana. Senza perdono nel cuore. Senza vergogna negli occhi.

Loro urlano, incitano, maledicono. Ma poi sono io quello che viene segnato per strada, evitato come se infetto, insultato come se colpevole. Ma colpevole di cosa? Io per le anime e i corpi dei condannati la mostro un po' di pietà. Sono rapido e preciso. Mi pagano bene ma il mio lavoro non potrei farlo meglio.

Continua...


L'edizione primaverile di questa rubrica è tutta dedicata a cose da vedere. In tv oppure online.

Tre suggerimenti tre, da Pancrazia a voi.

1) Calls.
Cos'è? Una serie stranissima franco americana. La trovate su Apple TV. Episodi brevi, da 20 minuti circa. Telefonate tra amici, parenti, amanti. Trame un po' alla "The Twilight Zone" (Ai confini della realtà). Il tutto ascoltando solo la voce degli attori. Avete letto bene, nessuna immagine, nessun volto, solo le "calls" appunto. Tutta scrittura. Tutto dialoghi. Un audiolibro, praticamente. 
Soprattutto i primi due episodi sono potentissimi.
Stra consigliato!

2) Raised by Wolves.
Ridley Scott dà vita a una serie di fantascienza che si ispira a grafica ed immaginario anni '70 (e forse pure un po' '60). Terra inospitale, umanità quasi estinta, androidi e paesaggi aridi. Notevole nei temi e nella scelta stilistica. La trovate su Sky.
Per intenditori.

3) Lezioni di Teatro in Cucina.
Lasciamo la tv per il web. Le grandi produzioni per una piccola realtà, quella di Giulia Berto, attrice che insegna il teatro online direttamente dalla sua cucina. O meglio, lei insegna in DAD, però ogni tanto pubblica anche per noi studenti fuori corso qualche pillola interessantissimma. 
Vi lascio qualche esempio:
https://www.facebook.com/giulia.berto.58/videos/10157200317427218
https://www.facebook.com/giulia.berto.58/videos/10157989726717218
https://www.facebook.com/giulia.berto.58/videos/10158197860432218
Chicca per curiosi.

Per questo mese ho finito ma vi ricordo come sempre che, se avete qualcosa da segnalarmi, non dovete fare i timidi: scrivetelo nei commenti o via email a janecole@live.it.

Buon lunedì e a presto!

Pedro la vide per la prima volta nel refettorio. 
La luce che proveniva dai finestroni alle sue spalle la faceva sembrare un angelo. Un bellissimo angelo nobile e fiero. 

Lei aveva grandi occhi neri con ciglia di seta, piccole labbra rosa perfettamente disegnate e un cipiglio da generalessa. Lui rimase stregato e, dalla sorpresa di trovarsi al cospetto di un essere tanto perfetto, aprì la bocca e il pollice umido gli scivolò via schioccando come il tappo di un fiasco di vino. 

Quel giorno Pedro divenne un uomo. Perché solo gli uomini conoscono il vero amore e la cieca devozione. Aveva appena compiuto cinque anni. 

In realtà nessuno all’Istituto della Maria delle Grazie di Rio de Janeiro era immune al fascino di Aninha. Tutti i ragazzini la seguivano da vicino o veneravano da lontano. Spinti dalla passione amorosa i maschi e dal desiderio di emulazione le femmine. Persino le suore, che pur ne conoscevano l’allergia alle regole e la propensione alla ribellione, ne ammiravano l’animo appassionato. Alcune di loro, addirittura, sognavano per lei un futuro da Madre Badessa. Sognavano di riuscire a convogliare tutta quell’energia verso la fede, verso il Signore e soprattutto verso una strepitosa carriera ecclesiastica che avrebbe portato grande lustro a tutta la scuola. 
Una creatura così era destinata a fare cose grandi ma nessuno di loro, tranne Pedro, aveva intuito appieno quanto grandi potessero essere. 

Aninha aveva sette anni ed era a capo di un gruppo di fedelissimi, con i capelli a scodella e le ginocchia sbucciate, che rispondevano ai suoi ordini con cieca obbedienza e religiosa sollecitudine. Ogni giorno si cimentavano in nuove e perigliose avventure. Ma ciò che amavano di più era sfidare le autorità, con particolare accanimento verso il cuoco, “O Porco”, che li affamava facendo la cresta sulla spesa e riempiendo la zuppa di carne guasta, e Don José, “O Porco Grande”, il frate confessore che non li perdonava mai e, fra una penitenza e un’Ave Maria, li condannava sempre tutti all’inferno. 
Aninha non sopportava certe prepotenze e, tra dispetti e atti dimostrativi, combatteva la sua battaglia che era la battaglia di tutti.  Lei era una figlia del popolo col portamento da Regina. Una Regina guerriera. 

Pedro, al contrario, non era dotato di carisma e neanche di particolare coraggio. Le sue caratteristiche principali erano i pidocchi abbarbicati tra i ricci, la candela al naso, e un cuore grande e pieno d’amore puro. 

Lui guardava la sua Imperatrice da lontano, ammirandone la fiera bellezza e l’animo indomito, la schiena dritta e la parlantina incessante. Sognava di poter diventare il suo cavaliere. Il suo fedele scudiero. Il suo braccio destro. Tutto sommato si sarebbe persino accontentato di prendere il posto di Claudio. Quel ciccione, borioso lacchè che Aninha tollerava solo perché la sua altezza sopra la media e il fisico da giovane toro erano armi necessarie alla lotta. 

Pedro sognava ma non si faceva illusioni, sapeva che, agli occhi di lei, non sarebbe mai stato nient’altro che uno dei tanti piccoli orfani. Uno della folta massa di ragazzetti di scarto, che tra le quattro mura del collegio non ci stavano solo per studiare come lei, ma ci rimanevano perché non avevano nessun altro posto dove andare. Senza famiglia. Senza casa. Senza futuro. 
Pedro era rassegnato a essere uno qualunque, distinguibile dagli altri solo per lo straccetto che portava sempre in mano. Uno straccetto vecchio e puzzolente ma che per lui profumava di mare, sole e mamma. 

Una notte senza luna Aninha e i suoi compagni scivolarono furtivi fuori dai propri letti, attraversarono silenziosi i corridoi dai soffitti alti e i finestroni immensi, e raggiunsero il quadro della grande Dama. Una tela che a loro pareva enorme e terribile. Il ritratto della moglie del Senhor Pablo Soldon che un secolo prima, all’inizio del ’700, aveva speso parte del proprio immenso patrimonio per fondare l’Istituto, per dare una casa e una scuola ai piccoli orfani e ai figli delle famiglie più semplici e povere della città. 
In questo modo aveva regalato speranza e futuro a tanti, e soprattutto aveva dato una casa a tutti i bastardelli che egli stesso aveva seminato in giro. Aveva così cercato di pagarsi con moneta sonante il perdono dei propri peccati e un posto in Paradiso. 

