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Torna anche questo autunno il mio Laboratorio di Scrittura via Newsletter, il mio “Laboratorio d’Autore”!

In cosa consiste?

  • Un invio ogni due settimane per 4 mesi.
    In ogni newsletter: esercizi, teoria, curiosità e ispirazioni.
    Mi potrai mandare quando vuoi gli esercizi svolti e io per ognuno di questi ti manderò un feedback dettagliato. 
  • 2 incontri di gruppo via Zoom.
    Ogni incontro durerà due ore e sarà un’occasione per ritagliarsi un momento per guardarci in faccia, scrivere, scambiarci opinioni e impressioni. 
  • Gruppo privato Telegram, un angolo sempre aperto, per scambiarsi idee e confrontarsi sui diversi esercizi e sugli argomenti trattati nei vari invii della newsletter.
Infine, una grandissima e utilissima novità: una call privata di un’ora con me, per avere un aiuto più mirato. 

Prendi Nota: 
• Prima Newsletter: mercoledì 11 ottobre 2023
• Ultima Newsletter: mercoledì 7 febbraio 2023
• Le date delle call di gruppo, della durata di due ore, verranno decise a maggioranza 
• La data della call privata, della durata di un’ora, verrà decisa in accordo tra me e l’allievo.  

E il costo?
Avrai tutto ciò che ho elencato alla (modica) cifra di 50 Euro. 

Se ti ho già convinto, puoi iscriverti direttamente a questo link: https://ko-fi.com/s/f192d022e9. 

Se invece hai delle domande da farmi puoi scrivermi a info@rossanarotolo.it oppure qua sotto nei commenti.

 


IL MIO SITO è ONLINE! 
Ti va di dargli un'occhiata?
Clicca qui > www.rossanarotolo.it.



Domani oggi pomeriggio il mio sito, 
www.rossanarotolo.it, sarà online, evviva evviva! 

Per festeggiare l’evento, Sabrina Di Bartolomeo ed io terremo una diretta su Instagram. 

Se non mi segui ancora, questo è il link https://www.instagram.com/jane_pancrazia/.

L’appuntamento è per stasera alle ore 18. 

Non parleremo solo del mio sito ma anche di come progettare un proprio sito web e a chi è meglio rivolgersi per farlo. 

A stasera!





“A ognuno il suo racconto”. 
Che cos’è? Il mio pay off. 
L’identità del mio brand. 
Come il “Just do it” della Nike o il “Ti mette le ali” della Redbull. 

Questa frase, elaborata durante un corso di Nicoletta Consumi (*), mi ha accompagnata nello sviluppo del mio lavoro, – sopra un post-it attaccato in bacheca e nella firma della mia mail –, per più di due anni. Da giovedì però occuperà finalmente il posto che le spetta: il mio sito, proprio sotto il mio nuovo logo. 

Tutto ciò per dirvi che giovedì, FINALMENTE, il mio sito sarà online! 

Inoltre, se siete curiosi di sapere come nasce e si sviluppa un sito web, vi aspetto proprio giovedì alle ore 18, su Instagram, in diretta insieme a Sabrina Di Bartolomeo, amica, collega ma soprattutto ideatrice del sito stesso (e del logo!). 

Ci si vede online! 

(*) perché la formazione fa parte del percorso e senza non si va da nessuna parte.
Anne sognava di fare la ballerina come sua nonna Sonja. 

La nonna viveva nell’appartamento al piano superiore e, quando i genitori andavano a lavorare, Anne e le sue due sorelle salivano le scale strette e restavano per tutto il giorno nel monolocale ricco di cimeli del passato. 

La nonna non aveva mai avuto un grande istinto materno, o almeno così diceva sempre la mamma di Anne, ma occuparsi delle nipoti le dava una certa soddisfazione. 
Ogni giorno scaldava la zuppa già pronta per le bambine, puliva loro i nasini e poi, quando le più piccole andavano a fare il pisolino, si metteva alla finestra e, girandosi tra le mani un bicchiere di rum, raccontava ad Anne, 7 anni e un perfetto caschetto biondo, del suo passato da étoile a San Pietroburgo. 

“Il barone Razimov veniva a teatro tutte le sere solo per vedere me” 
“Era innamorato?” 
“Piccolina, tutti lo erano. Amavano me e la mia danza” 
“E come ti chiamavano?” 
“Il cigno dal Volga” “Eri bellissima, vero?” 
“Così dicevano, ma sai chi è ancora più bella?” 
“Chi?” 
“Tu” le diceva accarezzandole i capelli e Anne le stringeva le braccia intorno al vitino sottile. 
“Mi racconti ancora di quella volta che la contessa si è commossa durante un tuo spettacolo?” 
“Una valle di lacrime, tesorino, una valle di lacrime, la dovettero portar via di peso” 

La nipote pendeva dalle labbra della nonna e la nonna raccontava, raccontava e ancora raccontava. Raccontava degli uomini che la corteggiavano, delle donne che la invidiavano e della platea sempre piena. Parlava di un mondo passato e glorioso, osservando le lucide scarpette appese all’angolo, proprio sopra una scatola di legno intarsiato da cui spuntavano braccialetti di perline, una collana di vetro e un boa di struzzo tutto stazzonato. 

Poi le più piccole si svegliavano e tutte assieme, usando i termosifoni come sbarre, facevano lezione di danza. 
“Uno, due tre” diceva la nonna. E le bimbe univano i talloni, si alzavano sulle mezze punte e tendevano il collo in alto, proprio com’era stato loro insegnato dal “cigno del Volga”. 

Le minori si stancavano in fretta e tornavano presto ai loro pupazzi e alle bambole dai capelli stopposi. Ma Anne no, Anne continuava ad esercitarsi, perché voleva essere come la nonna e sognava un futuro sugli assi del palcoscenico, circondata dalla musica, l’ammirazione e l’invidia di tutti. 

Infine, al tramonto, i genitori salivano le scale e andavano a prenderle, ed erano baci saluti e giravolte fin dentro i loro lettini. 
“Dovresti proprio smettere di riempirle di balle!” diceva la mamma con gli occhi stanchi. 
“Perché? La verità è sempre così deludente” rispondeva ogni volta la nonna, che ballerina in effetti era stata ma senza tutù e neanche le scarpette. 
“The Russian Pussycat” la chiamavano in quel vecchio locale a Brooklyn.

 


Se l'impatto di un libro si misurasse dal numero di post-it attaccati alle sue pagine, questo sarebbe il più impattante di tutti. E, in effetti, "La Scienza dello Storytelling" di Will Storr è una delle letture più piene e soddisfacenti che ho fatto quest'anno e, sicuramente, la più utile per imparare cose nuove e rendere sempre più interessanti i miei laboratori di Scrittura.

