Ogni dicembre è la solita storia. Anzi, ogni anno che passa è un poco peggio. Incontro sempre più persone che, per un motivo o per un altro, dicono di odiare il Natale.
Chi lo odia per partito preso, chi per ragioni condivisibili e chi, ne ho il forte sospetto, solo perché è un modo come un altro per darsi un tono.
A me invece il Natale piace e, una volta per tutte, vorrei spiegarvi il perché.
Il mio Natale è la festa dei nonni che non ci sono più, ma è come se ci fossero ancora. Natale è il pigiamone di flanella e la colazione del 25 sentendosi perennemente una bimba. Natale sono i pacchi da aprire il 24 a mezzanotte perché noi terroni usiamo così, e quasi 50 anni di vita in Piemonte non hanno minimamente scalfito questa atavica abitudine.
Il mio Natale è la famiglia enorme, divertente e caciarona. Natale è la zia che mi conosce da quando andavo in giro col pannolino, e quindi pensa di avere il diritto di farsi i fatti miei. E forse, a pensarci, non ha tutti i torti. Natale sono gli auguri con le amiche più care, passa il tempo, cambiano le situazioni, ma a noi basta ancora un solo sguardo per capirci al volo.
Natale è soprattutto la festa della ludoteca. I bambini prendono una stellina di creta a testa, PrincipeV si fa strada tra tutti gli adulti e corre da sorellaCole con uno slancio che neanche il più devoto degli innamorati "Per te mamma. Fatta io!", dichiara appassionato.
E a me sembra di poter morire in quell'istante. Morire felice di fronte alla scena più bella che abbia mai visto. Morire di troppo amore.
Questo è il mio Natale.
Se foste al mio posto piacerebbe anche a voi.
Ormai siamo agli sgoccioli di questo 2011 e in rete, in televisione e sulla carta stampata fioccano le classifiche di tutto l'anno. Il miglior film, il miglior libro, la migliore canzone. E se non si parla di classifiche si parla di buoni propositi. Saremo tutti più buoni, più bravi e persino più belli. Insomma quest'anno non è ancora finito e io già non ne posso più. E allora sapete cosa ho deciso di fare? Salto l'ostacolo a piè pari e mi proietto direttamente nel 2012.
Indosso un bel foulard colorato sopra i folti ricci, brucio incenso, accendo candele e per voi, solo per voi, tiro fuori la mia impolverata sfera di cristallo. Et voilà! In un secondo mi trasformo in "Madame Pancrazià la blogger che tutto sa" e vi svelo cosa ci attende nei prossimi 365 giorni.
Nel 2012 vedo, vedo, vedo...vedo le Olimpiadi di Londra. Troppo facile? Ok, mi concentro di più.
Vedo, vedo, vedo...vedo tante cinghie tirate. Ok, avete ragione, oggettivamente pure questa non è un granché come previsione.
Abbiate pazienza, datemi una terza opportunità. Nel prossimo anno vedo, vedo, vedo... l'Enel Blogger Award 2012. Questo non lo sapevate, eh? So' maga!
Il concorso è aperto a tutti i blogger che si occupano di ambiente, finanza, attualità e lifestyle. Ci si può autocandidare, l'importante è che il vostro sito risponda a pochi requisiti fondamentali: deve essere attivo da almeno sei mesi, aggiornato almeno una volta a settimana e non essere multiautore.
Se siete interessanti recatevi sul sito ufficiale della competizione, registratevi, scegliete la categoria di appartenenza ed indicate il vostro post più bello e rappresentativo. Avete tempo fino al 17 gennaio. E da quel momento in poi pubblico, lettori, navigatori esperti della blogosfera potranno votare i propri blog preferiti fino al 13 marzo.
I primi classificati per ogni categoria si porteranno a casa, oltre ad un ego smisurato, anche un iPad 3G. E, come se non bastasse, verranno premiati durante una super glamour cerimonia nell’auditorium Enel. Mica pizza e fichi!
Dato che, ahimè, per ragioni di opportunità e correttezza non mi posso autocandidare. (Altrimenti non ce ne sarebbe più per nessuno). Vi faccio un poco di nomi di coloro che, secondo me, meriterebbero un'occasione e una vostra lettura. Non vorremo mica che vincano sempre i soliti noti? Io punto su: Machedavvero, Nonsolomamma, Il Rockpoeta, Sabrina Ancarola, Letteredalucca, A Casa Di Simo, Il diario delle Derelitte, Mammamsterdam, Inchiostro Indelebile, e Taccodieci. E voi?
Se non siete miei compagnucci di merende su Facebook o non seguite i miei cinguettii in 140 caratteri su Twitter, probabilmente non ne siete ancora stati informati. E quindi io, che vi voglio tanto bene, ho deciso di scrivere questo post per segnalare anche a voi un'offertona natalizia da non perdere.
Per far conoscere, diffondere ed incentivare l'utilizzo degli Ebook, la Book Republic ha messo a disposizione molti titoli in regalo: racconti, romanzi contemporanei, e anche qualche grande classico.
No, vi giuro non c'è la fregatura, almeno io non l'ho trovata. Ci si registra e si scarica. Il tutto in un minuto.
Fate anche voi come me: scorta senza ritegno né vergogna!
E buona lettura.
Questo post era nato per farvi gli auguri.
Un cosa semplice, senza troppe elucubrazioni, anche perché i miei "pensierini di Natale" me li conservo per dopo il 26. In questi giorni al computer ci stiamo tutti poco, e io che li scrivo a fare i pensierini se poi non li legge nessuno? Se avessi voluto scrivere solo per me stessa mi sarei comprata un quadernetto mica aperto un blog.
Comunque, come stavo dicendo, questo sarebbe dovuto essere un post per fare rapidamente gli auguri a tutti voi, miei amati lettori. Auguri con annesso video della pubblicità natalizia per eccellenza: quella della Coca Cola degli anni '80. Quella coi fricchettoni canterini. Ve la ricordate? Penso che l'abbiate vista tutti almeno una volta nella vita.
Io ero lì lì per prendere il video e postarlo quando un'improvvisa curiosità mi ha colto, "ma com'era la versione americana, quella non doppiata?", mi sono chiesta. E così l'ho cercata ed un particolare ha subito attratto la mia attenzione: la versione originale dura 20 secondi in più. E sapete perché? Perché in quella italiana vennero tagliati i primi piani dei ragazzi più "etnici", in particolare orientali ed afroamericani.
Probabilmente fu un'arida scelta di marketing. L'Italia di quei tempi non era particolarmente multietnica e c'era quindi il rischio che la popolazione di italici consumatori non si sentisse rappresentata da un gruppo troppo eterogeneo.
Il messaggio originale della pubblicità però era chiaramente di pace e fratellanza fra i popoli. Ed un messaggio del genere sarebbe stato valido anche per i noiosamente monocromatici italiani di allora.
Insomma, tutto questo discorso per dire che la scoperta dei "tagli" mi ha rattristata. E mi ha rovinato questo ricordo d'infanzia.
Detto ciò, gli auguri ve li faccio lo stesso perché noi, noi di Radio Cole, voi ed io, siamo belli e multietnici, magari non fuori ma sicuramente dentro.
E quei tagli NOI non li avremmo mai fatti né voluti.
Buon Natale a tutti!
La versione originale.
La versione italiana.
Il Salone Internazionale del libro è un evento irrinunciabile, una via di mezzo tra il paese dei balocchi, dove i sogni diventano realtà, e il decimo girone dell'inferno, dove i dannati sono costretti a condividere gli spazi con scolaresche moleste e sovraeccitate.
Io ci vado ogni anno piena di buone intenzioni e voglia di perdermi nel folle delirio, ma ogni anno faccio qualche errore che mi compromette il divertimento. Lo scorso maggio, ad esempio, ho indossato i tacchi. Pessima decisione. Alla fine della giornata ho fatto il tragitto verso la metropolitana strisciando sulle ginocchia come durante un pellegrinaggio. La Madonna non mi è apparsa ma innumerevoli santi sono stati ripetutamente interpellati.
La cosa che amo di più del mio "sacro" appuntamento annuale al Salone è girare tra le piccole e medie case editrici, ed acquistare opere prime di emeriti sconosciuti. Mi lascio attrarre da una bella copertina, un titolo accattivante o semplicemente il caso più assoluto.
Nel 2011 mi sono portata a casa due libri selezionati in questo modo.
Di uno, per correttezza ed evitare querele, non vi dirò nulla, tranne che la trama era fiacca, la scrittura dilettantistica ed il lavoro editoriale inesistente. Refusi ed errori pacchiani come se piovesse. Un insulto a qualsiasi lettore che dovrebbe avere almeno il diritto di mettere le mani su un "prodotto" curato e finito.
Dell'altro mio acquisto invece voglio raccontarvi tutto, con dovizia di particolari. Inizialmente sono stata attratta dalla copertina: un cespo d'insalata con i paraorecchi. Paraorecchi a forma di pecora, per la precisione. Poi dal titolo: Come l'insalata sotto la neve. Infine dal fatto che l'autore, Luca Gallo, fosse torinese.
Quindi, spinta dall'ammirazione per l'involucro accattivante e influenzata da un poco di sano campanilismo, ho acquistato questa opera prima edita da Intermezzi.
Dopo mesi e mesi d'attesa, dopo che il cespo di lattuga è stato accantonato in favore di altri titoli la cui lettura mi pareva più urgente, finalmente ho trovato il tempo per immergermi anche in questo libro. E, lo dico con grande soddisfazione, ho fatto bene perché mi è piaciuto. Mi è piaciuto davvero. L'ho letto, bevuto, mangiato con entusiasmo e divertimento, con passione e tenerezza.