La Dama guardava severa dall’alto, ornata di gioielli e belletto, con il naso lungo lungo e le sopracciglia folte e nere come ali di corvo. Tutti i bambini della casa erano terrorizzati dal suo sguardo severo e passavano di corsa sotto il quadro senza neanche avere il coraggio di alzare la testa. Le suore invece si fermavano sempre a fare un inchino, il segno della croce e pregare come davanti a una santa. 

Aninha aveva progettato a lungo l’impresa. Lo sfregio. La liberazione dal giogo della tiranna che con i suoi occhi maligni regnava incontrastata su tutti loro e sui loro incubi. 

Pedro aveva sentito i sussurri, aveva visto le ombre e aveva riconosciuto l’inconfondibile profumo di biscotti, zucchero e terra bagnata dell’amata. Stretto tra le mani il suo straccetto per farsi coraggio, si era incamminato a piedi nudi lungo il corridoio, seguendo silenzioso e invisibile il gruppo dei grandi. Quando furono tutti davanti al quadro si fece strada tra gli altri fino a raggiungere la prima fila, proprio nel momento in cui la condottiera stava sussurrando con voce ferma: “La nostra è una lotta per la libertà. Un piccolo passo sulla strada verso un mondo più giusto”. Tutte le teste a scodella annuirono e anche la capoccia ricciuta di Pedro le imitò. “Chi di noi lo farà?”, chiese Claudio. La Regina si guardò in giro. 

Ognuno di loro cercava di darsi il giusto contegno. Chi si sistemava i capelli, chi tirava su col naso, chi si grattava furtivamente il sedere. Chi, come Pedro, tratteneva il respiro e si teneva sulle punte dei piedi, cercando di sembrare un poco più alto. 

“Lo farà lui”, disse Aninha seria, allungando il pugno chiuso verso Pedro. I loro occhi s’incrociarono, i ginocchi di lui tremarono, e la mano di lei si aprì a mostrare un pezzetto di carbone. Lui ricevette grato il dono della propria ragion d’essere. Poi, ripresosi dall’emozione, si chiese con orgoglio quale fosse il grande compito che gli era stato affidato. Quale fosse l’impresa che finalmente l’avrebbe messo in luce e gli avrebbe dato la possibilità di dimostrare la propria devozione. Cercando una risposta guardò il pezzo di carbone e poi guardò Aninha. Guardò Aninha e poi guardò gli altri ragazzi. Guardò gli altri ragazzi e poi riguardò il carbone. 

“Devi disegnare i baffi alla Dama”, lo informò Claudio. 
Pedro si stupì, ebbe un attimo d’esitazione ma poi guardò di nuovo Aninha. Lei gli fece un semplice cenno del capo e il giovane cuore della testa ricciuta divenne ancora più grande e colmo d’amore. Fu in quell’istante che l’orfano con la pezzetta capì che sarebbe stato schiavo del suo sentimento per sempre. Si rassegnò al proprio destino e non se ne dispiacque. Decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua amata, anche sfregiare il viso della Dama, anche condannarsi alla dannazione eterna, anche assicurarsi l’esilio perenne. Lui sapeva benissimo che un’azione così non sarebbe mai passata impunita e che le suore avrebbero indagato, annusato, domandato fino a trovare la verità. 

Pedro salì sulle spalle di Claudio e allungò la mano armata di carbone con la consapevolezza di segnare così la propria condanna. Del resto era sempre stato un bambino sfortunato, nei suoi lunghi cinque anni di vita aveva collezionato una serie di disgrazie e patimenti che neanche Gesù Cristo in croce. Il piccolo martire sapeva che non sarebbe riuscito a farla franca ma s’immolò comunque felice sull’altare del proprio amore non corrisposto. Appoggiò il carbone sulla tela. Prima un ricciolo a destra. Poi un ricciolo a sinistra. La Dama divenne in un secondo la Dama Baffuta. E tutti coloro che assistettero alla metamorfosi giurarono che la donna ne aveva guadagnato molto in bellezza e simpatia. 

Pedro aveva appena rimesso i piedi a terra quando, dal fondo del corridoio, apparve una flebile luce: “Chi è là? Cosa state facendo?” 
E decine di piccole ombre nella notte ritornarono nei loro letti veloci come ne erano uscite. 

Quando le suore si riunirono sotto la tela della Dama non trovarono niente e nessuno. Niente tranne una pezzetta lurida. La pezzetta di uno dei piccoli. La pezzetta di quel sorcetto coi capelli crespi e l’aria spaurita. La pezzetta che la madre, una ragazza sciocca e leggera al servizio di una famiglia di ricchi e boriosi mercanti di città, gli aveva lasciato nella cesta come unico regalo. 

Le suore sorrisero compiaciute. Avevano trovato il loro colpevole. 

Pedro venne trascinato di peso fuori dal letto e la notte stessa spedito alla Casa di Frate Eustacchio dai Piedi Puzzolenti, l’Animo Pesante e il Sedere Tonante. Istituto dall’oscura reputazione dove venivano rinchiusi i ragazzi difficili, i casi irrecuperabili o semplicemente i bimbetti molto sfortunati. 

La mattina seguente, quando Aninha e gli altri si svegliarono, trovarono la Dama nuovamente privata dei baffi che tanto le donavano. Pochi di loro si accorsero che insieme alle appendici pelose era scomparso anche il loro giovane autore. Nessuno se ne preoccupò. 

***

Undici anni dopo, al Porto Vecchio si stava radunando un folto gruppo di giovani pronti a seguire il più grande eroe delle Americhe. L’uomo dal pelo fulvo e il naso dritto. Lo straniero che voleva salvare il popolo brasiliano dal giogo imperiale. 

I ragazzi, provenienti dalle città e dalle campagne, aspettavano ore in fila per farsi esaminare, scegliere, e poter infine entrare a far parte del gruppo dei combattenti rivoluzionari. Uno alla volta si presentavano davanti a quello sguardo acuto che sembrava sempre puntare verso l’infinito. Loro si proponevano speranzosi e l’Eroe decideva se fossero degni della lotta, e quale sarebbe stato il loro compito. 

Accanto a Colui che arrivava dall’altra parte dell’Oceano c’era sempre una donna. La sua donna. Un bellissimo angelo. Una figlia del popolo nobile e fiera, dai grandi occhi neri con ciglia di seta, piccole labbra rosa perfettamente disegnate e un cipiglio da generalessa. 

Quando fu il suo turno Pedro si fece avanti, mise il petto in fuori e spostò il peso sulle punte dei piedi per sembrare almeno un poco più alto. Era rimasto piccolo e magro, il cuore gli si era indurito come succede a tutti diventando adulti, ma la devozione verso la sua Imperatrice non era stata scalfita. Era andato alla ricerca dell’Italiano coraggioso con l’unico scopo di mettersi nuovamente al servizio dell’amata Aninha, che ora tutti chiamavano Anita. Forse questa volta sarebbe riuscito finalmente a non essere più uno dei tanti, a farsi ricordare e apprezzare da lei. 