Un viaggio su cosa funziona nella narrazione ma, attenzione, non cosa funziona nel senso "cosa fa vendere tanti libri", – di quello chi se ne frega! –, ma "cosa funziona su noi come lettori", cosa ci coinvolge, attira il nostro cervello, cattura la nostra attenzione di scimmie glabre appassionate di racconto.

Sapete qual è la forma di narrazione più antica di tutte? Il pettegolezzo. Non ve l'aspettavate, eh? Il pettegolezzo fatto per esaltare i membri attivi e utili della tribù e sminuire quelli nocivi, il pettegolezzo atto a rendere il gruppo sempre più forte, promuovendo comportamenti virtuosi. E questo è solo uno dei mille concetti interessanti che potrete trovare nelle pagine di Storr. Oltre che il primo che mi è venuto in mente da scrivere in questo post e ciò, probabilmente, svela più cose su di me di quante sarebbero utili per mantenere la mia immagine.

Vi consiglio "La Scienza dello Storytelling" se amate la scrittura, la lettura e il modo intrigante in cui funziona il nostro cervello.

Se vi va lo potete acquistare tramite il mio codice di affiliazione AMAZON, voi non pagate di più ma contribuite con questa scelta a finanziare il mio lavoro, https://amzn.to/457XKfc. Se non vi va, non importa. Giuro che non spettegolerò su di voi!

Grazie e buona lettura.


Nel mio computer custodisco gelosamente un file con l'elenco di tutti i libri che desidero e ho bisogno di acquistare. Romanzi, saggi, ultime uscite o grandi classici, scrittura creativa, editing, marketing e anche femminismo. Insomma, tutto ciò che m'interessa e/o può servirmi per lavoro. 

L'elenco cresce col passare del tempo e io, ogni tanto, quando il portafoglio me lo permette e decido che mi merito un regalo, provvedo all'acquisto di qualche titolo.

Come scelgo quali acquistare tra tutti quelli della lunga lista dei desideri? Non sempre, ma spesso vado sul sito del Libraccio e cerco tra i libri usati. Così ho fatto poche settimane fa aggiudicandomi questo bel bottino, sei libri, alcuni di seconda mano e altri nuovi ma in offerta, che volevo e che mi sono costati, in tutto,  praticamente la metà.

No, questa non è una marchetta, no, il Libraccio non mi paga (purtroppo!) e no, non mi ha regalato niente (maledetto!), ma ho pensato che molti di voi magari si trovano nella mia stessa situazione, – quella del desiderio compulsivo di possedere sempre nuovi libri – , e questo mio suggerimento potrebbe esservi d'aiuto.

Io, per non portarmi alla rovina e non finire a vivere sotto un ponte, uso spesso questa tecnica, economica nonché ecologica, cerco tra le proposte del Libraccio, libri nuovi e usati in splendide condizioni, e soddisfo così il mio bisogno "malato" di nuove letture.

... in alternativa c'è sempre la terapia.

Buona lettura (e shopping!) a tutti!

Oggi voglio raccontarti una delle cose che faccio per lavoro: un percorso di consulenza per Personal Branding e Comunicazione.
Metti che ti serva...

Di cosa si tratta?

Di un percorso costituito da tre moduli che aiutano a chiarire gli obiettivi a medio e lungo termine del tuo brand, esaminare uno a uno i servizi che hai da offrire, decidere i modi e luoghi (online sì, ma dove?) della comunicazione, preparare una mini strategia e seguire i tuoi primi passi per correggere gli errori e suggerire eventuali modifiche. 

Vuoi lanciare la tua attività? 
Vuoi rilanciare il tuo brand? 
Hai tante idee ma un po’ confuse? 

Il mio percorso potrebbe fare al caso tuo.
Per far maggior chiarezza te lo descrivo passo passo:


  • MODULO 1

4 incontri via ZOOM di un'ora.

Non lezioni registrate uguali per tutti, ma incontri personalizzati per confrontarsi e capire insieme quale direzione prendere. Esaminare i tuoi punti forti e quelli deboli, ciò che di utile e originale hai da offrire, chi è il tuo cliente ideale, etc...

Dopo questi 4 incontri ti consegnerò una breve analisi, comprensiva di consigli strategici. E, a quel punto, sarai pronta/o per partire.

Ma, se non te la senti ancora di fare tutto/a da sola, puoi accedere al secondo step.


  • MODULO 2

Stendiamo assieme il calendario editoriale dei 3 mesi successivi, in modo che tu abbia già una guida su quali contenuti preparare e un'idea su come procedere autonomamente in futuro.

E, se ancora non sei sicuro/a al 100% di procedere da solo/a, puoi usufruire anche del terzo step.


  • MODULO 3

Ti affianco per un mese (o più) nella comunicazione. Tu produci i contenuti, io faccio editing sui testi (quando necessario) e ti suggerisco come modificare/migliorare i contenuti video e grafici.



- Se non fosse chiaro, specifico che: Dopo aver seguito il MODULO 1 non sei obbligato/a a proseguire, e lo stesso vale dopo aver eseguito il MODULO 2 -


Vuoi saperne di più? Fammi tutte le domande del caso qua sotto oppure richiedi una call gratuita di mezz’ora: tu mi dirai cosa vorresti fare è io ti spiegherò come posso aiutarti.

Credo di poter dire con serenità che "storytelling" sia uno dei termini più abusati degli ultimi anni. 
Sono arrivati i social, è arrivato il marketing sui social e da lì tutto un martellamento di storytelling. 

La parola di per sé, come spesso capita, è del tutto innocua e il fatto di utilizzarne una versione inglese è uno stupido vezzo, dato che ne esiste una altrettanto efficace italiana: narrativa. Narrazione. Racconto. 

Il racconto nella nostra vita è dappertutto, è uno degli elementi che ci caratterizza come specie, altro che pollice opponibile! 

E, per quanto mi riguarda, il racconto è la base del mio lavoro. 
È centrale, ovviamente, nella scrittura creativa, nell'editing e nel ghostwriting ma rappresenta anche una parte fondamentale della comunicazione online, sia che la faccia io per i clienti, sia che li "istruisca" al riguardo e poi li lasci andare da soli, liberi come l'aria, pregni di nuove nozioni e, spero, con un pochino di consapevolezza in più circa i propri mezzi e il modo di raccontarli e raccontarsi. 

Insomma, io vivo immersa nel racconto e ci sguazzo anche con una certa soddisfazione. E, a tal proposito, nei prossimi giorni, ti spiegherò il percorso che sto facendo fare ad alcuni professionisti per aiutare il loro di racconto. Metti che possa servire anche a te...



Dal "facciamo che io sono e tu sei" di infantile memoria al pettegolezzo che tiene traccia della tribù, dei comportamenti virtuosi da esaltare quanto di quelli nocivi da condannare, l'uomo vive da sempre di racconti. Racconti detti e racconti ascoltati. 