La storia è quella di un preadolescente dalla famiglia disastrata e la grandissima sensibilità. Con un padre da manicomio, una madre repressa ed un fratello maggiore come unico faro.
Lo so cosa state pensando in questo momento: Ammaniti. Ed è vero, in certi frangenti questo romanzo ricorda il suo stile. Ma c'è da dire che lo scrittore romano, che io tra l'altro amo molto, non ha egli stesso inventato niente di nuovo. La letteratura passata e presente, italiana e internazionale, è piena di romanzi di formazione in cui sono riscontrabili questi elementi.
Luca Gallo di suo ci aggiunge ironia ed immagini surreali, speranza ed ottimismo. E lasciatemi dire che l'ambientazione cittadina torinese regala al tutto un valore in più. Soprattutto per chi può riconoscerne i luoghi, le immagini ed i colori.
Ogni tanto spunta qualche inevitabile ingenuità ma, secondo me, il ragazzo si farà. Spero proprio che in futuro abbia ancora storie da raccontarci, potrebbero essere altre piacevoli sorprese.
Labbra scarlatte e calze di rayon attendevano impazienti baffi sottili e scarpe bicolore.
"Sono arrabbiata con la maestra", disse la bambina con gli occhiali grandi e tondi e le gambette da ragnetto.
"Oggi ci ha fatto fare i biglietti di Natale per mamma e papà. Abbiamo dovuto scrivere tutti le stesse cose. Quelle che ci diceva lei. Ma come faccio io a spiegare quello che sento davvero nel cuore se me lo dice lei? Lei che ne sa?"
La bambina sulla Metro mi ha regalato un sorriso e tanta fiducia nel futuro. Molta meno nella sua maestra.
Avete già deciso i regali per questo Natale? Che bravi.
Io invece, com'è nel mio stile di procrastinatrice olimpionica, sono ancora in alto mare.
Solo per Ciccio ho un'idea che mi frulla nella capoccia da un po'. E che idea!
Vorrei regalargli una capra. Una bella capra di quelle che ti guardano fisso negli occhi e sembra che stiano per farti qualche grande filosofica rivelazione sulla vita.
No, non sono impazzita. E no, non ho messo su una fattoria. Ma sì, come avrete già capito, vi sto solo prendendo un poco in giro. Ma solo un poco. Sono una blogger burlona ma non troppo.
In realtà ciò di cui vorrei parlarvi è un'iniziativa dal nome folle e simpatico ma l'obiettivo nobile e il metodo, a parer mio, molto efficace: "Con Oxfam la capra canta!"
Avete mai sentito parlare di Oxfam? E' un'associazione umanitaria costituita da 15 organizzazioni attive in 98 paesi. Lo scopo che si prefigge è quello di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più in difficoltà, ed il principio base che la muove è ottenere questo risultato dando alle popolazioni stesse il potere e soprattutto le risorse per esercitare i propri diritti.
Dovete fare un regalo a chi ha già tutto? Siete alla ricerca di qualcosa di veramente divertente ed originale e non l'avete ancora trovato? Oppure, data l'infelice congiuntura economica, avete un po' di pudore a spendere anche quest'anno soldi in fesserie che finiranno dimenticate nel fondo di un cassetto? Qualunque sia lo scrupolo o la difficoltà che ancora non vi ha portato a scegliere tutti i pacchetti da mettere sotto l'albero, io ho la soluzione giusta per voi. O meglio, Oxfam ce l'ha!
Andate sul sito de Gli Spacchettati, oppure telefonate al numero verde 800 99 13 99. Scegliete un dono tra i tanti disponibili e dedicatelo a chi volete.
Il regalo attraverserà montagne ed oceani per giungere da chi ne ha davvero bisogno mentre al vostro destinatario, oltre che la piacevole consapevolezza di essere stato "involontario complice" di un gesto bello ed utile, giungeranno i vostri buffi auguri personalizzati tramite e-card o cartolina postale, E così sarete tutti felici. Anche la capra, che canterà, eccome se canterà!
Si può scegliere tra tanti doni: quaderni, condom, semi, tende ed anche animali. Sì, persino una capra, non me lo sono inventato. Ma attenzione, ovviamente i regali sono solo simbolici e rappresentano le attività dell'organizzazione che, con il vostro contributo, aiuterete a finanziare.
E se volete "tenere d'occhio" Gli Spacchettati e i benefici di questi doni nelle diverse parti del mondo basta che li seguiate sulla loro pagina facebook.
Che ne dite allora? La mia idea regalo per Ciccio non è fantastica?
Che poi una passa giorni a ballare felice con la leggiadria di un'otaria spiaggiata.
Che poi una vorrebbe pure cantare a squarcia gola e non lo fa solo perché ha un minimo di pudore e conosce i propri limiti e soprattutto quelli delle proprie corde vocali.
Che poi una è consapevole di avere dei gusti musicali dozzinali ma chissenefrega.
Che poi una decide: "ora scrivo un post su questa canzone che mi piace tanto e mi riempie d'energia!"
Che poi una cerca il video in rete, lo trova, lo guarda e le cadono le braccia.
Che poi Beyoncé sarà pure bella come il sole e con la voce di un usignolo ma quell'orrido cappello tutto stellette e mostrine, che sembra trafugato dal guardaroba di un libico colonnello passato a miglior vita, è una roba così brutta che grida vendetta.
Non ci posso credere.
Risale a solo una settimana fa il post in cui ricordavo Francesco Azzarà e la sua condizione di sequestrato. Post in cui mi ripromettevo di riprendere questa vicenda almeno una volta a settimana: in modo da poter, nel mio piccolo, mantenere viva l'attenzione.
Oggi avevo intenzione di scriverne ancora. Volevo dare il giusto risalto al commento lasciatomi da Ross e segnalarvi anche ciò che aveva scritto Lumaca a 1000 sul proprio blog.
E invece, a quanto pare, non ce ne sarà bisogno.
Africa che tutti ha fatto nascere, anche noi, sbiaditi dal tempo e dalla nebbia.
(letteredalucca.wordpress.com)
In una rete dove a dominare sono i social network, con la comunicazione stereotipata di facebook o quella creativa ed essenziale di twitter, sembra esserci sempre meno spazio ed attenzione per i blog. Troppo dispersivi. Troppo impegnativi. Troppo faticosi da leggere e da scrivere.
Poi però trovi un post di una penna felice e un'anima grande. Di una donna che mi onoro di conoscere, anche se solo attraverso la sua scrittura, e che spero un giorno di poter incontare per guardarci occhi negli occhi e raccontarci anche a voce.
Il giorno dopo la follia che è accaduta a Firenze Lucia ha scritto un post che è un gioiello e che vi farà comprendere perché lei "mi garba " così tanto. A Firenze, il giorno dopo.
In questi giorni dal blog "Ma Che Davvero?" è nata un'iniziativa particolarmente sfiziosa. Wonderland, giovane mamma biondo crinita, che una ne fa e cento ne pensa, per domani, 14 dicembre, si è inventata il giorno di #leaveamessage.
E che è? Direte voi.
Mo ve lo spiego. Dico io.
Leave a message: lasciate un messaggio!
Lasciate in giro per la città una traccia positiva. Uno o più biglietti recanti frasi ispiranti ed ispirate. Scrivete ciò che a voi stessi piacerebbe leggere: un invito a vedere il bicchiere mezzo pieno, a non abbandonare i propri sogni, a farsi una bella risata perché tanto nella cacca già ci siamo e almeno stiamo al calduccio.
Si possono citare autori famosi o, meglio ancora, spargere a piene mani la farina del proprio sacco.
E perché tutto ciò?
Ma che ne so!
Perché è una cosa carina. Perché è divertente. Perché da ragazzini abbiamo scritto tutti qualcosa su un biglietto da mille lire, attaccato un messaggio a un palloncino, o addirittura provato le brezza di buttare tra i flutti una bottiglia con dentro una lettera.
E poi il periodo è quello che è, e donare un sorriso a qualcuno non può essere certo un male.
Nel caso siate dei patiti di twitter, dopo aver piazzato da qualche parte i messaggi, potreste anche scriverlo sulla timeline ed invitare i vostri sfaccendati follower ad una vera e propria caccia al tesoro.
Io, nonostante adori il cinguettante social network, mi limiterò solo a lasciare dei biglietti in giro, sperando che capitino tra le mani di qualcuno che sappia apprezzarli.
Per leggere a fondo dell'iniziativa vi invito a dare un'occhiata al post da cui tutto ha avuto inizio: #leaveamessage.
Una bugia. Una scusa. La rabbia. Il fuoco.
Non ci sono vittime, per fortuna.
Ma ad uscirne ferita è una città che brucia e si divide tra chi comprende e giustifica, e chi non ha più parole per esprimere la propria incredulità.
Io non trovo le parole nel presente e così le ricerco nel passato. Le ricerco in un vecchio racconto che scrissi una vita fa in occasione di un concorso di beneficenza. Una storia nata dall'elaborazione e le suggestioni di una vicenda raccontatami da altri, e di un'esperienza vissuta in prima persona.
Il primo vero racconto che io abbia mai scritto. Un racconto ingenuo, il cui stile ora sento appartenermi poco. Ma i cui sentimenti ancora riconosco. Quelli sono i miei. Sono ancora vivi dentro di me e bruciano. Bruciano nel cuore e negli occhi.
L’ultimo giorno di scuola.
Oggi è l’ultimo giorno di scuola e si è appena conclusa la recita di fine anno.
