Capitolo due: "I ragazzi"
Da quel giorno, appena potevo, mollavo Lucia da sola tra la merda di vacca, e correvo da loro.
Tommaso, detto Maso, sapeva andare su e giù dagli alberi meglio d’un gatto e si faceva rispettare da tutti in paese, da quelli più piccoli fino a quelli già grandi.
Gino, il piscialletto, aveva paura pure dell’ombra sua, ma era il migliore amico mio e, quando c’avevo di bisogno, c’era sempre.
Bastiano, grosso quanto un toro, a vederlo con quel collo corto e le braccia grandi come cosce faceva quasi spavento, ma in realtà era buono come il pane. Un ragazzetto di cuore che non avrebbe fatto male manco ad una formica.
Teo invece no, quello era proprio cattivo e traditore di natura. Mentre il cugino suo, Giovanni lo scemo, c’aveva la capoccia così vuota che, se ci avvicinavi l’orecchio, potevi sentire il vento.
E poi ci stava Pino, secco e veloce più di un pescetto nell’acqua. Aveva la risata allegra come il campanello d’una bicicletta e la conservò pure dopo che quelli delle squadracce gli portarono via il babbo, e lui si ritrovò a dover fare “l’omo de casa” con i calzoni corti e la vocetta ancora buona per il coro della chiesa.
Io mi sentivo come l’unica sorella in mezzo a tanti fratelli e mi piaceva così.
Facevamo l’acchiapparello tra gli alberi del bosco rosso, andavamo allo stagno a catturare le rane, giocavamo alla guerra con cerbottane e lance, prendevamo a sassate il cane rabbioso della Pazza, e ci riempivamo la pancia coi frutti presi a scrocco.
Io c’avevo sempre una gran fame e non riuscivo proprio a trattenermi. Ogni volta era meglio d’una festa e mangiavo così tanto da stare male. Come quel giorno che, per colpa delle prugne dei Casotti, passai il pomeriggio accucciata al ruscello con la cacarella, i crampi ed i sudori freddi. Alla fine avevo le gambe che mi tremavano come quelle di un vecchio ed una faccia così smunta che parevo morta.
La mamma ebbe paura e, credendo mi fossi presa chissà quale brutta malattia, mi vegliò tutta la notte, pregando la Vergine di non farmi volare in cielo dai fratelli miei. Pregava a voce bassa e mi teneva la mano sulla fronte. Io stavo ferma e mi godevo quel calduccio lì. Che mamma mia non è mai stata tipa da tante coccole, e un momento cuscì era proprio una roba speciale.
Se quella povera donna sapesse ora la verità, verrebbe dritta dritta giù dal cielo e me ne darebbe tante ma tante che di bastoni per camminare poi me ne servirebbero due.
Continua...
Prologo - 1
Tommaso, detto Maso, sapeva andare su e giù dagli alberi meglio d’un gatto e si faceva rispettare da tutti in paese, da quelli più piccoli fino a quelli già grandi.
Gino, il piscialletto, aveva paura pure dell’ombra sua, ma era il migliore amico mio e, quando c’avevo di bisogno, c’era sempre.
Bastiano, grosso quanto un toro, a vederlo con quel collo corto e le braccia grandi come cosce faceva quasi spavento, ma in realtà era buono come il pane. Un ragazzetto di cuore che non avrebbe fatto male manco ad una formica.
Teo invece no, quello era proprio cattivo e traditore di natura. Mentre il cugino suo, Giovanni lo scemo, c’aveva la capoccia così vuota che, se ci avvicinavi l’orecchio, potevi sentire il vento.
E poi ci stava Pino, secco e veloce più di un pescetto nell’acqua. Aveva la risata allegra come il campanello d’una bicicletta e la conservò pure dopo che quelli delle squadracce gli portarono via il babbo, e lui si ritrovò a dover fare “l’omo de casa” con i calzoni corti e la vocetta ancora buona per il coro della chiesa.
Io mi sentivo come l’unica sorella in mezzo a tanti fratelli e mi piaceva così.
Facevamo l’acchiapparello tra gli alberi del bosco rosso, andavamo allo stagno a catturare le rane, giocavamo alla guerra con cerbottane e lance, prendevamo a sassate il cane rabbioso della Pazza, e ci riempivamo la pancia coi frutti presi a scrocco.
Io c’avevo sempre una gran fame e non riuscivo proprio a trattenermi. Ogni volta era meglio d’una festa e mangiavo così tanto da stare male. Come quel giorno che, per colpa delle prugne dei Casotti, passai il pomeriggio accucciata al ruscello con la cacarella, i crampi ed i sudori freddi. Alla fine avevo le gambe che mi tremavano come quelle di un vecchio ed una faccia così smunta che parevo morta.
La mamma ebbe paura e, credendo mi fossi presa chissà quale brutta malattia, mi vegliò tutta la notte, pregando la Vergine di non farmi volare in cielo dai fratelli miei. Pregava a voce bassa e mi teneva la mano sulla fronte. Io stavo ferma e mi godevo quel calduccio lì. Che mamma mia non è mai stata tipa da tante coccole, e un momento cuscì era proprio una roba speciale.
Se quella povera donna sapesse ora la verità, verrebbe dritta dritta giù dal cielo e me ne darebbe tante ma tante che di bastoni per camminare poi me ne servirebbero due.
Continua...
Prologo - 1
2 commenti