Questo vale per tutti ma per qualcuno anche di più.

La torinesità è uno stato d’essere. 
Una serie di abitudini, tradizione e repressione psicologica che gli altri non possono capire. Non perché gli altri siano fessi ma perché sono ignoranti, nel senso che ignorano. 

La napolinesità, romanità, toscanità, sicilianità, e via discorrendo, sono tutti concetti chiari ma della torinesità nessuno ne parla e nessuno la conosce. Nessuno, tranne i torinesi, ovviamente. 
Eppure, sarebbe interessante conoscerla e analizzarla dal punto di vista sociologico sì ma, soprattutto, da quello psicologico. 

Il perno su cui si basa tutta la torinesità è quello del NonMiOso. 
Un mantra, una scelta di vita, una certezza e anche un limite. L’elemento più castrante tra tutti gli elementi castranti. 

Da fuori sembri un algido indifferente. Mentre dentro ti fai tanti di quei problemi di educazione, moralità e opportunità di comportamento, manco ti avessero cresciuto in un collegio svizzero/luterano/nippo… torinese, appunto. 

Un mese fa ero in metro, stavo andando al Salone del Libro. La carrozza era strapiena ma io ero riuscita a ritagliarmi un posticino al fondo, compattata tra seduti e non. 

Ero là che rimuginavo tra me e me su quanti soldi investire al Lingotto, quando un uomo e una donna, presumibilmente marito e moglie, dall’età approssimativa di sessant’anni, hanno cominciato a parlare tra di loro. 

“Abbiamo dimenticato i biglietti in albergo!” ha detto lui rovistando in una borsa. 
“Oh no” ha risposto lei. 
“È troppo tardi per tornare indietro” 
“Magari ce li faranno stampare in biglietteria dal cellulare” 
“Speriamo, altrimenti ci toccherà ricomprarli” 
“Cavoli… no” 
“E vabbè, che dobbiamo fare?” 
“Niente, ma sei sicuro? Hai controllato anche nelle tasche della giacca?” 
“Sì, sono sicuro, li ho lasciati sul tavolo” 
… 

Loro parlottavano e io, seduta a un palmo, non facevo che chiedermi: “Che faccio glielo dico?” 

Ci ho messo due fermate - giuro! - per convincermi che no, non sarebbe stato un comportamento invadente ma utile da parte mia, che no, non stavo prendendo un abbaglio e che sicuramente parlavano davvero dei biglietti per il Salone come pensavo stessero facendo e, infine, che sì, probabilmente l’avrebbero scoperto da soli in biglietteria ma se per caso non avessero chiesto? Se non si fossero informati? Se avessero deciso di riacquistare i biglietti e stop? 

Insomma, due fermate di: “Che faccio? Mi oso? O NOnMIOso?” 

Alla fine l’ho fatto. 
Li ho interpellati direttamente. 
Sono intervenuta nella conversazione privata tra due sconosciuti. 
Mi sono osata. 

Ho esordito con un “Scusate se mi permetto”, impicciona ma comunque beneducata. 
Per poi spiegare loro che non c’era bisogno di stampare i biglietti e che, se avevano il QR code sul cellulare, quello sarebbe stato sufficiente. 

Loro mi hanno ringraziata. 
Io sono arrivata al Salone già psicologicamente provata.

Ho raccontato tutto a Marito. 
Dice che non sono solo torinese, sono proprio strana. 

Lo so.

Non amo particolarmente la scrittura di Daria Bignardi ma amo ascoltarla mentre parla di libri. 

Alla radio, in tv, è una donna che si occupa di letteratura da sempre e, a quanto dice, è una persona che si è dedicata anima e corpo alla lettura fin da molto piccola. 

Per tutti questi motivi e anche per il titolo accattivante, poco tempo fa ho letto "Libri che mi hanno rovinato la vita" di Daria Bignardi, appunto. Non letto, in realtà. Audioletto. 

Un libro in cui l'autrice racconta un po' di sé, della sua storia di lettrice, prima, e scrittrice, poi. E in cui confessa l'influenza, anche negativa, che certi titoli hanno avuto su di lei, l'attrazione per il dramma che aveva da ragazza e giovane donna, la fascinazione per le storie contorte e dolorose di molti autori. 

Daria Bignardi mette in fila uno dopo l'altro una serie di titoli e di storie. Raccontando sé stessa e gli altri, in una celebrazione consapevole e mai scontata della letteratura. 

Se ami leggere, ti consiglio questo libro: una dichiarazione d'amore e odio per i libri e per quello che di loro ci scava dentro. 

Se vuoi acquistarlo da Amazon, tramite il mio link di affiliazione, clicca qui https://amzn.to/3MTEWtX. 
A te non costerà neanche un centesimo in più ma contribuirai a finanziare il mio lavoro. Grazie.
Amo leggere e sono di Torino.
Quindi, l'appuntamento annuale con il Salone del Libro per me è imperdibile.

Anni fa avevo il lusso di poter scegliere liberamente il giorno. Ma, ovviamente, tra lavoro e impegni familiari, questo lusso non me lo posso più permettere. E, quindi, quest'anno sono andata al Lingotto di domenica mattina. Un po' come partire per le vacanze il 14 di agosto. Non la più brillante delle idee, insomma. 

Il Salone era super caotico, tantissime persone, gomitate e rabbia più o meno repressa in ogni dove. Insomma, l'immagine tipica della culla del sapere. Che poi, con tutta onestà, si risolverebbe parte del problema sradicando l'obsoleta colonna di libri. Vi giuro che ci crediamo lo stesso che siete stati al salone, senza bisogno che lo documentiate con selfie, dirette o stories fatte all'ombra della colonna cartonata. Tutti là, tutti appiccicati, tutti a impedire il passaggio altrui. 

Detto ciò, io comunque il Salone lo amo a prescindere, con tutti i suoi difetti organizzativi su cui bisognerebbe certo lavorare, in particolare il caos, dovuto al sovraffollamento, rende davvero poco fruibile lo spazio per le persone neurodivergenti o con deficit motori, e per questo, forse, sarebbe il caso di pensare a contingentare le entrare. O, in alternativa, aumentare gli spazi. Non ho idea di come si possa fare, lo ammetto, ma trovo miope ignorare questo problema. E poi, comunque, mai vista così tanta gente esasperata come ieri mattina e, quindi, se si rivedesse qualcosa ci guadagnerebbero tutti. E non mi venite a dire: potevi scegliere un giorno diverso. Perché è ovvio che la maggior parte degli ultra trentenni, importante fascia dei visitatori, può andare al Salone solo durante il week end. 