Bambini e genitori si riversano rumorosi e allegri nel giardino. C’è Lucia con la maglia piena di brillantini e i codini trattenuti da fiocchetti rosa. C’è Marco con le mani sporche di colori ed i capelli a scodella. C’è Justine con la pelle di cioccolata e il sorriso di vaniglia. C’è Peter che corre in tondo e non si fa acchiappare mai.
E poi ci sono loro: Gabriele ed Eric, due bimbi stretti stretti in un abbraccio. Da domani non si vedranno più, la scuola materna è finita.
Gabriele è nato una calda mattina di giugno.
La clinica aveva muri imbiancati da poco, lenzuola fresche di bucato ed un parco verde e rigoglioso tutt’attorno. Lui aveva la pelle chiara e i capelli color oro.
Gabriele era un bambino piccolo e gracile che si ammalava spesso. E quando iniziò a camminare, e poi anche a correre la situazione peggiorò. Correva per gioco dietro agli altri bimbi o al gatto della vicina. Correva e rideva ma poi di colpo era costretto a fermarsi. La gola gli si faceva stretta ed il posto delle risate era preso da una tosse forte, terribile che sembrava non finire mai.
Lui era fragile, troppo fragile per poter avere una vita uguale agli altri. Niente asilo nido, “Attento! Non correre!”, niente giochi nei parchi, “Attento! Non correre!”, nessun luogo affollato, “Attento! Non correre!”.
Ma in quel corpo di carta velina erano imprigionate una mente brillante ed una personalità vivace. Troppo vivace per poter essere trattenuta.
Non bastavano più le favole ed i racconti a saziare quegli occhi curiosi e quelle orecchie attente. I genitori dovettero arrendersi alla fame di vita del loro piccolo eroe.
Gabriele cominciò finalmente l’asilo.
Le maestre lo definirono subito "sopra la media".
Eric è venuto al mondo una fredda notte d’inverno.
La sua giovane madre non fece in tempo a correre all’ospedale ed il piccolo nacque nella roulotte di famiglia, mentre la pioggia scrosciante spazzava il Campo.
Lui era un neonato grande e robusto, con la pelle scura, folti capelli color del carbone ed occhi grandi e neri da perdercisi.
Visse gran parte del primo anno in braccio alla madre, avvolto in una fascia colorata. Mentre andavano in giro per le strade della città, lui veniva cullato dolcemente dall’ondeggiare dei fianchi di lei, ancora troppo piccolo per capire cosa significassero la mano tesa della donna e gli sguardi di disapprovazione dei passanti.
Una mattina degli uomini in divisa vennero a prendere sua madre al Campo. Lui stava giocando in mezzo alla polvere con i cuginetti, ma quando la vide allontanarsi le corse dietro. Lei si fermò, lo prese in braccio e lo portò con sé.
Nel nuovo mondo che li attendeva non c’erano più il cielo azzurro e la libertà, ma muri, sbarre e regole da seguire. Non c’erano più i giochi del papà e le nenie della nonna ma visi sconosciuti e sguardi ostili.
Il bambino smise di ridere e di parlare.
Ogni giorno che passava il suo mutismo si faceva più ostinato e lo sguardo più rabbioso. Le sue manine si chiusero a pugno, sempre pronte a colpire chi si avvicinava troppo. La sua mente ed il suo cuore si negarono a chiunque cercasse di avvicinarsi.
In gabbia lui divenne selvaggio e cattivo. Secondo alcuni divenne perfino stupido.
Eric, come vuole la legge, rimase in carcere con la madre fino al compimento del terzo anno di età.
Il primo giorno di scuola materna venne catalogato come "un po' indietro".
Un pomeriggio nel cortile i due si trovarono per caso l’uno accanto all’altro.
"Vuoi giocare con me?”
"Si.”
Due bambini così diversi s'incastrarono perfettamente.
Eric comprese la fragilità di Gabriele.
Lo aiutò a rialzarsi dopo ogni caduta, inventò giochi più tranquilli per quando l’altro era troppo affaticato, lo protesse dai dispetti dei compagni, lo affiancò nelle mille folli avventure che inventarono.
Gabriele si accorse delle difficoltà di Eric.
Prese a spiegargli le cose con una pazienza che nessun adulto riuscirebbe mai ad avere, lo aiutò con discrezione e rispetto, lo accompagnò passo per passo nelle scoperte delle cose straordinarie che gli stavano attorno e delle potenzialità infinite racchiuse dentro di sé.
Oggi è l’ultimo giorno di scuola.
Due bimbi si abbracciano stretti stretti.
Uno adesso è più forte e sicuro, conosce la bellezza di un gioco all’aria aperta e di uno sguardo d’intesa con un amico. L’altro ora ha riaperto la mente ed il cuore, ha ripreso a ridere ed è ogni giorno più sveglio e curioso.
Oggi è l’ultimo giorno di scuola.
Due bimbi si abbracciano stretti stretti.
Da domani non si vedranno più, la scuola materna è finita.
Uno a settembre comincerà le elementari vicino a casa dei nonni, l’altro tornerà al Campo e poi chissà.
Delicato e Poetico.
Un canto leggero.
Una danza aggraziata.
Oggi mi ero ripromessa di fare mille cose e, per tutta la mattinata, ero riuscita più o meno a mantenere l'impegno. Poi, verso l'ora di pranzo, mi è partito l'embolo, mi si è impazzito il neurone e, senza nessun motivo valido apparente, ho deciso di prendere tante ore, utilizzabili in fruttuose attività, e buttarle letteralmente nel cesso.
Dimostrando per l'ennesima volta di essere un'emerita fessa ho scelto di prodigarmi nella terribile attività cosiddetta "diamo una sistemata al blog".
Orrore e raccapriccio.
Ho passato un tempo infinito a scandagliare il web tutto alla ricerca di una grafica che si adattasse a me ed alla mia amata Radio Cole.
Che l'operazione sarebbe stata difficile già lo sapevo, ma non avevo calcolato che alla mia cronica indecisione, alla mia paura dei cambiamenti, alla mia ansia da prestazione applicata a tutti gli ambiti, si sarebbe aggiunta la consulenza telefonica del mio fidanzato.
Sì, proprio lui, il noto e tanto amato Ciccio che, ad ogni nuovo sfondo, si premurava di darmi un suo attento giudizio telefonico. E così abbiamo trascorso il pomeriggio scambiandoci piacevolezze del tipo:
"Che ne dici di questo?"
"Fa schifo!"
"Ciccione"
"Questo ti piace?"
"Questa carta da parati da vecchia? Ma stai scherzando?"
"Ti odio!"
"E questo?"
"Fa un po' meno schifo degli altri"
"Ma vaff..."
Insomma alla fine vada per il gufetto sul ramo. Potrebbe restare per i prossimi vent'anni o durare venti minuti. Non lo so. Ma ora sono davvero stufa, a un passo dall'esaurimento nervoso e quindi mi arrendo. E vi prego non ditemi niente. Pure se lo trovate orribile: lasciatemi andare in giro con gli spinaci in mezzo ai denti. Ne avete facoltà.
Quasi dimenticavo, i più attenti di voi si saranno accorti che la grafica non è l'unica cosa ad essere cambiata. Nella colonna di destra, sotto l'inequivocabile logo del Carosello, ho aggiunto dei video pubblicitari. Quella è pubblicità. Vi interessa? Cliccatela.
Non v'interessa? Ignoratela. Anzi stateci proprio lontano perché purtroppo, se ci si passa sopra con il mouse, il quadrato si allarga e diventa molesto. Io vi ho avvertiti.
Gli argomenti ed il tenore dei post rimarranno invariati, state sereni.
E non tenetemi il muso, per cortesia, che mi sento già sufficientemente mercenaria da sola senza bisogno che mi facciate la predica voi. Perdincibacco! C'è crisi. Ve lo devo dire io?
Ok. Ora vado a farmi una camomilla. Direttamente endovena.
Ormai è da parecchio tempo che espongo la sua foto sul mio blog. Francesco Azzarà è stato rapito lo scorso 14 agosto. Oggi è l'8 dicembre e sulla sua sorte è sceso ormai da mesi un pericoloso e preoccupante silenzio.
Per questo motivo ho deciso che, d'ora in poi, ogni settimana dedicherò un post a questo operatore di Emergency scomparso.
Nel mio piccolo, piccolissimo, spero di mantenere accesa una fragile fiammela su questa oscura faccenda. E so che i miei pochi, affezionati e sensibili lettori, nei limiti delle loro possibilità, cercheranno di fare da cassa di risonanza in rete e fuori.
Destinati ad amarsi senza comprendersi. Vicini ma distanti. L'una protesa verso il cielo, l'altro rivolto alla terra.
Voi che mi leggete da tempo ormai lo sapete già: dentro questo gran pezzo di adulta si nasconde una bambina. Una bambina che ama il Natale. Una bambina che ama i regali. Una bambina che ama i Panda. E, a proposito di Panda. A voi cosa viene in mente pensando al pacioso bicolore mangiatore di bamboo? A me viene in mente il WWF che di questo animale meraviglioso, e da tempo in pericolo d'estinzione, ha fatto il proprio simbolo. Quando ero piccola, sia dentro che fuori, questa organizzazione per la salvaguardia della natura già esisteva da molti anni e già godeva della stima e della fiducia del mondo. Un mondo che si è sempre impegnata a proteggere ed aiutare. Perché per salvare gli animali in via d'estinzione bisogna innanzitutto salvaguardarne l'habitat. Fauna e Flora, come già sapevano gli antichi, sono unite indissolubilmente.