“Sei un poco gracilino”, disse il senhor Garibaldi guardandolo dubbioso. 
“Sono piccolo ma resistente”, rispose lui, tendendo il più possibile il collo verso l’alto per guadagnare ancora qualche centimetro. 

Gli occhi profondi del più anziano fissarono severi quelli del giovane, cercando di comprendere se sarebbe stato davvero in grado di combattere. Gli occhi del più giovane non si abbassarono ma restarono seri e fieri. Nel bel mezzo di questo scontro di volontà Anita ebbe un sussulto, “È lui!”, urlò sorpresa. 

I due uomini si voltarono a guardarla stupiti. “È lui: l’eroe di cui ti ho tanto parlato”, continuò la giovane donna, “il bambino che sfidò la tirannia. Colui che trasformò la Dama nella Dama Baffuta. Il cuore generoso che si sacrificò per tutti noi. Raramente ho visto tanta risolutezza nello sguardo di qualcuno. A soli cinque anni era più coraggioso di molti degli uomini adulti che ho conosciuto nella mia vita”. 
Poi infilò la mano in una borsetta che teneva legata ai fianchi e vi tirò fuori uno straccetto. “Sono più di dieci anni che aspetto di ridarlo al legittimo proprietario. L’ho conservato per te”, disse la nobile Regina inchinandosi di fronte al suo Eroe e porgendogli il pegno della di lei devozione. 

FINE


 *Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistiti non è affatto casuale ma neanche storicamente preciso.*

Torna a grande richiesta (non è vero ma ho sempre sognato di dirlo) la rubrica Pancrazia Consiglia, cose belle da vedere, fare, leggere, scrivere online e non solo. 

Per questo Marzo inoltrato e dai foschi auspici, ho selezionato una serie di suggerimenti per svagare la mente, creare, scrivere e leggere.

Iniziamo proprio con la lettura e, mentre là fuori tutti parlano di Harry & Meghan – ma fatemi il piacere, #TeamCambridge tutta la vita! –, io voglio sorprendervi con la Reading Room, un profilo Instagram dedicato alla lettura, tutto in inglese e tutto ad opera di Camilla Parker Bowles. Sì, proprio lei.
https://www.instagram.com/duchessofcornwallsreadingroom/?hl=it

Passiamo dalla lettura alla scrittura. Se sieti orfani del mio Laboratorio Condiviso, potreste appassionarvi al Forum "Ultima pagina", fratello minore del famosissimo Writer's Dream. Uno spazio dove si parla di editoria, casa editrici ed agenzie, ma dove si trovano anche mille spunti, esercizi, idee per scrivere. Questo il link alla Palestra Creativa.
https://ultimapagina.net/forum/forum/52-palestra-creativa/

E dopo aver letto e scritto, non resta che dedicarci all'ascolto.
A questo link trovate Tutte le Radio del Mondo, il sogno per ogni appassionato, una tentazione irresistibile per ogni curioso. Da Detroit a Cinisello Balsamo, da Tokyo a Mumbai, da Sidney a Città del Capo, contro la globalizzazione a favore della scoperta!
http://radio.garden/visit/turin/6PyjGw08

Infine, com'è tradizione, dedico poche righe per pubblicizzare anche quello che faccio io, nello specifico, per chi non lo sapesse, se lo fosse perso, o continuasse volontariamente ad ignorarlo, sappiate che ho pubblicato il mio primo podcast. Mio dall'inizio alla fine. Nel senso che, in passato, ho fatto e condiviso anche su queste pagine splendidi podcast da copy, ottimi progetti a cui ho prestato le parole, la scrittura. Questo invece è tutto mio: l'idea, la voce, il montaggio, la parte tecnica. Insomma, non posso che incolpare me stessa. Per ora è uscita solo la puntata di febbraio ma quella di marzo è già in lavorazione... quanto meno nella mia testa. 
Questa serie s'intitola L'Ascoltarice, ed è dedicata ai podcast e agli audiolibri altrui, mia ultima folle passione. Podcast e audiolibri che ascolto, ho ascoltato, amato e ora consiglio.
https://www.spreaker.com/episode/43524126

E voi? Avete qualcosa da consigliarmi?
Lampioni innamorati (foto di Vallesilvia17)

In occasione di San Valentino (sì, qualche giorno fa) per la mia rubrica su TorinOggi (Storie sotto la Mole) ho scritto un racconto dedicato a un coppia torinese. 

Una coppia come tante, potrebbero essere i nostri genitori o anche i nostri nonni, che hanno percorso la vita e la città tenendosi per mano e facendo delle gran passeggiate.

Buona lettura!

Luisa e Marco s'incontrarono per la prima volta a scuola. La scuola elementare Federico Sclopis in via del Carmine 27. Non erano nella stessa classe perché allora maschi e femmine stavano ancora divisi. 

Lei aveva solo sette anni quando una compagna dispettosa le strappò il nastro dai capelli. Lui ne aveva 9 e, per non farla tornare a casa in lacrime, rincorse la ladruncola per tutta piazza Statuto e alla fine recuperò il mal tolto. Luisa lo ringraziò disegnando un fiore sulla polvere della strada. 

Quando la scuola venne bombardata, entrambi dovettero interrompere gli studi. Marco li riprese poco dopo. Luisa, invece, rimase a casa rassettare e cucire con la madre. 

Marco amava la geografia. "Quando ci sposiamo ti porto a Parigi" le disse quando andarono per la prima volta a passeggiare al parco del Valentino.

Continua...

Lo volevo fare da una vita e finalmente eccolo qua: il mio primo podcast.

Tutto mio. Ideato, scritto (?), condotto e montato da me medesima.

Come Mork e Mandy è nato da Happy Days così L'Ascoltatrice nasce da Radio Cole, uno spin off dedicato agli audiolibri e ai podcast (altrui) che ascolto e che amo.

Il primo episodio è dedicato all'inglesissimo Alan Bennett ed alle sue storie sempre originali.

Perdonate la voce da gallina strozzata ma apprezzate l'impegno.
Buon ascolto!
 

L’immagine, che ritrae il parco del Valentino sotto la neve, è opera di Uccio “Uccio2” D'Agostino


Il 13 gennaio del 1985 l'Italia fu coperta dalla neve. A Torino non si registrarono dei veri e proprio record ma, noi bambini sabaudi dell'epoca, quella nevicata ce la ricordiamo ancora. Ed, io, per festeggiare l'anniversario ne ho scritto un racconto su TorinOggi.
Buona lettura!


Erano finite da poco le vacanze natalizie, il presepe era stato smontato e messo al sicuro in cantina, mentre un rametto di vischio restava ancora appeso al lampadario dell'ingresso. 