Ripeto, detto ciò, io il Salone lo amo ma quest'anno ci sono potuta stare solo poco più di due ore e mi sono persa metà degli stand. Mi è dispiaciuto soprattutto per quello dell'Ippocampo che, visto dall'esterno, era un bosco meraviglioso e favolistico. Tanto meraviglioso però che, per entrarci, c'era una coda infinita e, quindi, appunto, l'ho visto solo dall'esterno. 

Ma, nonostante il caos e il poco tempo, io qualche acquisto l'ho comunque compiuto e ne vado decisamente orgogliosa. 

Da Libraccio, ho preso: 

- "Di che cosa parliamo quando parliamo di libri" di Tim Parks, edizioni Utet. Lettura indicata proprio per il visitatore tipico del Salone, una come me, insomma. 

- "Bokala, canti delle donne d'Algeri" scritto da Mohamed Kacimi e illustrato da Rachid Koraichi. Donzelli Editore. Un libro stretto e sottile, colorato e misterioso, dedicato a un rito di divinazione e poesia. Impossibile resistere, so che mi darà grandi soddisfazioni. 

- Il volume dedicato a Faulkner, di una vecchia collana UTET sui premi Nobel. Un volumetto delizioso della fine degli anni '70, trovato nell'angolo del modernariato, perfettamente conservato, al cui interno si trovano due opere dello scrittore statunitense: Santuario e Luce d'Agosto. 

Da Shockdom, invece, ho incontrato per la prima Violetta (ViolettaRocks), Youtuber che produce ottime recensioni su cinema e serie tv, mostrando un'innegabile conoscenza della grammatica del mezzo audiovisivo. Da lei mi sono fatta autografare (dopo averlo acquistato, naturalmente) "Aldilà di Te", fumetto scritto da Violetta e illustrato da Sakka. Una storia dedicata alla perdita, che non vedo l'ora di leggere. 

Per quest'anno è tutto e, per il prossimo, sogno di prendermi una settimana di vacanza e trasferirmi al Lingotto. Chissà se ci riuscirò.
Isabel Allende ha venduto più di 67 milioni di copie in tutto il mondo e le sue opere sono tradotte in oltre 42 lingue. 

Isabel Allende scrive da più di 50 anni, è una delle scrittici sudamericane, anche se ormai naturalizzata statunitense, più famosa al mondo. Anzi è una delle autrici, in assoluto, più famosa e letta al mondo.

Isabel Allende ha una carriera che io me la sogno la notte. Non nel senso che ho gli incubi in cui la scrittrice cilena mi rincorre lanciandomi dietro i suoi libri. Ma nel senso che un tale livello di successo e fama nella scrittura è uno dei miei sogni notturni e diurni più spinti ed erotici. 

Tutti abbiamo a casa nostra almeno un suo libro. E già questo, a pensarci, è un traguardo pazzesco da raggiungere. 

Detto ciò, mi sento in dovere di confessare e condividere con voi che a me, la scrittura dell'Allende, non piace. O meglio, l'ho molto amata da ragazzina, quando lessi La casa degli spiriti. E quel libro lo considero tutt'ora un'ottima opera. Ma ciò che ha scritto dopo, e ha scritto parecchio, è stato per lo più fonte di cocente delusione. 

Non che io abbia letto tutto, ovviamente, anche perché dopo un po' mi sono scocciata di rimanerci male e ho smesso di investire i miei sudati denari sulle sue sudate carte. Ma ho letto diverse tra le sue prime opere e qualche mese fa, a distanza di anni dalla mia ultima esperienza con la sua penna, mi sono messa nuovamente in gioco con "L'amante giapponese". 

L'ho letto piena di speranze e scevra da pregiudizi. Anzi. 
Io come lettrice mi ero evoluta nel frattempo e mi aspettavo che anche lei, come scrittrice, l'avesse fatto. Del resto, manteneva la sua popolarità inalterata da anni e da molti libri, sicuramente sarei rimasta piacevolmente colpita e magari avrei anche recuperato qualche sua opera passata. Pensavo tutto ciò. 
E invece. 
Il libro è dimenticabile e dall'ambientazione posticcia. 
L'Allende passa pagine e pagine a dirci cosa succede e cosa provano i personaggi, guardandosi bene dal mostracelo, però. Cosa molto più complessa da fare, in effetti. Pigra Allende. 

Mi perdonino gli appassionati e mi perdoni anche lei che, immagino, non perderà il sonno la notte per questa mia opinione, ma per me l'Allende è un'autrice sopravvalutata. Il fascino delle prime opere si è trascinato stancamente e ora - da molto, in realtà - non ha più niente da dire. 

Mi piacerebbe essere una sua appassionata, anche perché ha prodotto un gran numero di libri, ma ormai da anni non riesco più a farmela piacere. E non credo sia colpa mia, tutt'altro.

Siamo giunti a metà percorso. 

Due mesi fa è partito il mio Laboratorio d’Autore, laboratorio di scrittura via newsletter, che andrà avanti per altri due mesi, fino a fine giugno. Quindi siamo proprio a metà. 

Esercizi, teoria, racconti, incontri, scoperte, grandi idee. I miei allievi si stanno sbizzarrendo tra tesine di parole e immagini, idee per serie tv, ottimi spunti per libri, racconti dal finale a sorpresa, ce n’è davvero per tutti i gusti. 

L’esperimento per ora mi pare proprio che stia funzionando e mi sta rendendo molto orgogliosa. Tanto che, il prossimo settembre, mi piacerebbe ripetere l’esperienza con nuovi allievi. 

Quindi, se l’idea ti piace e vorresti esserne informato a tempo debito, scrivimi il tuo indirizzo e-mail privatamente o a laboratoriodautore@gmail.com. 
Ti contatterò poco prima dell’inizio e, se vorrai, potrai essere tra i nuovi iscritti. 

A presto!

Gli eroi delle storie sono coloro a cui ci affezioniamo, ma sono i personaggi negativi quelli che ci smuovono i sentimenti più forti. 

I migliori autori di tutti i tempi hanno realizzato grandi cattivi che ci hanno profondamente turbato, fantastici antieroi ai quali ci siamo affezionati contro ogni buon senso, o semplicemente personaggi in grado di smuovere i nostri sentimenti più ostili. 

È, soprattutto, di questo ultimo gruppo che voglio parlare in questa occasione. Oggi voglio fare l’elenco dei personaggi negativi che più sono riusciti a darmi sui nervi. Non i cattivi affascinanti, tipo Iago, per cui ho un’antica venerazione, ma quei personaggi tossici, talmente tossici da farmi sviluppare nei loro confronti un astio che va oltre la carta stampata, da farmi urlare contro le pagine, da farmi borbottare tra me e me per ore anche a libro finito. 

Ne ho scelti solo tre, l’elenco non è una classifica. Tutti e tre occupano lo stesso posto nel mio cuore, anzi, nel mio fegato. 