E adesso che non sono più piccola, per lo meno non fuori, il WWF continua ad esistere e lottare. Ma, come dicono loro, la conservazione senza fondi è solo conversazione. Quindi c'è sempre bisogno di nuovi iscritti e nuove donazioni. A tal proposito, una delle trovate più originali per raccogliere fondi e sensibilizzare il sopito animoecologista della gente è sicuramente l' Adozione delle Specie da Salvare. Dodici specie simbolo, e diversi tipi di adozione tra cui scegliere per fare un regalo a se stessi, ai propri bambini e soprattutto al nostro pianeta.
Tigre, Panda, Orango, Orso Polare, Foca, Pinguino, Ghepardo, Scimpanzè, Elefante, Lupo, Orso Bruno, Delfino. Sono queste le 12 specie in pericolo. Sono questi i testimonial scelti: altro che modelle o attrici! Come si può resistere alla maestosità di un orso polare, all'intelligenza di uno scimpanzè o alla sfacciata bellezza di una tigre? Non si può, e quindi per questo Nataleregaliamoci una specie e con questa una speranza e un sogno per i bambini che eravamo, e per i bambini che ci sono e ci saranno dopo di noi.
Le possibilità di adozione sono moltissime ed anche il contributo da versare varia da pochi euro a cifre più impegnative. Non importa: ogni adozione è importante, ogni contributo è un regalo meraviglioso. Inoltre ai grandi e piccoli nuovi genitori verranno inviati dei simpatici gadget: dal più classico e morbido peluche al planisfero con indicate le aree di azione del WWF. Quest'ultimo dono, in particolare, è il migliore dei regali da fare ai bambini più grandicelli che già vanno a scuola. E che potranno quindi condividerlo con compagni di classe e maestre. E da ciò potrebbe nascere un'interessante lezione d'ecologia e di vita.
Oltretutto il WWF, dimostrando di essere un'associazione seria, moderna, che non lascia nulla al caso, da anche la possibilità di fare un'adozione ad impatto zero. In seguito alla vostra offerta non vi verranno consegnati pacchi a casa ma uno screensever, uno sfondo e una firma digitale direttamente sul vostro computer. A me sembra la quadratura del cerchio!
Franca è una donna normale di 64 anni, nata ad Alcamo il 9 gennaio del 1947.
Una donna con un passato difficile, combattuto e sconfitto grazie ad una volontà fuori dal comune e ad una famiglia straordinaria alle spalle.
Una donna con un presente sereno e normalissimo che si sorprende ogni volta che la sua storia torna d'attualità e che qualcuno parla di lei come di un'eroina, un simbolo.
Franca aveva solo 17 anni quando il destino le riservò il trattamento barbaro che in quei tempi riservava a molte giovani donne italiane. Venne rapita dal suo corteggiatore respinto.
Rapita e tenuta ostaggio per una settimana.
Rapita e violentata.
In quell'Italia così lontana eppure vicinissima questa era un'usanza socialmente e penalmente accettata. La donna non ti voleva? Tu la rapivi, la stupravi e poi lei era costretta a sposarti. Il matrimonio cancellava il reato del carnefice e la vergogna della vittima.
Colpa e vergogna, perché se non eri più vergine eri disonorata. Sporca. Intoccabile.
Franca disse no. Disse no al suo violentatore. Forte di un grande carattere, e dell'appoggio incondizionato della propria famiglia e del legittimo fidanzato.
Franca è stata ed è una donna straordinaria, circondata da uomini straordinari, che l'hanno sostenuta contro le minacce e il dileggio. Il "cornuto" ha sopportato le risate di scherno dei paesani. Il padre della svergognata ha visto andare letteralmente in fumo una vita di lavoro ma non ha ceduto di un passo.
La vicenda si concluse con un matrimonio, quello tra Franca ed il suo legittimo fidanzato, ed una condanna a 12 anni di carcere per il suo stupratore.
Perché vi ho raccontato la storia di Franca Viola?
Forse perché oggi, 25 novembre, è la giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne.
Forse per le storie che arrivano dall'Egitto in questi giorni. Una su tutte, ma non l'unica, quella di Mona.
Forse perché il padre di Franca Viola, povero ed ignorante ma dignitoso e intelligente, avrebbe ancora così tanto da insegnare a tutti noi.
O forse semplicemente perché questa vicenda mi emoziona ogni volta che ci penso ed era da molto che volevo condividerla con voi.
Rimembrate quando vi parlai della raccolta "Quel giorno in un attimo..."? No? Questo perché siete più rintronati di me ed io perciò vi amo.
Vi faccio un rapido riassunto: la Giulio Perrone Editore aveva indetto un concorso. Bisognava scrivere un racconto a partire da un incipit uguale per tutti i partecipanti.
Da questo concorso è nata un'antologia che include anche una mia storia. Che ora, col permesso dell'editore (perché sono una signorina precisa ed educata, e prima di fare le cose chiedo), condividerò con tutti voi.
Io spedii il racconto senza titolo e senza titolo è stato pubblicato.
No, non lo feci per darmi un tono o aggiungere un accattivante alone di mistero, ma perché lo finii di scrivere 5 minuti prima dello scadere del tempo utile e quindi, in preda al panico e facendo tutto di corsa com'è nel mio stile (perché io sono una procrastinatrice cronica e se non mi complico la vita da sola non sono contenta), semplicemente me ne dimenticai.
Ora però, per l'occasione, il mio parto letterario è stato adeguatamente battezzato ed è pronto per essere esibito sul palco a me più caro.
La Radio Cole Enterprise è lieta di presentare su questi schermi in prima blogosferica mondiale:
Il pesce rosso.
Si è appena svegliato e aprendo gli occhi dimentica di essere in ferie. Guarda la sveglia, la mette a fuoco, per un istante teme che sia tardi. Poi ricorda. Decide che farà colazione al bar. Si lava, si veste in fretta. E’ una giornata strana, il tempo potrebbe cambiare da un momento all’altro. Ordina il suo caffè, si siede a un tavolo appartato, da cui non distingue le parole degli altri. Solo un fittissimo, uniforme ronzio. Getta un’occhiata distratta al giornale, gli sembra di sapere già tutto. Ma quanto sono vecchie queste notizie? Sfoglia veloce, in cerca delle pagine di cronaca. La tazzina resta sospesa a mezz’aria. In una fotografia gli è sembrato di vedere un volto somigliante al suo. Lo fissa più a fondo, il cuore sembra già impazzito. Legge il titolo, sillaba per sillaba. Riguarda lui.
Non riesce a crederci. Pensava di aver chiuso quel maledetto capitolo. Ed invece no. Il suo orrido segreto è nuovamente uscito allo scoperto. La macchia scura sulla sua anima ha lasciato il passato per ripresentarsi sfacciata nel presente.
Si guarda intorno, tutti gli occhi sembrano puntati su di lui, si sente soffocare. L’avranno riconosciuto? Solleva il colletto della polo, calca il berretto sulla fronte e corre fuori dal bar il più velocemente possibile. Corre con le gambe storte e le ginocchia puntute all’infuori. Corre fino a trovare rifugio nell’androne semibuio del suo palazzo. Respira a bocca aperta, con gli occhi sbarrati dal terrore ed il sudore che gli scende lungo la schiena. Le scale sono deserte. Per fortuna. Si arrampica fino al terzo piano, entra nell’appartamento e scivola a terra sul pavimento freddo. Vorrebbe vomitare o nascondersi sotto le coperte e seppellircisi per sempre. Nella ricerca del miglior compromesso si accartoccia sul marmo in posizione fetale.
Dieci anni. Dieci anni buttati nel cesso.
Il pesce rosso gira nella boccia. Lui inspira dal naso ed espira dalla bocca cercando di calmarsi. Per dieci anni era andato tutto bene. O quasi. Non che non sentisse mai l’impulso. Non che non percepisse dentro di sé quell’inconfessabile desiderio. Ma era sempre riuscito a controllarsi. Aveva spinto tutto giù, sempre più a fondo, sempre più giù. Aveva finito la scuola. Era diventato un impiegato modello, un inquilino puntuale, uno come tutti gli altri. Uno dei tanti. Uno.
Dieci anni.
L’acqua della boccia sarebbe da cambiare. E’ torbida e puzza. Lui cerca di fare ordine tra i suoi pensieri confusi. Ormai pensava di esserne uscito per sempre ma quella foto lo inchioda alle sue responsabilità. C’è ricascato. Un’altra volta. Che schifo.
L’ha fatto inconsapevolmente ma questa non è una giustificazione. Non esistono giustificazioni possibili.
Era cominciato tutto tanti anni prima, quando era ancora solo un bambino ma già la colpa si annidava dentro di sé. La mamma lo lasciava scorrazzare in spiaggia nudo come un puttino ma poi doveva rincorrerlo per ore per riuscire a infilargli di nuovo le braghette. La mamma gli faceva il bagnetto a casa ma poi doveva inseguirlo scivolando sul pavimento bagnato mentre lui faceva il pazzo, ridendo con la bocca larga e agitando le braccine in aria. La mamma gli cambiava il pannolino e lui usciva a ballare col cosino al vento sul balcone per il divertimento di tutti i vicini che gli battevano le mani e ridevano. Anche la mamma rideva. All’inizio. Ma gli anni passavano e lei rideva sempre di meno.