Io ero appena tornato da scuola e, dopo aver mangiato di corsa, mi ero precipitato in cameretta a giocare con uno dei doni che Gesù Bambino mi aveva lasciato quell'anno, una macchinina telecomandata che era una vera bomba! 

"Vai a fare i compiti!" mi aveva inseguito mia madre, entrando in camera con le mani sui fianchi e l'aspetto minaccioso. Solo a quel punto avevo alzato lo sguardo e l'avevo visto, l'avevamo visto entrambi. Il cielo si era fatto bianco. Io lasciai perdere la macchinina e appiccicai la faccia al vetro della finestra. Mamma mi fu subito accanto, “È arrivata anche qui" la sentii dire.

Continua...

Applausi, gioia e giubilo, standing ovation per gli ultimi racconti nati dal Laboratorio Condiviso di Scrittura. Ogni partecipante ha pescato tra tutti gli esercizi assegnati quest'anno e ne ha scelto uno.

Che grande avventura è sta questa. Ringrazio tutti, tutti, tutti, coloro che hanno partecipato, quelli da un racconto solo come i fedelissimi, coloro che hanno letto e pure coloro che mi hanno detto "prima o poi partecipo eh" e poi chi li ha più visti? 

Ringrazio voi che avete regalato a me e al mondo le vostre storie, la vostra fatica, il tempo dedicato a una parola dopo l'altra a una frase dopo l'altra, la vostra immaginazione e, in qualche caso, persino i vostri segreti.

Questa avventura si conclude con una miscellanea di storie, tanta gioia e parecchia nostalgia.

Buona lettura a tutti e, non temete, qualcos'altro m'inventerò!





La sua camera era rimasta esattamente come l’aveva lasciata, tre anni prima. Le fotografie che avevano vinto dei premi erano ancora lì, appese alle pareti. Il letto aveva ancora il piumino a tinte vivaci che tanto gli piaceva, su una mensola le foto più importanti della sua vita lo guardavano, circondate di argento massiccio che suo padre aveva cesellato.

Dalla cucina proveniva un buon profumo di pasta al forno, il suo piatto preferito. La madre lo stava preparando per festeggiare il suo ritorno a casa per le feste, il padre leggeva il giornale sul divano del salotto, come faceva tutte le domeniche.

La sua attenzione era stata catturata da una fotografia al centro esatto della mensola, una ragazza con gli occhiali scuri ed i capelli blu che guardava dritta in camera. Ricordava esattamente quando la foto era stata scattata. Era sdraiata sul trampolino di una piscina vuota, il suo migliore amico sopra di lei che cercava di non precipitare di sotto mentre scattava la foto, una vita fa.

Poco tempo dopo, aveva preso la decisione più difficile della sua vita. Era una splendida domenica di sole i cui raggi attraversavano il salotto illuminando il divano sul quale i genitori si erano seduti. Dopo qualche esitazione aveva iniziato il suo lungo racconto, in cui ricordava il voler giocare ai cosiddetti “giochi dei maschi” quando era piccola, la mancanza di un ragazzo, tutti quei piccoli segnali che si sarebbero poi tramutati in una ineluttabile ed a tratti feroce presa di coscienza. Lei non era una ragazza, era un ragazzo intrappolato in un corpo che non gli apparteneva, ormai era arrivato a un punto tale che non era possibile tornare indietro. I dottori la chiamano “riassegnazione di genere”, aveva spiegato, e comprende l’assunzione di ormoni, lunghe sedute psicologiche ed infine la chirurgia. Non voleva soldi, aveva detto, il suo lavoro legato alla fotografia le aveva dato l’indipendenza economica già da un po’, insieme ad un piccolo appartamento che fungeva anche da studio, voleva solamente che loro sapessero e che cercassero di comprendere ed appoggiare la sua decisione.

La madre aveva preso un profondo respiro ed aveva parlato a lungo. Tutti quei segnali erano stati visti e discussi nell’intimità insieme al marito, avevano convenuto entrambi che c’era qualcosa di insolito in quella figlia che giocava come centravanti e che aveva sempre preferito i trenini alle bambole. Ma, aveva proseguito, avevano deciso che andava bene così, la cosa più importante era che lei fosse felice. Quindi no, non era stato esattamente un trauma sentire quelle parole dalla figlia che si dovevano abituare a chiamare figlio, ma di sicuro ci sarebbero volute molte spiegazioni ai parenti, in special modo alle zie che avevano una mentalità molto meno aperta della loro, ma che ci avrebbero provato.

Il padre invece aveva inaspettatamente piegato il giornale con molta cura e si era allontanato dalla stanza. Per quasi tre anni il ragazzo non aveva mai ricevuto da lui un messaggio, una telefonata o una lettera. Finché un giorno, al risveglio dalla sua quarta operazione chirurgica, aveva trovato un mazzo di fiori accanto al letto, il biglietto diceva poche ma potentissime parole: “Scusa. Ti voglio bene. Papà”. Aveva pianto di commozione e di gioia fino ad addormentarsi.

E così il ragazzo si ritrovava nella sua vecchia stanza, col profumo del pranzo ed i ricordi che gli parlavano dal contenuto delle cornici d’argento cesellate a mano. Passando davanti allo specchio, il riflesso della sua figura era irriconoscibile rispetto a quella ragazza coi capelli blu e gli occhiali scuri che guardava dritto, quasi a sfidare, l’obiettivo che la stava ritraendo. Adesso aveva i capelli cortissimi e biondo scuro, un filo di barba ed il fisico muscoloso e ben definito. Ma non tutto era cambiato, l’amore dei suoi genitori era immutato, dandogli forza e determinazione. Il cammino sarebbe stato ancora lungo e difficile, questo lo sapeva, ma con i genitori al suo fianco niente pareva impossibile.

Con un mezzo sorriso era uscito dalla stanza, chiudendo alle spalle la porta e il suo passato. Adesso avrebbe avuto tante cose di cui parlare con i suoi genitori, davanti ad un buon piatto di pasta e ad un futuro importante e luminoso.

Beppe Carta




“Ogni movimento quella mattina era fatto per irritare, un cartone inanimato alla volta, un continuo aprire e chiudere quella dannata porta. Tutto sembrava fatto per far uscire il residuo di tepore rimasto, per far entrare il freddo nel nido che si stava svuotando irrimediabilmente durante il peggiore degli inverni. Dal vetro era scomparso anche quella sorta di “benvenuto” appiccicato. Una specie di copia della coppia caricaturizzata, adesiva, bidimensionale, con colori brillanti, con facce allegre e vestitini tondi e morbidi, di quelle che recitano il mantra “Love is...”. Sì, la porta, quella che avevo lasciato sempre aperta, a tutte le ore, in qualsiasi giornata, con qualsiasi condizione meteorologica. Aperta a chiunque, soprattutto a chi non mi garbava (reciprocamente), anche a chi aveva remato contro la nostra coppia, anche a lui che da un anno la utilizzava come una portineria. Sulla porta del frigorifero avevo messo il mio cuore, che recitava “dove c'è Amore c'è Casa”, lo aveva visto e io non avevo potuto fare a meno di vedere il suo ghigno, che oramai aveva smesso di coprire. Più avanti nel tempo lo avrei stanato, per sentirmi rinfacciare che in fondo ero stata io ad averlo chiuso fuori di casa. In effetti quel giorno, quando stava traslocando nella sua nuova vita, ero ferma sulla mia posizione dichiarata da sempre, sui cerchi che si stavano chiudendo inesorabilmente. Neanche quella sera chiusi la porta. Ma poi arrivò l'indomani con tutti gli andirivieni necessari e qualcuno in più, allora mi sentii pronta... e fu così che mi chiusi la porta alle spalle e, questa volta, per sicurezza, diedi anche due mandate.”