Il primo personaggio non meraviglierà nessuno, si tratta della Professoressa Umbridge. Chiunque abbia letto Harry Potter lo sa, Voldemort fa molta meno paura della Umbridge. La professoressa rosa confetto fa paura per la sua normalità, perché una così potresti davvero incontrarla davvero. Perché una così di solito si dà alla politica, perché di personaggi così sono piene le pagine più oscure della storia. La Umbridge gode nel servire i potenti, sognando di poterli sostituire e fare anche peggio di loro. La Umbridge non si fa nessuno scrupolo a torturare innocenti e bambini. Lei è una a cui non importa la verità ma solo la versione della realtà che le fa più comodo. Un essere viscido in una maniera terribilmente umana e per questo ancora più disgustosa. 

Se la Umbridge è un personaggio notissimo, questo secondo che sto per citare lo è molto meno, eppure nella sua brevissima e inutile vita letteraria è riuscito a darmi sui nervi come pochi. Si tratta di St. John Eyre Rivers. Chi? Uno dei cugini di Jane Eyre. L’ecclesiastico che, verso la fine del libro, insiste perché lei lo sposi e vadano insieme in India come missionari. Mica per amore o per fare del bene, ma per servire e soffrire, dato che la gioia è il male, guai a essere un po’ felici! “Vieni con me a prenderti a martellate le dita, cugina cara!”, le dice in questo virgolettato che mi sono appena inventata ma che è assolutamente plausibile. 
Tu sei là che non vedi l’ora che Jane corra finalmente da Rochester e sto pastore molesto le dà il tormento, imperversa con pressioni psicologiche per pagine e pagine, mentre lei è troppo educata per mandarlo a quel paese. Lei, perché tu invece ce lo mandi eccome! Pesante, saccente, cintura nera di senso di colpa cristiano, in India alla fine ci va da solo e ci muore. Evviva! 

L’ultimo personaggio di questo trittico dell’astio è Mary Love Caskey. La suocera peggiore che si possa avere, oltre che una schifezza di madre e un essere umano deplorevole in generale. Mary Love vive dentro Blackwater, la saga gothic horror scritta da Michael McDowell. È una donna che vuole controllare tutto e tutti, manovrare le persone che le stanno accanto, gestire tutti i soldi di famiglia, distribuendoli a suo piacimento dall’alto della sua enorme bontà, pur non avendo mai lavorato un solo giorno della sua vita. Lei vuole che tutti la amino, facciano sempre quello che dice lei e le vadano a chiedere la paghetta senza mai battere ciglio, anzi dimostrando la giusta riconoscenza. 
Per farvi capire, e qui ci sarà uno spoiler, Mary Love è l’antagonista di Eleonor, sua nuora. Eleonor è una bella donna che, in realtà, si rivela essere un mostro marino, un mostro marino in grado di uccidere spietatamente chiunque, colpevoli ma anche innocenti. Ecco, Mary Love è talmente odiosa che tu, leggendo l’opera, fai comunque il tifo per il mostro marino, con buona pace dei poveri squartati.
Mary Love non uccide nessuno ma s’impegna per rendere la vita impossibile a tutti i suoi cari, per non parlare degli altri. E questo è impossibile da perdonare. 

Scrivere un eroe non è facile ma scrivere un personaggio negativo a suo modo memorabile lo è ancora di meno. Complimenti agli autori, ideatori e genitori di questa bruttissima gente, che tanto mi irrita ma allo stesso modo rende unica la mia esperienza di lettura.

Cosa c'è d'interessante in un uomo che, a un ballo, definisce una donna "appena passabile"?
Nulla, se una critica così non andasse a colpire l'orgogliosa Elizabeth Bennet.

Il senso di colpa non influenza tutti i personaggi allo stesso modo e solo quello che attanaglia Raskolnikov può dar vita a uno dei romanzi più grandi di tutti i tempi. 

E, ancora, è il temperamento di Otello a cadere vittima delle macchinazioni di Iago.


Se Dorothy non mi avesse mai trovato, cosa ne sarebbe stato di me? 

Forse sarei finito così, per sempre in mezzo a un campo, con la testa vuota, senza pensieri e senza obiettivi. 
Forse avrei intrapreso comunque un viaggio, avrei incontrato il Mago di Oz e sarei diventato il suo fedele braccio destro. 
O forse sarei stato il cattivo di una fiaba, avrei dato la caccia a un bambino innocente, terrorizzandolo fino in fondo ai suoi incubi più profondi. 

Se Dorothy non mi avesse mai trovato, avrei avuto comunque diritto a un'altra storia. Tutti ne dovremmo avere una.

Trasforma la tua giornata in un viaggio dell'eroe.

Una mattina come tante ti svegli nel tuo Mondo Ordinario ma poi, alle 9, qualcuno suona alla porta.

Quello è il momento della tua Chiamata all'Avventura: cosa succede? Chi ha suonato? Quale prova ti troverai ad affrontare?

Raccontalo!

Oggi voglio dedicare un piccolo post, con qualche curiosità, alla storia per bambini per eccellenza: Il Meraviglioso Mago di Oz. 

Un libro che uscì nel 1900, scritto da Frank L. Baum e illustrato da W.W. Denslow. 

La storia ebbe subito successo, tanto che Baum decise di cavalcarne l'onda, scrivendo numerosi episodi successivi e realizzando anche due musical teatrali, uno più fedele al libro originale, un altro invece destinato a un pubblico più adulto, dove la storia di Dorothy venne trasformata in una satira della società e della politica del tempo. 

Ma Baum non fu certo l'unico che cercò di trarre più profitto possibile dalla storia e dal successo del mago di Oz. Infatti, quando lui venne a mancare, diversi autori presero in prestito la sua opera per realizzarne dei sequel.

In tutto si contano una quarantina di episodi successivi al libro originario, di cui solo meno della metà scritta da Baum stesso. 

Ovviamente ci sono state anche tantissime trasposizioni. Tra queste la più famosa rimane quella del 1939: il film con Judy Garland nei panni di Dorothy. Una trasposizione abbastanza fedele ma con qualche differenza fondamentale rispetto all'opera originale. Ad esempio, le mitiche scarpette rosse indossate dalla Garland, avrebbero dovuto essere color argento per essere uguali a quelle del libro, ma la produzione decise di prendersi questa licenza poetica poiché delle scarpe scarlatte avrebbero sicuramente fatto più effetto sul grande schermo e in Technicolor. Anche il finale venne leggermente modificato: nel film Dorothy si sveglia e scopre che tutto ciò che le è successo è stato solo un sogno, nel libro invece la bambina torna dagli zii dopo aver vissuta un'avventura in un mondo sicuramente straordinario ma realmente esistente. 