Lui coglieva ogni occasione per mettersi nudo come un verme. Nelle situazioni accettabili ed anche e soprattutto in quelle inaccettabili. Fino a quella volta in cui, a tredici anni compiuti, aveva esibito il proprio ossuto e sgraziato corpo da adolescente durante la rappresentazione natalizia della parrocchia. Ai tempi gli era sembrata una così buona idea. San Giuseppe era corso nel presepe con indosso i soli sandali. Gli avevano risposto le urla isteriche della Madonna, le risate dei pastori, la rabbia delle catechiste e le lacrime della madre: “Che ti ho fatto di male? Perché mi fai questo?” Lui non aveva saputo risponderle. Non lo sapeva il motivo. Lo faceva e basta. “Perché? Dimmi almeno perché?”, gli aveva chiesto scuotendolo per le spalle. Furono gli occhi delusi e disperati di sua madre a fargli finalmente capire quanto schifo facesse. L’ultimo dei peccatori ed il peggiore tra i figli.
Da quel momento ha nascosto la propria vergogna nel fondo dell’anima. Ha fatto finta di essere normale davanti a tutti: la madre, gli amici, persino se stesso. Ma quella foto sul giornale gli sbatte in faccia la realtà. Lui non sarà mai pulito. Lui è sporco dentro, nel cuore, nello spirito e nella testa. Lui non può essere salvato.
Si alza da terra. Attraversa il corridoio ed apre la finestra. Non vuole più combattere.
Il pesce rosso galleggia a pancia all’aria a pelo d’acqua. Lui sta per salire sul davanzale quando si rende conto di stringere ancora in mano la pagina stropicciata del giornale. Una foto sgranata di un uomo con le gambe storte e le ginocchia ossute all’infuori. Tra le solite notizie di cronaca, sempre uguali a loro stesse, troneggia lui col suo peccato primigenio.
“Un uomo nudo tra noi” urla il titolo. Lo sguardo gli cade distrattamente sul sommario: ”Un nostro concittadino, in probabile stato di sonnambulismo, è stato avvistato la scorsa notte nel parco mentre, completamente nudo, correva tra alberi e piante.”
Deciso a bere il calice della vergogna fino in fondo, comincia a leggere tutto l’articolo. A quanto pare l’hanno visto in tanti, soprattutto i ragazzi in giro fino a tardi con la scusa delle vacanze. Molti ridono di lui, alcuni si dicono scandalizzati, ma ci sono anche gli altri. Quelli che lo definiscono “un poeta”, “un genio”, “un’immagine struggente”. “Un uomo libero, capace di farsi armonia di carne e spirito con l’universo”, dice una ragazza.
Lui chiude la finestra. Si volta. Sfila pantaloncini, maglietta, sandali e berretto. Apre la porta di casa e si precipita giù per le scale. Per strada qualcuno urla, qualcuno applaude, qualcuno ride. Lui corre. Corre fino alla spiaggia.
“Armonia di carne e spirito”, è questo ciò che ha sempre desiderato. Qualcuno ha trovato le parole al posto suo. Qualcuno ha trovato finalmente la risposta. E lui corre in acqua in cerca di battesimo e rinascita.
N.d.A. L'incipit uguale per tutti corrisponde al primo paragrafo in corsivo da "Si è appena svegliato" a "Riguarda lui".
Questa grafica è orrenda. Lo so.
I colori sono male assortiti e l'insieme è di una tristezza infinita.
Ne ho presa consapevolezza per la prima volta solo stamattina.
Che volete che vi dica a mia discolpa? Meglio tardi che mai?
E comunque soprattuto voi, miei lettori più intimi ed assidui, potevate farmelo presente. Non mi sarei mica offesa. Cioè all'inizio magari sì, ma poi avrei aperto gli occhi e sarebbe subentrata l'eterna riconoscenza.
Che vi costava un commento simpatico, un delicato messaggio privato o almeno un'email anonima?
E invece no. Mi avete lasciata andare in giro con la rucola incastrata in mezzo ai denti, i collant sfilati, l'etichetta ancora attaccata al giaccone nuovo.
Appena avrò un poco di tempo a disposizione cercherò di rendere l'aspetto di questa pagina più gradevole. E, considerando il livello orripilante attuale, non sarà poi un'operazione così difficile.
Nel frattempo portate pazienza e concentratevi solo su quei gran gnocchi dei miei post.
L'ho adottata e si chiama Spassionatezza.
Non vi piace?
Illetterati che non siete altro.
Spassionatezza è il "Carattere di chi, di ciò che è spassionato."
Spassionato: privo della passione che acceca e inquina i pensieri.
Spassionatezza è sinonimo d'imparzialità, obiettività. E vi pare poco?
La spassionatezza figlia giudizi scevri da affetti pregressi, emozioni e pregiudizi.
I nostri parlamentari dovrebbero annegarci nella spassionatezza.
Non vi è ancora del tutto chiaro il significato? Passo al "pensierino esplicativo".
Alle superiori, pur di non giocare a pallavolo, una delle tante attività sportive per la quale ero assolutamente negata, sceglievo di rivestire l'ingrato compito dell'arbitro. Un arbitro noto per la rigida imparzialità, per l'inamovibile obiettività, per l'esasperante spassionatezza. Un arbitro così riusciva sempre a scontentare entrambe le squadre. Soprattutto quella costituita dalle proprie compagne che, attendendosi un trattamento di favore, rimanevano immancabilmente deluse.
Ed infatti, alla fine di ogni match, dovevo rimanere abbarbicata sul seggiolone mentre le mie amiche, cui generalmente stavo anche molto simpatica, minacciavano me e la mia famiglia tutta, generazioni passate e future comprese.
La spassionatezza è una scelta di vita che solo i più coraggiosi sono in grado di fare.
Se volete anche voi adottare una parola visitate il sito della società Dante Alighieri.
ps: ammettetelo, quanti di voi, leggendo il titolo del post hanno pensato "Ecco perché non scrive da un po', Pancrazia ha figliato!" ?
Lo sguardo non tradì alcun sentimento mentre affondava la lama nella carne.
Una, due, tre volte.
"Ti piace?", gli chiese Lei.
"Deliziosa", mentì Lui. Mandando giù quella bistecca dura quanto una suola di scarpe.
Scrivo questo post per segnalarvi un interessante ed utile iniziativa.
La mia blogger-amica usadifranci, insieme ad un gruppo agguerrito di ragazze, sta lavorando alla stesura di un report e alla creazione di un documentario sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili: "The dam curse".
Serve l'aiuto di donne nate a Milano o che nel capoluogo meneghino abbiano vissuto. Non vi preoccupate, niente di impegnativo, basteranno pochi minuti della vostra vita per compilare, in maniera del tutto anonima, un questionario.
Forza donne milanesi, non siate timide.
Dipinsi ogni giorno per quattro anni, con la testa rivolta all'insù, il collo incriccato e la faccia sporca di colore. Lavorai come un dannato dello inferno, in fretta e senza pause, in fretta prima che lo muro si facesse asciutto, in fretta colla paura che l'ispirazione dello core e dello animo volasse via leggera come un augelletto di primavera.
M'attendevo complimenti e danari ma ricevetti solo critiche, scherno e pochi spiccioli che mi bastarono appena per bere un goccio di quello buono al di là dell'acqua.
Camminai infelice pe le strade acciottolate del borgo, tra i canti della gente e i gridi delli mercanti. Camminai co la pancia colma di rabbia tra il profumo dei pentoloni sullo foco. Camminai co i piedi che mi doleano, fino al giorno in cui Esso passò di lì e quei taccagni delli fraticelli lo chiamarono a convegno, "Guardate, guardate che porcheria c'ha fatto quello sciocco", gli dissero, "Quattro anni di lavoro per un'accozzaglia di gambe! Cosa sono, beati o rane? Quanti spicci potrà mai valere un'offesa pe li occhi tanto grande?"
Il Maestro alzò lo sguardo e si stupì: "Quanto? Prendete la cupola e riempitela di monete d'oro. E' questo lo valore di codesta opera."
Nessuna ricompensa sarebbe mai stata più preziosa del di lui rispetto pe lo lavoro mio.
Ho sempre amato la storia dell'arte e domenica, durante la mia gita a Parma, mi hanno raccontato un aneddoto che mi ha molto colpita.
Avete riconosciuto i protagonisti del racconto?
Vi lascio tre indizi:
1) l'artista incompreso veniva da un paese in provincia di Reggio Emilia ma l'episodio narrato si verificò a Parma;
2) il Maestro era veneto;
3)
Photo by Ciccio De Ciccis
Il vincitore verrà premiato con onore e gloria. E basta.
N.d.A: se per caso mi legge qualche reggiano che ha voglia di convertire il racconto in dialetto, sappia che avrebbe la mia eterna riconoscenza.
Vorrei scrivere di più ma non ho tempo o forse sono solo molto disorganizzata. Abbiate fede, magari prima o poi vedrò la luce, uscirò dal tunnel della procrastinazione e smetterò di rincorrere gli impegni e le scadenze con il fiatone e la netta impressione di essere sempre in ritardo.
Intanto vi aggiorno un poco. PrincipeV continua a crescere e ad essere sempre più bello e simpatico. Io, grazie a lui, sto imparando a conoscere il magico mondo dei giardinetti. Luogo in bilico tra fiaba e realtà, sogno ed incubo, pace e delirio. Tra altalene e panchine si aggirano mamme logorroiche e disperatamente bisognose di relazionarsi con degli adulti, e mamme ostili a cui farebbe tanto bene relazionarsi con un Pit Bull isterico. Tra scivoli ed alberi si scapicollano bambini carini e simpatici come orsetti gommosi ma anche piccoli sociopatici destinati a diventare serial killer oppure, per combattere il proprio complesso d'inadeguatezza, a scendere in politica.
SorellaCole non commenta e non frequenta più queste pagine perché ormai è caduta nel gorgo della maternità. Ora è una donna felice, magra come un chiodo(la carogna) e senza più neanche un secondo libero per andare in bagno. Ripetete tutti con me: "Hai voluto la bicicletta..." uahuahuahauahauha
Ciccio è sempre un gran bell'ometto, nonché mio augusto (non)consorte, e anche se non ne parlo spesso, continua ad occupare il mio morbidosamente mediterraneo fianco.