Sirena Aliena

***

Da fuori, la fabbrica aveva perfino un bell’aspetto. Mi avevano detto che era opera di un grande architetto, Agnelli era un uomo che amava le belle cose. Avevo ventidue anni, fidanzato in casa, vivevo in un monolocale sul ballatoio in attesa di sposarmi con Lorella, mia coetanea, impiegata presso un avvocato. Tiravo la cinghia per mettere da parte i soldi per il matrimonio. Ero bravo a fingere. La domenica erano tutte uguali: pranzavo a casa dai suoi, poi andavamo in centro a fare una passeggiata mano nella mano, discorsi approssimativi sul nostro futuro, bacio tiepido sulla guancia sulla soglia di casa. Salivo sull’autobus e vedevo la gente prendere fuoco, chiedevo permesso, scusi, devo scendere, camminavo per chilometri sudato e affannato, cercando di riportare il battito del cuore alla normalità.

Guarda che faccia che hai, si vede che non te la dà. Ragazzi, qui dobbiamo organizzare una spedizione a puttane per il ragazzo pugliese, quella timorata di dio lo sta facendo andare fuori di testa. Gerardo, il mio compagno alle presse, si preoccupava per la mia salute. Gli altri annuivano, confabulavano, volevano trovare un rimedio. Io stavo zitto, loro mi assicuravano che non era così che doveva andare, l’avessero avuto loro un buco per scopare in santa pace alla mia età. Altro che matrimonio, tiè fuma, che sei preoccupante. Cazzo, ma da dove è uscito questo qui? Dalla Puglia, rispondevo. Ecco, sei un disonore per la tua terra.

Così, decisero per una cura di altro genere. Mi portarono al circolo operaio, due locali al piano terra in mezzo alle case popolari, pieni di gente, fumo, le chitarre, i manifesti di Potere Operaio con il sole radioso, le ragazze che ancheggiavano. Il vino aspro, forte, e un senso di comunanza mai vissuto prima. Dai, sorridi, mi dicevano i compagni, e bevi ancora un po’. E quelle chi sono? Le compagne, le femministe, occhio, che neppure quelle te la danno, o se lo fanno, poi ti fanno la predica che sei un fallocrate di merda, attenzione, ragazzo. Meglio la tua Lorella, o Loretta o come tramischia si chiama. A proposito, la vedi ancora, quella piaga? Certo che la vede ancora, sono fidanzati in casa, il ragazzo si è fottuto con le sue stesse mani.

How do iiu feel, like a rolling stone. Avevo imparato la canzone che mi rispecchiava in pieno. La cantavo, tutto concentrato per via del mio inglese popolare, quando era arrivata lei. Spostati, mi aveva detto, e si era seduta in braccio. Come è che ti chiami tu? Sei nuovo non ti ho mai visto prima. Aveva un profumo forte, pungente, che non conoscevo, è patchouli, mi disse. Aveva tre metri di sciarpa addosso, credo fosse fatta con gli avanzi di lana. Sembrava assorta, concentrata, gettava fuori il fumo della sigaretta e potevo contarle i denti candidi, mentre cercavo di tenere a bada un’erezione che si faceva avanti impavida. Secondo me aveva bevuto troppo, ma se è per quello anch’io non avevo scherzato. All’improvviso tutto sembrava talmente facile, posso venire a trovarti? A casa? Si, certo, cos’hai, sei tutto rosso, non ti senti bene? Deve essere che ho bevuto troppo. L’idea di averla in casa, solo per me, era intollerabilmente meravigliosa.

Dopo una settimana, quando ormai non ci speravo più, mi aveva bussato sulla porta a vetri ed era entrata come un uragano nella mia stanza. Dopo un attimo di reciproco imbarazzo, ecco che mi sospingeva sul divano letto, per fortuna già chiuso, e mi aveva abbracciato, avvolgendomi, inchiodandomi, prendendomi di sorpresa. Ero terrorizzato. Di sesso non ci capivo niente. Lei respirava piano sul mio maglione, io la trattenevo accarezzandola dolcemente tra i capelli, Capivo che quello era una specie di miracolo e non volevo rovinare niente. Ma quale fosse la prossima mossa, io non lo sapevo. Dovevo toccarle il seno, sfilarle il maglione, leccarle le dita? Non volevo rovinare niente. Mi piaceva stare così, stretto, sentire che non le stavo facendo del male. Il tempo passava e per quel che mi riguarda, non esisteva più niente al di fuori di noi due. La sera ci avvolgeva, non avevo il coraggio di accendere la luce.

Tu sei diverso, dagli altri, mi diceva, sei bello. Ora devo andare. Se non arrivo per le sette e mezza, mio padre mi spara. Dice che ho solo diciassette anni, a me sembrano tanti e a te? Mi faceva domande ma non aspettava mai le risposte, galoppava sempre un metro avanti a me, posso tornare vero? Sulla porta mi aveva baciato, un bacio vero, come quelli dei film.

Nel giro di un mese, avevo disdetto il contratto di affitto, dato il preavviso in fabbrica. Fai bene, avevano detto i compagni, sei troppo giovane per restare a marcire qui dentro, vai giù coltiva la terra, metti su una falegnameria, non farti succhiare la vita. Approvavano? Si, approvavano. Non vedevo più scoppiare gli incendi, le allucinazioni erano finite. Con Lorella era stato difficile. Era dura con me, non capiva, se avevo un’altra perché me ne andavo, non avevo un'altra e lei non c’entrava niente, ero io che avevo sbagliato, avrei deluso i suoi genitori, e i miei, certo che non crescevo mai, ero proprio un immaturo.

E l’altra? La principessa era tornata un pomeriggio, con i biscotti per il tè. Mi raccontava della manifestazione per l’aborto libero, dei suoi problemi a scuola, di un tipo che le piaceva. E come mai volevo tornare al paese, e la mia ragazza che diceva. L’ho lasciata. Davvero? Senti, sai che c’è, ti regalo la mia sciarpa per ricordo, poi per le vacanze vengo a trovarti, se non vado in Grecia con le amiche, se mio padre mi lascia, dio che palle, certo al ritorno potrei passare, la puglia però è di strada se scendo a Brindisi posso raggiungerti. Ma davvero l’hai lasciata?