Io, personalmente, che ho una certa età, ricordo con grande tenerezza sia la serie animata giapponese degli anni'80, sia l'episodio di Saranno Famosi in cui Doris Schwartz si addormentava e sognava di vestire i panni della piccola Dorothy. Qualcuno di voi ne ha memoria?

Una riflessione semplice semplice. 

Bellezza porta bellezza, creatività porta creatività. 

Poche cose mi esaltano come le idee altrui, le opere altrui, gli esempi di creatività degli altri che mi riempiono di gioia e fiducia nell'umanità. 

Se poi queste idee, queste opere d'ingegno, vengono stimolate da una mia idea, un mio stimolo, allora non mi esalto soltanto, ma festeggio, mi inorgoglisco, mi riempio cuore ed ego. 

È questo il caso, ad esempio, dell'opera di una persona che sta partecipando al mio Laboratorio di Scrittura via Newsletter. Io avevo dato un semplice esercizio di scrittura a tempo: un incipit e dieci minuti per scrivere, scrivere, scrivere senza pensare e poi, eventualmente, a tempo finito, correggere, riordinare, dare un senso. 

Lei, perché di una lei si tratta, ha realizzato un flusso di coscienza dal caos controllato, che va dalla filosofia all'arte, quella di Wayne Thiebaud in particolare, con tanto di immagini a illustrarne i concetti. 
Una tesina, in pratica. Che, come le ho già detto, conserverò con cura. 

"Come le linee di Thiebaud, camminiamo uno accanto all’altro per un po’, poi ci scontriamo, ci mescoliamo, ci dimentichiamo il nostro colore, ma andiamo dritto fino a che la tela ce lo permette", scrive.  

La creatività porta creatività. 
Guardatevi intorno, scrivete, disegnate, create, non necessariamente per gli altri ma prima di tutto per voi stessi, quanta gioia ne trarrete!

 


Se si amano i libri e la lettura non si possono scordare le prime storie, i primi volumi, le prime pagine che le nostre dita bambine hanno sfogliato. 

Non sapevo ancora leggere quando mia madre cedette a una mia richiesta. Io indicai i volumi al sicuro lassù nella libreria e lei ne scelse uno, mi fece sedere e me lo aprì in grembo. I libri erano una cosa da grandi e già questo me li rendeva speciali. E poi quello era uno spettacolo, pieno di foto e disegni. Era uno dei volumi dei Quindici, enciclopedia per bambini popolarissima tra la fine degli anni '60 e la fine degli '80, un must have di tutte le famiglie dell'epoca. 
Ho passato la mia infanzia a sfogliare quelle pagine, tracciare col dito le illustrazioni, esaminare le foto, leggere tutto con attenzione, imparando a memoria i miti greci come le regole del "fai da te", la storia degli uomini come le fiabe. Un'avventura meravigliosa e ogni volta diversa. 

Appena imparai a leggere, iniziai anche a dare un'occhiata ai libri di mia sorella, più grande di me di 8 anni. In realtà non ne aveva molti, non amando particolarmente la lettura, ma ne aveva alcuni che attirarono immediatamente la mia attenzione. Non era tanto per i bei disegni in copertina o per i titoli interessanti, quanto per il nome dell'autrice: Rossana Guarnieri. Nessuno nella mia famiglia si chiamava Rossana, nessuna tra le miei amiche si chiamava Rossana, nessuna in tutta la mia scuola si chiamava Rossana. E, come se non bastasse, la maggior parte delle persone si dimenticavano o storpiavano il mio nome, facendomi diventare all'occasione Rosanna o Rossella. Una tortura! Ma nella mia cameretta scoprii che al mondo c'era un'altra Rossana e che addirittura scriveva libri, libri con protagoniste ragazzine. Un sogno. 
Ricordo in particolare la storia di una ragazzina timidissima che superava questo suo problema grazie a un corso di teatro, e quella di un'altra che andava in campeggio con i genitori e finiva bloccata in una grotta con alcuni amici, tra cui uno slanciato svedese. Queste mie letture quindi spiegherebbero, tra le altre cose, perché ho sempre amato il teatro e i ragazzoni nordici. 

Infine, ero alle elementari quando la mia maestra ci disse di andare in biblioteca o in libreria, scegliere un libro, leggerlo e poi raccontarlo alla classe. Io andai alla cartoleria sotto casa. Il negoziante cercò di convincermi a comprare un romanzo la cui protagonista era una principessa/duchessa boh, non so, una giovane nobile di qualche tipo. Ma i miei occhi si fissarono su un libro dalla copertina gialla e rigida, il titolo blu mi pareva irresistibile.
"E questo?" chiesi.
"Questo? Veramente è più da ragazzi..."
"Voglio questo!" decisi.
Era "Dalla Terra alla Luna" di Jules Verne.
Che avventura pazzesca fu quel mio viaggio spaziale!

I numerosi traslochi, da allora fino ad adesso, mi hanno fatto perdere traccia di tutti quei libri colorati, i miei primi libri, ma gli splendidi ricordi legati a quelle scoperte rimangono ancora dentro di me e non si affievoliscono con il tempo, anzi.

Tutta la famiglia si muoveva all'unisono, i piedi calzati in scarpe eleganti sulla pavimentazione lisciata dal tempo. 

Il sole tardivo di settembre si mostrava più vivace del solito, tanto che la madre si copriva il volto con un cappellino orlato di pizzo d'Orleans e un vezzoso ombrellino teso da stecche di balena. 

"Emma, abbassa la falda del cappello" suggerì la nutrice alla figlia che, un metro avanti a lei, avanzava a falcate tanto ampie quanto nervose. "Non vorrai le lentiggini sulle gote?". 
"Mamma, ti prego, non è il momento" sbuffò la giovane donna. 
"Lasciala in pace" sogghignò il padre. "La nostra bimba ha ben altri pensieri oggi" e, presa sotto braccio la consorte, la costrinse ad accelerare il passo per stare dietro le lunghe leve della ragazza. 

Arrivati davanti all'istituto, un inserviente venne loro incontro, "Prego, signorina, la stanno aspettando". Ed Emma, lanciato un ultimo sguardo a genitori e fratelli, varcò l'uscio per poi sparire, immediatamente inghiottita da un gruppo di abiti scuri e baffi a torciglione. 

Il percorso fino a quel momento era stato lungo e impegnativo ma Emma, un passo dopo l'altro, aveva raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, fino all’ultimo. Lei, a differenza, della maggior parte delle sue coetanee aveva goduto e godeva dell'appoggio incondizionato della sua famiglia. Di suo padre, su tutti. Suo padre che la portava ai cantieri e che trattava lei come i suoi fratelli. Padre che credeva in lei, nella sua intelligenza, nella sua capacità di raggiungere ogni meta, a dispetto di tutti, prima di tutte. 