Miei adorati lettori di Roma e d'intorni, avete da fare stasera?
Sì? Beati voi, buon divertimento.
No? Meglio, vi trovo io un'impegno molto Intellettual Chic.
Prendete un qualsiasi mezzo di locomozione e recatevi in via Saluzzo 53, presso il caffè letterario-libreria Books&Brunch. Dove, dalle ore 19 in poi, potrete assistere all'entusiasmante presentazione dell'Antologia "Quel giorno in un attimo...", edita da Giulio Perrone Editore. Una raccolta di racconti inediti, nati tutti dal medesimo incipit.
Tra quelle pagine ve ne sono tre, o forse 2 dipende da come è stato redatto il volume, scritte da me medesima.
Un mio racconto.
In un libro vero. Uno di quelli col codice ISBN. Che, tra l'altro, vuol dire International Standard Book Number e fa subito molto figo.
Non vi preoccupate, non mi sono montata la testa. Ho solo partecipato ad un concorso aggratisse e sono stata selezionata. Ed insieme a me chissà quanta altra gente. Sono perfettamente consapevole che queste antologie di solito le comprano solo gli autori ed i loro parenti stretti. Ma io sono una che si entusiasma con poco. E poi non rovinatemi la festa, ecchecavolo!
Comunque, ovviamente, fino a Roma non ci posso proprio venire e quindi questa presentazione ISBNmunita me la devo perdere. Ma sarebbe proprio carino se qualcuno di voi, evidentemente pieno di tempo libero, andasse a farsi un aperitivo alla mia salute. E, già che c'è, mi procurasse un feticcio fotografico che io possa tenere ad eterna memoria.
Sì, lo so che avrei dovuto avvertirvi prima, ma tanto io di lettori romani non credo di averne molti e tutto questo post serviva solo per dirvi che mi hanno pubblicato un racconto. Che sarà pure poca cosa, ma io ne sono contenta e se non lo dico qui? Dove lo dico?
"Una volta tanto, non saranno le misure del corpo, l'avvenenza o la giovane età a fare la differenza, quanto piuttosto ciò che queste candidate hanno detto o fatto e quanto la loro personalità sia stata fondamentale da poter essere, secondo voi, da esempio o da rappresentare a buon diritto molte donne italiane."
Tra i 29 nomi proposti è impossibile che non troviate quello secondo voi più adatto. Quindi correte dalle "Streghe" e VOTATE VOTATE VOTATE!
(Non vi dirò a chi è andato il mio voto, perché non sarebbe corretto, ma lei lo sa.)
In linea con il percorso di promozione e celebrazione della creatività propria e di quella altrui che sto sposando ultimamente, non potevo che segnalarvi questo bellissimo sito.
In realtà dietro questa deliziosa idea si nasconde una compagnia che escludo abbia bisogno di Radio Cole per farsi pubblicità, ma si sa che io sono naif e mi piace comunque sentirmi partecipe.
E non dimenticate: be creative every day!
Vi ricordate il post che scrissi sulle storie brevi ed il sito dell'Einaudi?
No?
Come no?
Fatevi una cura di fosforo ragazzi miei: l'ho scritto solo dieci giorni fa!
Vabbè, nella mia infinita bontà ve lo linko: eccolo. Andate a leggerlo, io vi aspetto.
...
...
...
Fatto?
...
...
...
Fatto???
...
...
...
Sentite, vi amo, ma mica posso passare la giornata qua!
Io vado avanti e poi voi mi raggiungete. Con calma.
Stavo dicendo: ve lo ricordate il post sulle storie brevi ed il sito dell'Einaudi?
Si? Molto bene.
Claudia Molinari, una bravissima illustratrice, si è ispirata a quelle microstorie per creare delle finte copertine di libri.
Volete vedere la mia? Ma sì che volete.
Eccola.
Per vederla al meglio cliccateci sopra.
Ma quanto è bellina?
A me piace da morire.
Semplice ma struggente.
Un lavoro impeccabile.
Le altre cover le trovate qua. Vi consiglio di dare un'occhiata: sono una più bella dell'altra.
Che dire? Tutta questa creatività, questi scambi, questi intrecci mi mettono una goduriosa allegria, una frizzante voglia di fare, un lussurioso entusiasmo che manco un ippopotamo nella sua pozza è più contento di me.
Rose mise le lasagne nel forno a microonde. Dopo pochi minuti la salsa di pomodoro iniziò a sfrigolare ed un delizioso profumo si diffuse per tutta la casa. Bob sprofondò meglio sul divano, con il vassoio ancora vuoto sulle gambe e la birra già aperta sopra il tavolino.
Si erano sposati quasi quarant'anni prima, durante la guerra. Lei con i capelli tirati su e nascosti da un velo, lui con la divisa e le scarpe lucide. Si erano conosciuti a ballare. Lei era molto brava, leggera come una piuma. Lui le aveva fatto la proposta dopo il primo boogie woogie. Lei aveva nascosto la risata sorpresa dietro le mani da ragazzina.
Rose gli portò il piatto.
"Perché non resti qui a farmi compagnia? Fra poco inizia la ruota della fortuna."
"Si mangia in cucina", gli rispose lei con finto rimprovero, tornando a sedersi al vecchio tavolo di formica.
La televisione era stato un regalo della loro unica figlia, un apparecchio ancora buono anche se ormai datato. Lucy l'aveva portato una sera di dicembre di dieci anni prima. Era arrivata con il televisore ed il piccolo Jimmy. Li aveva lasciati entrambi. Bob amava molto quell'apparecchio anche se ormai tutte le immagini viravano al blu.
Rose mangiava a piccoli bocconi, canticchiando un motivetto tra sé e sé ed osservando la parete. La macchia d'umidità si stava allargando sempre di più. Bisognava chiamare un idraulico o almeno dare una mano di vernice.
"Ci penserò io", disse Jimmy entrando dalla porta di servizio.
"A cosa?"
"Alla macchia. Ci penserò io", e si sedette di fronte al suo piatto ancora fumante.
Aveva diciotto anni, i capelli lunghi davanti agli occhi e le orecchie a sventola.
Un bravo ragazzo, pensò Rose.
Quella sera stessa Jimmy ridipinse la cucina e la camera dei nonni.
Un bel color crema.
Per nascondere l'umidità.
E tutto quel sangue.
Quanto sono fastidiose quelle mamme che parlano in continuazione dei propri bambini?
Quanto sono insopportabili quei nonni che descrivono i loro piccoli eredi come geni in erba?
Quanto sono patetiche quelle zie che con sguardo sognante ed aria ispirata fanno l'elenco dettagliato di tutte le straordinarie virtù dei nipotini?
Quanto? Tanto. Anzi, tantissimo.
Detto questo: voi non avete idea di quanto sia intelligente, spiritoso e bello mio nipote.
Un ometto alto 83 cm che parla italiano meglio di molti miei conoscenti, è più divertente della maggiorparte dei comici che si vedono in tv, e può sfoggiare un paio di fascinosi occhioni neri che pure George Clooney schiatterebbe d'invidia a vederli. Il piccoletto oltretutto può vantare delle microspalle da rugbista, uno scatto da centometrista e la resistenza fisica di un maratoneta. Il Principe che fu Cavaliere possiede anche il coraggio di un leone, un sorriso da squaletto e l'appetito di un bufalo a regime ipocalorico.
E' evidente, non sono io ad aver perso dignità e ragione, è lui ad essere uno spettacolo.
Quando avevo 20 anni sognavo di diventare ricchissima.
No, non volevo riempirmi la casa di borse col monogramma o di scarpe dalla suola rossa.
No, onestamente non pensavo neanche di eliminare la fame nel mondo o rattoppare il buco dell'ozono.
A me in realtà ha sempre stuzzicato l'idea di fare la mecenate, la scopritrice di talenti, la finanziatrice di artisti giovani (ma anche no), meritevoli e sconosciuti.
Ormai non ho più vent'anni ma solo un paio (...ehm...ehm...) in più, nel frattempo non sono diventata ricchissima e onestamente, ora come ora, se lo diventassi prima di ogni altra cosa finanzierei me stessa ed il mio sogno latticino-letterario in Corsica. Però in questi anni di frequentazione della rete ho scoperto che il passaparola può fare miracoli, e che avere una vetrina in più dove esibire il proprio talento e le proprie idee non può far altro che bene.
E' con questo spirito che vi propongo l'episodio zero di una serie comico-surreale: Radio Vertigo. Episodio che "a bunch of guys without money" si è autoprodotto.
Secondo me è un progetto con buone potenzialità.
Guardatelo e, se vi piace, passate parola.
Buona visione a voi e in bocca al lupo a loro!
L'altro giorno su twitter Einaudieditore ha fatto partire il trend #storiebrevi e tutto l'italo mondo tuittero l'ha seguito. Bisognava scrivere un racconto avendo a disposizione solo 127 caratteri. Spazi inclusi. Una storia breve, anzi brevissima.
Un gioco, una sfida, un'esibizione d'intellettuale vanità che ci ha coinvolto in molti.
Ho letto vicende drammatiche o lievi, divertenti o introspettive e, a mio insindacabile giudizio, ho deciso di porgere il virtuale scettro di Miglior Storia Breve a writer_arbeiter, il cui racconto spicca per sintesi, ironia ed originalità:
"Scusate il ritardo", disse Dio.