Dopo una settimana, era arrivato il giorno della partenza. Il mio monolocale aveva l’aria triste e abbattuta di sempre, con le pareti gialline e il calendario appeso di sghimbescio a cui non avevo più strappato i giorni. l’ho scampata bella, avevo detto, rivolto alle mie valige sul pavimento. Cosa dici, ragazzo pugliese ex-operaio Fiat? Gerardo era venuto a prendermi. Niente, parlo da solo, andiamo che si fa tardi. Mi chiusi la porta alle spalle, per sicurezza diedi due mandate. 

Barbara Fiore



Lola Larsen era la ragazza più bella di tutto Buenos Aires. Un corpo esile ma dalle giuste forme, lunghe gambe da gazzella, capelli talmente chiari da sembra bianchi, occhi verdi da gatta. Un aspetto fatto per sedurre che nascondeva un carattere spigoloso e poco incline alle moine.

Era arrivata in Argentina, insieme ai suoi nonni, all’età di quattro anni. La madre era morta pochi mesi prima e i tre si erano imbarcati dalla Svezia per raggiungere Olav Larsen, suo padre. Ricco imprenditore che era partito per il Sud America quando la piccola Lola doveva ancora venire al mondo. Aveva annusato un’occasione e aveva scelto di lasciare la giovane moglie da sola con il pancione. La piccola Lola non gliel’avrebbe mai perdonato.

Questa piccola bimba svedese era venuta al mondo quando le giornate erano brevi e le notti lunghe ma la madre aveva scelto per lei un nome caldo e straniero proprio per legarla a quel padre così lontano.

I nonni di Lola erano morti nel giro di pochi mesi. Olav e la bambina erano rimasti da soli. L’uno accanto all’altro a guardarsi sconosciuti.

Lola sarebbe stata cresciuta da numerose tate, avrebbe imparato rapidamente lo spagnolo ma l’avrebbe sempre parlato con un curioso esotico accento che, ormai donna, ne avrebbe addirittura aumentato il già notevole fascino.

Ottima musicista, portata per le lettere e ben educata. Lola era una dama bella e fredda, chiusa in un mondo privo di affetti.

Non aveva ancora compiuto quindici anni quando la sua eterea bellezza cominciò ad attirare l’attenzione degli uomini per strada o degli amici di suo padre. Molti la guardavano con la reverenza che si deve a una Madonna, altri con la lascivia ispirata dalla Maddalena. Lei ignorava in ugual misura sia gli uni che gli altri. Li notava ma non ricambiava, mai. Non che non volesse sposarsi. Lo desiderava moltissimo. Voleva una casa propria, voleva lasciare dietro alle spalle un padre verso il quale provava un irrazionale ma inossidabile rancore.

Desiderava un marito ma non voleva sbagliare, voleva l’uomo giusto accanto a sé, dai quattro anni in poi era stata costretta a trascorrere la propria infanzia con chi non amava, non avrebbe permesso che succedesse ancora. Non che volesse innamorarsi follemente. No, quello, no. Anzi, quello lo voleva proprio evitare, non voleva che l’amore annebbiasse il suo giudizio, proprio com’era successo a sua madre. Voleva un uomo accanto che non l’abbandonasse. Non lo doveva amare, l’amore era un sentimento volubile, lei voleva una presenza stabile, a cui appoggiarsi, di cui fidarsi.

Ed è per questo che più cresceva più si guardava in giro con attenzione. Non troppo giovane né troppo vecchio. Una professione stabile, un animo gentile. Infine, tra tutti i conoscenti di suo padre scelse il notaio Pedro Lopez. Era scuro, dove suo padre era chiaro, era allegro dove suo padre era rigido, era un figlio di quella terra e la guardava con ammirazione ma anche con allegria. “Signor Pedro” disse offrendogli dei pasticcini durante un piccolo ricevimento che suo padre aveva voluto organizzare per festeggiare l’ennesimo successo.
“Signor Pedro…”
“Buona sera madame Lola”
“Avrei una domanda da farle”
“Mi dica” disse addentando il pasticcino e sporcando di zucchero a velo i baffi neri.
Gli altri erano riuniti a chiacchierare in piccoli gruppetti, attorno a loro non c’era nessuno.
Pedro la guardava in attesa. Lola allungò il collo, sollevò il mento e fece rigide le spalle ancora più del solito. 
“Avrei una domanda da farle”, ripeté, “le spiacerebbe sposarmi?”

Jane Pancrazia Cole






“Non l'ho mai raccontato a nessuno... che in un giorno d'estate, con trenta gradi e una cappa d'afa, a poco a poco, si respira gelo, soffia un vento sospeso di parole non dette per timore, per orgoglio, per pregiudizi, a scoprire i sentimenti; e d'un tratto sembra la scena di un teatro, dove le attrici sono manichini di cera in una vetrina; incomprensioni che ingabbiano le vite, ragioni che rimbalzano come una palla su muri di gomma; e quanta fatica per trovare un punto d'incontro e per spiegare le ali, per essere in pace con la vita.”

Naomi



Dal mio punto di vista? Di poteri non ne ho nessuno, sono gli altri ad essere desolatamente normali. La loro tridimensionalità è un piattume che fatico ad osservare.
Sono troppo spensierata mi dicono, ma non posso fare a meno di trarre la gioia dalla mia quotidianità quando posso attrarre a me qualsiasi cosa io desideri con la facilità con cui mi vesto di un sorriso.
Mi piace danzare, e roteare, con i miei abiti vellutati, e nel mio vorticare attiro gli sguardi di chi è smarrito nella propria quotidianità dagli angoli ragionevoli.
Se ruoto abbastanza veloce, posso sparire, smetto di riflettere la luce che può incontrare i loro occhi ordinari, divento altro.
Scelgo talvolta di non essere trovata, e scelgo spesso di guardare oltre, nelle dimensioni che gli altri non possono vedere, vi cerco la bellezza.
Quando lo desidero, ciò che tocco si può cristallizzare in un eterno presente e si allunga all’infinito, sospeso sull’orlo della mia pelle, perché posso flirtare col tempo, che mi è amico. Quando lo incontro, il tempo, lo sfioro con la punta delle mie dita e ci osserviamo con calma in un istante eterno. Interrompo il contatto ed è già lontano.
Mi chiedono perché così splendida io sia ancora single, ma io sono molto più che single, sono una singolarità.
Io mi basto e mi completo, mi riempio e sono luce, anche quando per i loro occhi risulto assente, custodisco il tesoro che mi rende invincibile e plasmo ciò che mi circonda come voglio, perché non sono imbrigliata nei confini che mi attribuiscono. Se pensate che il mio sorriso sia solo due labbra e dei bei denti, vi siete persi un viaggio infinito tra i miei ossi alveolari.
Spesso mi hanno chiamato supereroe, e mi hanno chiesto come usassi le mie capacità per salvare il mondo.
Non condivido il loro punto di vista, e non perdo tempo a cercare di spiegare cosa significhi la mia esistenza. Mi chiamo Singleton e custodisco il segreto che rende l’universo possibile.