La famiglia, dopo aver salutato l'avvocato Palmieri e il dottor Valli, genitori di due dei colleghi di Emma, prese posto sugli scranni centrali. Tutti in fila, padre, madre e fratelli, attendevano emozionati il gran momento. 

La commissione togata entrò poco dopo. La sessione iniziò. Uno dopo l'altro gli studenti presentarono la propria tesi. Quando fu il turno di Emma, il padre e la madre si tennero per mano, gonfi di orgoglio. I fratelli sorrisero tutto il tempo, compiaciuti dal successo raggiunto dalla ranocchietta che, fin da piccola, li seguiva ovunque, non volendo mai essere lasciata indietro. 

"Signorina Emma Strada", si sentì al momento della proclamazione "la commissione, considerato il curriculum degli studi da Lei compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione massima". Un momento di esitazione. "Per l’autorità conferitami la proclamo Ingegnere Civile". 

E, dalla platea, furono applausi eleganti ma calorosi. 

Lei strinse la mano alla commissione e ai colleghi, poi si girò a sorridere al padre. Che orgoglio.

Emma Strada – figlia di Ernesto Strada, ingegnere abile e uomo progressista –, il 5 settembre del 1908, presso l’Istituto Superiore Politecnico di Torino, venne proclamata ingegnere. Massimo dei voti, terza del suo corso, fu la prima ingegnere donna d'Italia e una tra le prime d'Europa.

Comprato per caso a un paio di Saloni del Libro fa, il "Circo della Notte" è rimasto in attesa nella mia libreria per un po'. Poco tempo fa mi sono finalmente decisa a iniziare la lettura. 

Si tratta di un fantasy ambientato tra la fine del '800 e l'inizio del '900, tra l'Europa e gli Stati Uniti. Il centro delle vicende è, ovviamente, un circo. 

Non leggevo un fantasy da almeno una decina di anni e questo è stata una piacevole scoperta. O meglio, che sia chiaro, la trama scricchiola un po' e le ultime 50 pagine sono alquanto deludenti ma Erin Morgenstern, l'autrice, è riuscita comunque a conquistarmi. 

Dimostra un talento raro nel creare l'atmosfera, nel far viaggiare il lettore in un ambiente magico, retrò ed estremamente affascinante. Ho letto gran parte del libro ad alta voce, tale era la mia passione per la sua scrittura e il piacere di sentirla risuonare. 

Si tratta di un'opera prima di un'artista visuale e la sua capacità di creare ambienti immaginifici è innegabile. Spero proprio che continuerà a scrivere creando nuovi mondi e luoghi fantastici. 

Ribadisco, questo libro ha più di un difetto, ma la fascinazione che riesce a creare durante il percorso è cosa rara. 
Consigliato.
Una delle regole base della scrittura: "Mostra non dire - Show, don't tell". 
Non scrivere "Tizio è infelice" ma mostramelo attraverso le sue scelte, i suoi atteggiamenti, il modo in cui tratta gli altri. 

Una regola talmente basilare da essere considerata da alcuni (molti?) ormai superata e superabile. 

Io sono dell'idea che le regole basilari sia necessario conoscerle e anche saperle applicare. Solo a quel punto si possono fare scelte stilistiche diverse, anche rivoluzionarie. 

Come amo dire, e ora mi autocito in un attacco di ego ipertrofico, "Pensate a Picasso!".
La figura di Lidia Poët ultimamente è diventata molto popolare grazie a una serie su Netflix ma, non per darmi delle arie, io le dedicai un racconto più o meno un paio di anni fa. Quel che si dice: precorrere i tempi!

Eccola la storia di Lidia secondo me: 

"È successo, è passata!" gridò Luisa, la nipote prediletta, precipitandosi nello studio di zia Lidia. "Quanta agitazione" commentò la donna, sfilandosi gli occhialini che portava in bilico sulla punta del naso. 
"Ma non sei contenta? È una vita che aspetti che questa ingiustizia sia sanata". 
"È vero" sorrise la donna, "ma che io sia dannata se gli darò la soddisfazione di vedermi agitata. Agitate, umorali, troppo sensibili, a loro piace vederci così, come dei cuccioli iperattivi da vezzeggiare, sgridare e, soprattutto, tenere al loro posto"
"Capisco ma da oggi il tuo posto sarà quello che ti compete, finalmente"
"Vero cara, non avrei potuto dirlo meglio… e ora stappiamo lo spumante che ad esser compassata ci penserò domani!"

Il giorno dopo dallo studio dell'avvocato Poët, fratello di Lidia, partii una piccola spedizione – formata da parenti, amici e nipoti –, alla cui testa camminava spedita Lidia stessa, elegante, con i capelli perfettamente acconciati e un filo di perle a sottolinearne la femminilità. 

Il segretario alzò lo sguardo stupito quando vide presentarsi davanti allo sportello quel gruppo vario e numeroso. 
"Desidera?" chiese a Lidia. 
Lei, tirando fuori dalla borsa tutti i documenti che sapeva necessari, si limitò a dire: "Nulla, solo il posto che mi spetta", provocando l’ilarità dell’affezionata nipote. 

Era il 1919 e Lidia Poët, all'età di 65 anni, poteva finalmente rientrare e, questa volta, rimanere nell'Ordine degli avvocati. 

Laureatasi a Torino il 17 giugno 1881, svolto il praticantato e superato l’esame di abilitazione alla professione forense, Lidia Poët aveva chiesto ed ottenuto l’iscrizione all’Ordine. Prima donna in Italia. Ma veloce com’era stata ammessa era anche stata estromessa, con gran soddisfazione delle voci scandalizzate che, nel frattempo, si erano levate nella penisola e non solo. 

ll Procuratore Generale del Re, infatti, aveva impugnato l’iscrizione della Poët con motivazioni che ora tutti troveremmo risibili. Le donne, tra le altre cose, vennero giudicate troppo pure per mischiarsi con le faccende triviali del tribunale e troppo schiave della moda per mantenere il giusto decoro. E nessuno, allora, giudicò il Procuratore stesso troppo prevenuto per permettersi un giudizio obiettivo. 

Lidia, nonostante l’espulsione dall’Ordine, continuò a fare il suo lavoro, almeno in parte, ad occuparsi dei clienti, redigere documenti, lasciando però che li firmasse il fratello, le cui giacche classiche, ovviamente, non rischiavano di arrecare imbarazzo alla toga. 

Nel 1919, però, la legge numero 1126 ammise finalmente le donne all’esercizio delle libere professioni e Lidia Poët divenne la prima donna d’Italia, iscritta all’Ordine degli avvocati. L’Ordine di Torino, per la precisione. Un orgoglio per lei e per la città.
Oggi voglio parlarti di un mio progetto a cui lavoro da un po' e a cui tengo moltissimo: il Laboratorio d'Autore. 