Oggi la stessa Einaudi ha dedicato uno speciale sul proprio sito a questi microracconti. A questo esempio di creatività divertita e divertente che per ventiquattro ore ha cinguettato sul web.
A questo punto vi starete chiedendo: e il titolo che c'entra?
Tra le storie citate nello speciale ce n'è anche una mia. Quindi, di fatto, oggi mi ritrovo sul sito dell'Einaudi Editore. E quando mi ricapita?
Allego testimonianza fotografica a futura memoria.
Il pastello colorato sfuggì alla cartella,
rotolò nel cortile,
si tuffò nel tombino,
seguì la corrente,
raggiunse il mare,
nuotò attraverso l'Oceano,
approdò alla spiaggia e
disegnò fiori colorati sui marciapiedi di tutto il Brasile.
Ciccio può vantare un glorioso passato da tennista amatoriale.
Lungo le valli trentine si favoleggia ancora del suo braccio potente, il servizio preciso ed il diritto da cecchino.
Da anni però egli si cimenta sempre meno sul campo, ed intorno al famoso braccio potente ha preso forma il tipico fisico da tennista amatoriale in pensione. Fisico che potete ammirare in tutta la sua burrosa importanza nella documentazione fotografica quivi allegata.
Oggi pomeriggio però Ciccio è tornato a lasciare la propria impronta sulla terra rossa. E che impronta signore e signori!
E' un mistero come, nonostante la notevole fisicata, egli riesca a giocare ancora così bene, sfoggiando uno stile efficace e persino elegante.
Un talento che irride le leggi della fisica, un talento che supera i limiti del tempo trascorso e dello spazio occupato, un talento che zittisce tutti quegli stitici critici normopeso, un talento che dovevo assolutamente celebrare con un post.
In un tempo senza tempo, in un paese lontano lontano, viveva un cavaliere dall'armatura scintillante.
Il sole splendeva alto nel cielo, i monti disegnavano l'orizzonte, distese di fiori alti quanto bambini riempivano gli occhi, ed il prode V, con una bella piuma rossa come pennacchio, cavalcava il suo destriero lungo strade, boschi e campi.
Ogni volta che c'era un problema il CavaliereV arrivava in soccorso: salvava fanciulle in difficoltà, portava bimbi al sicuro e sconfiggeva bestie feroci.
"Ti siamo debitori, prendi in dono uno zecchino", lo ringraziavano i vecchi capi villaggio. "Fermati un poco con noi, ti daremo lingotti d'oro e argento", lo allettavano i borgomastri. "Rimani a proteggere il castello e ti coprirò di gioielli e pietre preziose", gli proponeva il Conte della fortezza antica.
"No, grazie mille", rispondeva V, faceva un inchino, scuoteva il rosso pennacchio e ripartiva in groppa al suo cavallo mai stanco. Lui degli zecchini non sapeva proprio cosa farsene e poi nella bell'armatura non aveva neanche una tasca piccina piccina dove metterli; l'oro e l'argento lo facevano riempire di bolle peggio di un folletto col varibillo; e la fortezza non gli piaceva per niente, tutta scura e piena di spifferi com'era.
Le fanciulle amavano il CavaliereV e sospiravano intravedendo il suo sguardo di brace attraverso la fessura dell'elmo, i giovani sognavano di poter essere forti e coraggiosi come lui, ma in verità il cavaliere non era mica tanto contento. Ogni notte si stendeva ai piedi di un grande albero a guardare le stelle. Ogni notte restava sveglio perché, se sei solo in mezzo al bosco, puoi permetterti di dormire solo con gli occhi aperti. Ogni notte si chiedeva quando avrebbe trovato riposo: fare l'eroe gli piaceva assai ma delle volte un poco di pace ed un pisolino come si deve non gli sarebbero mica dispiaciuti.
Un giorno d'estate un vecchio contadino gli si parò davanti in mezzo al sentiero: "CavaliereV hai sentito la triste novella? In un paese lontano lontano un Drago sta tenendo prigionieri un fattore e sua moglie. Poverini, nessuno corre ad aiutarli perché tutti hanno paura di quel bestione grande e cattivo."
"Ci andrò io", rispose lesto il cavaliere dal pennacchio rosso, che aveva il cuore grande e l'animo nobile.
"Ma è lontano."
"Cavalcherò giorno e notte se sarà necessario", e così partì.
Gli ci vollero due giorni e due notti, superò campi e monti, sfidò la pioggia e la neve, fino a quando non giunse in una grande pianura con un fiume che dalla montagna scendeva fino al mare.
Davanti ad un'umile casetta stava seduto un Drago grasso e puzzolente. V poggiò la spada a terra, prese una fogliolina da un cespuglio, e piano piano si avvicinò a quel bestione fiammeggiante. Passo, passo, senza far scricchiolare l'armatura, arrivò fino ad un piedone dalle unghie zozze e, trattenendo il fiato, fece l'unica cosa che può sconfiggere un vero Drago, un segreto segretissimo che solo i grandi cavalieri d'armi e d'onore conoscono: gli fece il solletico.
L'animale spalancò la bocca piena di denti e, invece di sputare fuoco, iniziò a ridere.
Una risata, uno sbuffo di fumo.
Una risata, uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse.
Una risata, uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse, uno starnuto.
E a forza di ridere, sbuffare, tossire e starnutire, il verde sederone squamoso si sollevò da terra ed il Drago volò via con un bell'attacco di ridarella draghesca. Ahahah, puf, cof, etciù, ahahah, puf, cof, etciù, ahahah, puf, cof, etciù si sentì sempre più distante, fino a quando non ci fu silenzio e lontano nel cielo non rimase che un puntino verde piccolo quanto una capocchia di spillo.
Il fattore e la fattoressa uscirono di corsa da casa: "Grazie cavaliere sconosciuto, grazie per averci salvato. Cosa possiamo fare per te? Noi non abbiamo zecchini, oro, argento o pietre preziose ma se vuoi possiamo dividere la nostra cena in tre."
V, che un certo appetito in effetti ce lo aveva, accettò e mangiò con loro una minestra che era proprio la fine del mondo. Poi, dato che era stanco, si coricò al calduccio sopra un saccone di piume vicino al caminetto. Gli occhi gli si fecero pesanti e, visto che non era da solo ma in casa con lui c'erano quei due signori tanto gentili, decise che un sonnellino piccolo piccolo se lo poteva fare.
La mattina il fattore e la fattoressa si alzarono presto per preparare la colazione al loro salvatore e grande fu lo stupore quando, al posto del prode cavaliere, trovarono un bimbo dai grandi occhi neri ed il sorriso del sole. "Quanto sei bello", gli disse la donna, "sembri proprio un Principe".
Così il CavaliereV divenne PrincipeV.
Ed il fattore e la fattoressa divennero mamma e papà.
Girò il capo a destra e poi a sinistra. Sbattè gli occhi antichi. Allungò il collo. Ed addentò la lattuga.
Era amara.
Ognuno ha le proprie fissazioni. Le mie, tra le altre, includono tartarughe e Corsica.
Ciccio: "Ma cos'è tutta quella roba?"
Pancrazia: "Cosa? Questa? Niente, non ti preoccupare. Solo una tanica di acqua santa, un agnello da sacrificare a un dio pagano e, giusto per star sereni, una partita di Plutonio di contrabbando."
Ciccio: "E che ci devi fare?"
Pancrazia: "Lavarci la tua biancheria. Non voglio lasciare niente d'intentato questa volta.
Anzi, già che ci sei, ti dispiacerebbe passarmi il lanciafiamme?"
Ormai i blog sono superati, non è vero?
No, non è vero.
Perché l'informazione e la condivisione costruttiva non potranno mai essere concetti superati.
Due esempi su tutti:
La testimonianza sincera e appassionata di Ross dalla Val di Susa. Una blogger senza fronzoli racconta quello che in tv o sui giornali non ci racconta nessuno;
State viaggiando anche voi lungo l'efficiente rete di Trenitalia?
Che culo!
Oltre a godere del comfort dei treni e dell'affabilità del personale, oggi e ripeto SOLO OGGI, potrete partecipare al gioco più pirla dell'estate!
Meglio degli spiritosissimi gavettoni contro i bagnanti inermi, molto meglio di un concorso "Miss Maglietta Bagnata" in un camping per nudisti, queste vacanze verranno ricordate per l'imperdibile: "Trova Pancrazia e mettila in imbarazzo!"
Partecipare è semplice: guardate in giro nel vostro scompartimento e cercate una ragazza dall'indomita chioma, la carnagione da vampiro anemico e lo sguardo lucido e presente del bradipo ubriaco.
L'avete trovata?
Perfetto! A questo punto avvicinatevi e, a voce alta e senza vergogna, esclamate convinti: "Ma tu sei Jane Pancrazia Cole? Ti immaginavo molto ma molto più gnocca!"
Le reazioni possibili in cui potrete incorrere sono tre:
1)La ragazza vi prenderà a borsettate;
2)La ragazza chiamerà la sicurezza;
3)La finta giovane, cercando di nascondersi sotto il sedile, bofonchierà a denti stretti "Ma come cavolo m'è venuto in mente di scrivere quel post???"
Al vincitore, oltre al piacere di non essere preso a borsettate o arrestato, andrà la soddisfazione di aver messo profondamente in imbarazzo quella burlona di Jane Pancrazia Cole.
Partecipate numerosi!
Il nonno scomparve da casa per 15 giorni.
Tornò con un tanga di pizzo in tasca ed un sorriso soddisfatto sul volto.
Li amo.
Caro PrincipeV,
questa è la prima lettera che ti scrivo.