Marina Alice Cibin



Vi svelo un segreto grande, enorme, monumentale: BABBO NATALE ESISTE. 

Ve lo dico perché l’ho conosciuto, una notte d’inverno di inizio dicembre al bancone del Civili (n.d.r. storico locale livornese) davanti ad un ponce al mandarino caldo caldo. 
Vi descrivo brevemente la scena, per come me la ricordo. È passata nella mia mente così tante volte, oramai, che mi sembra quasi di averla vissuta ieri e non anni ed anni fa. 

Quell’uomo grande e grosso, con un vestito oramai consunto, le mani piene di galle di chi lavora duramente, il capo chino e pensieroso di chi ne ha viste tante, mi fa, dopo avermi pestato un piede ed urtato pesantemente per alzarsi e cercare di dirigersi – forse - in direzione bagno: “Ma sono bria’o?”.
“No no, non si preoccupi, ha solo qualche macchia di alcol e zucchero qua e là sul vestito rosso” – provo a dire. 
“De, e regali fii” – mi risponde, come a dire “non si preoccupi, signore, non fa niente” e mi abbraccia, con quel barbone oramai appiccicoso e puzzolente. Credo fosse seduto là dall’inizio del pomeriggio e che quello fosse il trentesimo ponce. 
Quando mi ha mostrato il bicipite ed il suo tatuaggio, ho deciso di fare quello che si fa in questi casi: gli ho preso lo smartphone ed ho chiamato il primo numero nel registro delle chiamate. Nientepopodimeno che La Befana. 

Una mezz’ora più tardi mi ero ritrovato seduto al bancone con lei. La Befana. 
“È saòsa? Un è mi’a che aggaisce di fame! C’ha solo d’andà in pensione a fine anno.” - A quanto pare, Babbo Natale aveva anche fatto proprio il detto “moglie e buoi dei paesi tuoi”. 
Continuando: “È tarmente allezzito che du’ citti in meno a fine mese ni fanno bruciaùlo. Be’ mi’ vaini, chissà che fine ni ha fatto fa’’” – come a descrivere un Babbo Natale moderatamente tirchio e ben poco avvezzo alla gestione dei soldi. 
Quindi, il povero Babbo Natale era soltanto un anziano fragile in depressione pre-pensionamento. 
Che uomo! Che cuore! 
Quella è stata la prima e l’ultima volta che li ho visti. In realtà, l’ultima volta che sono stati visti da qualcuno. 

“Tip tap tip tap 
Questa è l’ora l’ora dei folletti 
Tip tap tip tap 
Pazzerelli saltano i folletti 
Nella casa 
Stiam cercando cose buone e dolci da mangiare 
Pazzerelli saltano i folletti 
Stiam cercando proprio te.” 
Questa è la melodia che ha accompagnato l’irruzione ed il mio accerchiamento da parte di 10 stupidi folletti nel mio salotto, qualche settimana dopo. Non sembravano dolci-teneri-pazzerelli: vi dico solo che non riesco più a guardare Netflix da solo nel mio salotto. 
Recitando lentamente “tip tap tip tap” si sono allontanati ed è rimasto solo un folletto un po’ più alto, con la giacca ed incravattato. 
“Signor Brucialippa” – sapeva anche il mio nome! – “la mia visita non è casuale. Lei è l’ultima persona ad aver visto Babbo Natale e la Befana. Dal 7 dicembre Babbo Natale numero 17 è completamente scomparso nel nulla.” 
“Il Natale è in pericolo!” – sono saltato giù dal divano, già immaginandomi come l’eroe di un film natalizio o l’eroe in tutte le testate di giornale: “il Signor Brucialippa salva il Natale”. 
“Signor Brucialippa” – con quel tono mi ci chiama solo la ragazza che viene a fare le pulizie quando lascio troppo sporco – “La notte di Natale NON è una notte improvvisata. 
Nemmeno Amazon ha un sistema così fitto ed organizzato di ricevimento missive, magazzini locali, spie diffuse in tutto il mondo per segnalare, per esempio, che la nonna o la zia non abbia già comprato il regalo che il bimbo desidera. 
Quindi non si preoccupi del Natale. Si preoccupi di dirmi TUTTI i dettagli, movimenti o frasi che quei due sciagattati hanno fatto o detto”. 
Nonostante l’accento nordico e l’atteggiamento a signorina Tumistufi, qualcosa da quei due “sciagattati” l’aveva presa. 
“Il Vecchio era sempre stato un po’ strano. Essendo tutto ben organizzato, lui doveva fare solo da uomo-immagine. 
Eppure una cosa la voleva fare, disgraziato. 
Girava per le case – tutte le case del mondo – la notte dell’8 dicembre e rubava un addobbo, un vecchio regalo, un oggetto non molto visibile. VOI pensate l’abbia rotto il gatto; VOI pensate che sia rimasto in chissà quale scatolone. No. Era lui, Babbo Natale numero 17. Il Ladro. 
Rubava ai ricchi per dare ai poveri? Macchè! Per dare a sé stesso. 
Gli piaceva avere l’Albero ed il Presepe più grandi del mondo. 
Pazzo di un numero 17. 
Ora, il numero 18 è un tedesco fanatico. Ha scoperto il magazzino “diverso” e si è ricordato di un oggetto che gli è sparito un Natale di 20 anni fa di cui non si era mai dato pace. Purtroppo il magazzino “diverso” non ha il catalogo digitale e cercare là dentro un piccolo oggetto di chissà quale forma è un delirio. 
Vuoi farmi lavorare in pace col nuovo capo? Eh?” – mi aveva preso improvvisamente per la collottola, mentre per il resto del tempo aveva camminato in cerchio muovendo esagitatamente le mani e parlando a sé stesso. Tanto che nel frattempo mi ero fatto un thè per dimenticarmi degli elfi. 

Io non avevo saputo aiutarlo. 
Ma quell’incontro con Babbo Natale e la Befana non lo dimenticherò mai. 
Ogni volta che ci penso mi viene da fumare. Ho iniziato di nuovo subito dopo quel 7 dicembre. Mi sono trovato un accendino in tasca con sopra incisa una birra dell’Oktoberfest e..voilà! Chissà dove l’ho recuperato. 
Sono quegli oggetti che recuperi, che perdi e non te ne accorgi nemmeno. 
Gli accendini sono come gli ombrelli, no? O come la decima pecora del Presepe...