Negli anni ho organizzato laboratori di scrittura dal vivo, via skype, via zoom e perfino via social! Questa volta, però, ho deciso di studiare qualcosa di diverso, un progettino di cui, onestamente, vado un bel po' fiera: il Laboratorio d'Autore, un laboratorio di Scrittura via Newsletter. 

Ci sarà un invio ogni due settimane, per 4 mesi a partire dal primo marzo 2023. 
In ogni newsletter troverai teoria, esercizi, curiosità e ispirazioni. Ci sarà dunque da leggere, ascoltare, guardare e imparare. E, ovviamente, scrivere, scrivere, scrivere. 

Inoltre, iscrivendoti alla newsletter, avrai libero accesso anche a 4 incontri di gruppo via Zoom, uno al mese, dove ci ritaglieremo un momento per guardarci in faccia, scrivere, scambiarci opinioni e impressioni. 

Infine, tutti gli iscritti alla newsletter potranno entrare a far parte di un gruppo privato su FB, un angolo sempre aperto, per scambiarsi idee e confrontarsi sui diversi esercizi e sugli argomenti trattati nei vari invii della newsletter. 

Oltre a tutto ciò, potrai inviarmi i tuoi racconti via email, io li leggerò con attenzione e ti manderò un feedback che spero potrà esserti il più utile possibile.

Il costo di tutto ciò a me pare alquanto contenuto, si tratta di 50 euro per tutto il pacchetto.

Se ti ho già convinto, puoi iscriverti direttamente a questo link: https://ko-fi.com/s/f192d022e9.

Altrimenti rimango a tua disposizione per qualsiasi domanda. Puoi scrivermi qua sotto in un commento o via email a laboratoriodautore@gmail.com.


Oggi inizia una nuova rubrica che andrà avanti fino a quando ne avrò voglia. Perché, in fondo (neanche tanto infondo) il blog è mio è faccio quello che voglio io. 

Comunque, quest'anno ho deciso che, più o meno una volta al mese, prenderò una carta di Dixit e ci scriverò sopra un racconto. O un pensiero, o una poesia, o una microstoria, insomma, qualcosa. 

Per iniziare con molta calma e non farmi prendere dall'ansia di prestazione, recupero una vecchia carta e un vecchio racconto che avevo scritto in occasione del Laboratorio Condiviso di Scrittura.

Come sempre, se va anche a te di scrivere, fatti ispirare e, se vuoi, mandami il tuo racconto da leggere. Ti risponderò con poche righe di feedback. Il mio indirizzo è janecole@live.it.

E ora, ecco il mio racconto:

Pioveva a dirotto quando raggiungemmo il nostro posto preferito: un parcheggio a spina di pesce lungo corso Francia. Se si era abbastanza fortunati da trovare un buco, era la scelta ideale, si stava nascosti in bella vista in una zona sicura. "Eccoci qui" dissi guardandolo dallo specchietto retrovisore. Lui sbadigliò e si stropicciò gli occhi. 
 
Spostatami anch’io sul sedile posteriore, gli slacciai le scarpe e lo aiutai a infilarsi il pigiama, quello in pile che gli avevo comprato per lo scorso natale. "Ormai ti sta corto" dissi con lo sguardo alle sue caviglie nude. 

Poi venne il mio turno di prepararmi: mi tolsi gli stivali e mi rifugiai in un vecchio golfino. Quello marrone. Quello che pungeva. Paolo lo giudicò con il suo broncio bambino ma poi si arrampicò su di me, appoggiando senza esitazione la sua guancia paffuta alla mia spalla ossuta di lana infeltrita. Abbracciati così riuscivo ancora a sentire quell’odore d’infanzia, dolce e pulito, nonostante tutto.

Dietro, con lo schienale tirato giù, c'era posto per tutti e due, e anche per Gino. Il nostro cane di pezza. Ci sdraiammo, avvolti tutti e tre nella coperta, stretti stretti tra due valige e alcune buste. Il lampione illuminava l'abitacolo ma i vetri bagnati ci regalavano l’illusione di uno spazio solo nostro. 

"Hai freddo?" gli chiesi in una carezza. 
"No" rispose con la sua piccola voce. 
"Perfetto, allora dormi, notte tesoro mio" 
"E la storia?" 
"Ma non sei stanco?" 
"No" biascicò col visino stretto tra Gino e me. 
"Va bene" sorrisi nei suoi capelli sottili. "Dove eravamo rimasti?" 
"Carota…" 
"Giusto, Cavalier Carota. Il Cavalier Carota aveva superato il labirinto e, una volta attraversato il corridoio rischiarato solo da alcune fiaccole, era giunto in una stanza. Lì, di fronte a sé, trovò tre porte".

La città attorno a noi si stava addormentando. E Paolo con lei. Solo io ero destinata a rimanere sveglia a lungo, come sempre, cercando la via d’uscita per Cavalier Carota e soprattutto per noi.
Nell'ultimo post ho spiegato cosa s'intende per "Mondo Ordinario" e ora non mi resta che proporre un esercizio di scrittura proprio su questo argomento. 

Hai presente la fiaba di Cappuccetto Rosso? 
Scrivi un paragrafo dedicato al Mondo Ordinario della sua protagonista. 
Racconta cosa fa e dove si trova, prima che la madre la chiami per darle il folle compito di attraversare da sola il bosco con un cestino pieno di leccornie.

Tutto chiaro?

Buona scrittura!

NdA: se hai piacere di avere un feedback da parte mia, manda il tuo racconto a janecole@live.it. 



Ci avevo provato qualche anno fa ma, complice una simpatica pandemia, avevo perso presto slancio ed entusiasmo. Fallendo miseramente quanto rapidamente.

Ma ho deciso che ci avrei riprovato quest'anno e così ho fatto. 
L'8 gennaio del 2023 mi sono lanciata nuovamente nell'avventura "Guerra e Pace", forse il più grande classico che ancora manca nel mio curriculum da lettrice. 

Questa volta ho scelto di darmi all'audiolettura, in modo da poter compiere questo viaggio in maniera un po' più agevole. E, infatti, ad oggi ho già abbondantemente superato la soglia che avevo raggiunto al primo (fallimentare) tentativo con un ebook. 

Quindi, quest'anno, accanto a saggi dedicati alla scrittura e a romanzi della più varia natura (la rima è voluta), leggerò anche la grande opera di Tolstoj. 

Non ho idea di quanto tempo ci metterò in tutto. 
Non ho fretta. 
Per ora, mi godo il viaggio.
... l'osservazione di una serie di principi che governano la narrazione. 

Il viaggio dell'eroe è uno strumento da conoscere a fondo per poi poterlo utilizzare, manipolare o anche ignorare. Perché, per ribellarsi a qualcosa, bisogna conoscerlo.

Il viaggio dell'eroe di Christian Vogler.


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