Marianna Palmerini

***

Maya amava il Natale, trovava inebrianti le luminarie della città, le decorazioni dei negozi; profumava persino la casa spargendo ovunque scorze di agrumi e sorseggiava con piacere vari infusi speziati. Sua madre Emma invece rimaneva piuttosto indifferente all’atmosfera delle feste. Non che Maya avesse mai avuto una spiegazione in merito a quello strano fenomeno, ne prendeva semplicemente atto ogni anno, sperando che prima o poi la donna cambiasse idea. Con i pochi risparmi della paghetta aveva comprato un piccolo albero sintetico, che decorava con palline dai colori diversi. 
Avrebbe tanto voluto aprire quella scatola in legno – posta nello scaffale più alto del ripostiglio – con su scritto “Vecchie decorazioni da non usare”, ma era sigillata e ogni volta che chiedeva a sua madre che cosa contenesse, riceveva sempre la stessa risposta: “Tu fai finta che non esista”. 
C’era solo un addobbo natalizio che Emma ogni anno si prendeva cura di togliere da una sacca di pesante velluto rosso pieno di morbida ovatta: la statuina di un soldatino Schiaccianoci, proprio come quello dell’omonimo balletto, con tanto di giubba rossa, barba bianca, corona dorata e bastone di ordinanza; Emma era stata una ballerina professionista prima che Maya nascesse e lo Schiaccianoci di Marius Petipa era il suo balletto preferito, portava la figlia a vederlo ogni volta che quella rappresentazione era in città, soprattutto nel periodo natalizio. Maya gioiva nel vedere la madre che felice canticchiava tra sé le note tanto conosciute, seguiva i passi con un lieve movimento del capo, piangeva durante la danza dei fiocchi di neve. 
Sì, di quel periodo era decisamente quello il giorno che la ragazza preferiva. 
La notte della vigilia Maya fu svegliata da un tonfo, si girò verso sua madre che invece dormiva tranquilla e scese dal letto per andare a vedere cosa fosse successo. Era certa che il rumore fosse stato in sgabuzzino e mentre vi si avvicinava sentì anche dei lievi bisbigli, che crescevano di intensità man mano. Aprì la porta e accese la luce: i bisbigli sparirono ma si preoccupò non poco nel vedere la scatola in legno proibita che giaceva semi aperta sul pavimento, facendo trapelare tutto il suo contenuto. Erano delle decorazioni bellissime: tutte dipinte a mano, in vetro, ceramica, legno, di tutte le forme e dimensioni. Statuine a forma di Babbo Natale, cristalli di vetro; c’erano persino le statuette della favola di “Alice” di Carrol; di Pinocchio, una di un Mariachi col sombrero e tante altre. 
Il cuore della ragazza batteva a mille: se sua madre l’avesse scoperto? Se qualcuna di queste si fosse rotta nella caduta? Rimase incerta sul da fare quando d’improvviso una voce: “È tardi, è tardi è tardi! Che aspetti a portarci in un posto sicuro?” 
Dallo spavento per poco non fece scivolare il Bianconiglio dalle sue mani. 
“Tu parli?” 
“Shhh, o Emma potrebbe sentire!” Disse un’altra voce dalla scatola. 
“Ma che diavolo…” 
“Nessun diavolo ragazzina, noi portiamo gioia.” 
“Siamo rimasti chiusi dentro tutti questi anni a fare la muffa, altro che gioia!” 
Si lamentò un’altra voce. 
Maya era terrorizzata. Stava sognando? 
“Vamos vicino all’albero e te esplicheremo todo!” 
E lei molto lentamente, ancora in stato di shock, obbedì al piccolo mariachi. 
Una volta lì anche lo Schiaccianoci parlò: “Ce ne avete messo di tempo!” 
“Zitto tu, che sei l’unico che proprio non può lamentarsi!” Gli inveì contro Alice. 
“State tutti bene?” chiese Il Re di Cuori. 
“Io mi sono rotto in due pezzi, ma non sono grave.” Disse un angelo di coccio. 
“A me manca una punta.” Disse un intarsiato abete in legno. 
“Insomma voi chi siete?” 
Il Re di Cuori continuò: “Noi siamo le vecchie decorazioni dell’albero di Natale di Emma, alcuni di noi abbellivano addirittura l’albero della casa dei tuoi nonni a New York. Proveniamo da tutto il mondo, da tutti i posti in cui tua mamma ha vissuto e in cui ha viaggiato prima che tu nascessi. Vedi? Lui proviene da Amsterdam, lui da Stoccolma, io da Oxford...” 
“Viaggiava per via della danza?” 
“Non solo, era una passione che aveva in comune con tuo padre.” 
“Oh, stavi andando così bene…” disse un pennuto giallo su una calza grandissima con scritto ‘Sesame Street’. 
“Non preoccuparti.” Rispose Maya “Ho pochi ricordi di lui e mamma non ama parlarne.” 
“Dopo che tuo padre ha avuto l’incidente ricordare i momenti con lui le faceva troppo male e così ci ha messo tutti nella scatola.” 
“Ha messo tutti noi, non te.” 
“Alice ha ragione: tutti loro. Io sono stato risparmiato perché non faccio parte di quei ricordi.” 
“Io provengo da un romanticissimo week end a Praga proprio nei giorni di Natale”. Disse una campanella di cristallo. 
“Anche io sono stato comprato a Natale.” 
“Anche io…” 
“Pure io…” 
“Ora capisco.” Disse Maya “Ma perché parlate? La scatola è caduta per un incidente? Io non voglio finire nei guai!” 
“Abbiamo sempre parlato ma mai in tua presenza! È il tuo spirito natalizio che ti dà il potere di sentirci, io l’ho sempre percepito e mentre me stavo dentro l’ovatta ho proposto agli altri di provare il tutto e per tutto, sperando nel tuo supporto”. 
“Io non ho mai voluto parlarti!” 
“Oh Alice, lo Schiaccianoci non ha colpe, non credi? Vi prometto che farò il possibile per aiutarvi. Certo è che avete corso il rischio di rompervi tutti, siete così belli ma così fragili!” 
“In realtà Emma ha sempre avuto cura di noi, guarda qui.” 
La stessa cura con la quale Emma faceva riposare il soldatino natalizio era stata riposta nella scatola di legno; Maya diede un’ aggiustatina ai pezzi rotti, li pulì per bene e sostituì le palline colorate con quei nuovi amici che scintillavano alle prime luci dell’alba. 
Quello sì che era un albero di Natale super. 
“Credi che mi metterà in castigo?” Chiese la ragazza al soldatino di legno. 
“Ormai sei grande! Falle capire che il suo passato non deve essere un ostacolo alla sua vita, alla vostra vita e vedrai che non ci saranno più decorazioni natalizie rinchiuse, anzi, tante altre si aggiungeranno alla collezione!” 

E così fu. 

Dedicato a tutte le persone a cui manca viaggiare: non rinchiudete la progettazione di un viaggio futuro in una scatola anzi coltivatela perché prima o poi potremo tornare a vedere il mondo e lui non vorrà vederci impreparati! 

Elisa Pozzati
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