Te la scrivo per farti gli auguri di buon compleanno ma, com'è nel mio stile, sono in ritardo. Avrei dovuto farlo prima ma testa e cuore erano troppo confusi. Sentimenti, pensieri, emozioni, ci ho messo tutti questi giorni per farci un poco d'ordine.
Quando due anni fa ho saputo che saresti arrivato, arrivato per davvero, che non eri solo un sogno o una speranza ma un puntino lontano in lento ed inesorabile avvicinamento, mi si è aperto un mondo tutto nuovo. La famiglia Cole si allargava e soprattutto si allungava. Gettava il cuore oltre l'ostacolo. Spostava i propri orizzonti un poco più in là.
Io per molti, troppi, anni sono stata la più piccola, l'ultima arrivata. Quando sono venuta al mondo c'erano già tutti: il nonno, la nonna e persino la tua mamma. Sì, tecnicamente non erano ancora entrati a far parte della famiglia il tuo papà o lo zio Ciccio ma di tutti noi, di quelli con lo stesso sangue, io ero l'ultima.
Lo stesso sangue, appunto. Due anni fa dissi a tuo zio proprio così: "Voglio bene ai miei nipotini acquisiti ma lui sarà una cosa diversa, lui sarà figlio di mia sorella, sangue del mio sangue."
Lo so che, per quello che ci riguarda, tecnicamente questa è una fesseria ma insomma quello che volevo dire era che: la vita è imprevedibile, le persone vanno e vengono, le famiglie si allargano e si restringono, gli amori finiscono e le amicizie si sfilacciano ma i bambini, che siano figli o nipoti, quelli no, quelli arrivano e restano per sempre.
Fra 5, 10, 15 o 20 anni tu ci sarai ancora ed io ci sarò. Per te. Sempre.
Per la maggior parte delle persone "aspettare un bambino" significa guardare una pancia crescere. Poi ci sono quelli come noi, quelli per cui "aspettare un bambino" significa aspettare, aspettare sul serio.
Aspettare una telefonata ed un abbinamento. E così che lo chiamano, un abbinamento. Una famiglia per un bambino. La famiglia giusta per il bambino giusto.
Prima ci sono gli psicologi, poi gli assistenti sociali, gli incontri, i gruppi di supporto. E intanto si aspetta, si spera, delle volte si ha l'impressione che basti allungare un poco di più le braccia per arrivarci e delle volte sembra che per quanto si faccia, per quanto si aspetti, per quanto si sia delle brave persone, questo bimbo non arriverà mai.
La tua mamma ed il tuo papà ti hanno aspettato tanto e noi con loro.
Quanta è stata lunga la strada e quanto sembra breve ed insignificante a ripensarci adesso. Una strada che i tuoi genitori hanno intrapreso ancora prima che tu poggiassi i tuoi piedini su questa terra. Una strada che per quasi due anni tu hai dovuto percorrere da solo. Anzi no, solo no, solo mai, perché hai avuto chi si è preso cura di te, gente per bene che ti ha aperto il proprio cuore e la propria casa e che per questo avrà per sempre la mia riconoscenza.
Tu non avrai memoria di loro ma loro di te, il bimbo forte che amava la musica.
Sei così piccolo, PrincipeV, ma hai già tante persone al mondo che ti amano e ti portano nel cuore. Non scordarlo mai.
Finalmente, una settimana fa, la tua mamma ed il tuo papà sono venuti a prenderti, hanno attraversato terre e lingue diverse, hanno macinato chilometri e perso ore di sonno. In questi giorni vi state conoscendo e amalgamando, state intrecciando i fili delle vostre esistenze, state scambiandovi baci e urla, tenerezze e capricci.
Per adesso io ho potuto vederti solo in cam ma siamo già diventati grandi amici, non è vero? Ieri, per la prima volta, hai detto "ciao zia" ed io ho scoperto cos'è l'amore, l'amore vero. Tu sei l'uomo della mia vita, zio Ciccio già lo sa e si è messo l'animo in pace, sei il piccolo di casa, sei la nuova gemma sull'albero, il fiume che arriva fino al mare, la tartaruga che corre verso l'acqua. Tu sei un miracolo ed una benedizione.
Tu sei tutte queste cose assieme e sei soprattutto mio nipote.
Nipote, mi riempio la bocca ed il cuore con questa parola e trabocco d'orgoglio perché neanche nei miei più rosei sogni tu saresti potuto essere meglio di quello che sei.
Tu sei tu.
Era te che stavamo aspettando.
Spesso in questi mesi, quando raccontavo di te la gente mi diceva "E' un bambino fortunato", ed io rispondevo "Siamo noi ad essere quelli fortunati". Ed è proprio vero. E' così. Siamo noi ad essere fortunati perché il destino ha fatto incrociare le nostre vite. Perché noi avremo l'onore di vederti crescere. Perché sei un gran testone ed un terremoto, perché quando ti arrabbi urli con una vocetta acuta che non perdona e quando ridi ti si muove tutta la pancia, perché sei uno spericolato con un sorriso dolce, perché sei un tiranno con l'animo del Re Buono. Insomma perché tu sei un normale e sano bambino di due anni.
Fra qualche settimana finalmente ci incontreremo, intanto io continuo ad aspettarti. Sono qua per te e ci sarò per sempre perché tu sei mio nipote, sangue del mio sangue.
Tanti auguri PrincipeV,
tua zia Jane,
anzi no, tua zia Rò.
L'avevate capito che amo darmi un tono da grande pensatrice ma in fondo sono ignorante ed intellettualmente pigra. L'avevate capito che faccio la sofisticata ma in realtà sono di gusti semplici e molto nazionalpopolari. L'avevate capito che dietro questa scorza di donna tutta d'un pezzo si nasconde una mollacciona. L'avevate capito che ho un cuore tenero. E soprattutto l'avevate già capito che di musica io non c'ho mai capito una mazza. No?
Non l'avevate capito?
Vorrà dire che lo capirete ora.
Ora che dovrete finalmente aprire gli occhi e guardare coraggiosamente in faccia la realtà. Ora che non potrete più nascondervi dietro l'affetto che provate per me. Ora che è giunto il momento che anche voi sappiate, amici miei.
Che sappiate ciò che ho cercato di celare agli occhi di tutti, ciò che ho nascosto persino a me stessa. La mia gioia e la mia vergogna.
Ebbene sì.
Mi piace.
Mi piace tanto.
Non riesco più a farne a meno.
Mi esalta. Mi commuove. Mi smuove l'anima. Mi alleggerisce la testa e riempe il cuore. Mi fa agitare il sedere ed alzare le braccia. Mi tarantola i piedi ed elettrizza i riccioli.
Io, Jane Pancrazia Cole, quando ascolto l'ultima canzone di Jovanotti butto alle ortiche dignità e buon gusto e mi esalto come l'ultima delle romantiche quattordicenni sprovvedute.
Mi piace il ritmo, mi piace l'energia, mi piace l'idea "che attraversiamo il fuoco con un ghiacciolo in mano", mi piace persino la voce inadeguata e la zeppola dell'eterno Lorenzo.
Amici miei, vi chiedo aiuto.
Lo chiedo soprattutto a voi, Alligatore, Marco ed Alessia, gente che di musica ci capisce sul serio. Ma lo chiedo anche a tutti gli altri, che mi vogliono bene, che mi leggono con pazienza e simpatia.
Mettetevi una mano sulla coscienza e aiutatemi. Fatemi uscire dal tunnel. Consigliatemi qualcosa di più dignitoso d'ascoltare quest'estate. Qualcosa che mi faccia tornare sulla retta via. Che mi esalti. Che mi commuova. Che mi smuova l'anima. Che mi alleggerisca la testa e mi riempia il cuore. Che mi faccia agitare il sedere ed alzare le braccia. Che mi tarantoli i piedi ed elettrizzi i riccioli.
Niente di più, niente di meno.
Ariecchime, sono di nuovo qua.
Lo so cosa state pensando: "A questa le dai una mano e si prende tutto il braccio"
"Ha scoperto il fascino dei riflettori e ora non ce ne liberiamo più"
"Il prossimo anno, minimo minimo, ce la troviamo all'isola dei famosi, 'sta fanatica!"
E invece no!
Razza di carogne malfidate!
La mia presenza qua è giustificata. Giustificatissima.
E' vero che avrei potuto usare il mio spazietto, la mia cuccia, la mia bellissima colonna laterale ma questo è un argomento importante, non volevo vi sfuggisse e quindi ho scelto di invadere nuovamente il centro della scena.
Non temete non sarà un'abitudine: supereroe ed alter ego devono condurre, per definizione, vite separate ma in alcuni rari, rarissimi casi è giusto fare delle eccezioni.
"Delitto perfetto", dissero dallo schermo.
"Otro, por favor!" disse lei.
Alzò il bicchiere e brindò a se stessa.
Batman, smesse le orecchie a punta e tirata indietro la pancetta, diventa quel gran pezzo di Bruce Wayne. Fascinoso miliardario perennemente in smoking che, con la scusa delle pubbliche relazioni, organizza un party diverso ogni sera, costringendo l'anziano maggiordomo sottopagato a lavorare fino a tardi ramazzando da terra le briciole dei salatini e buttando nell'umido il caviale avanzato.
Superman, pettinato indietro il tirabaci e riposti nel comò gli immancabili mutandoni rossi di flanella, torna ad essere Clark Kent, giornalista imbranato e disperatamente invaghito dell'odiosa gallina che risponde al nome di Lois Lane. Un'ingrata che tratta lui come una pezza da piedi ma che, nel frattempo, sogna di essere selvaggiamente e ripetutamente posseduta dal supereroe in tutina blu. A dimostrare chiaramente che la gatta morta, oltre ad essere simpatica come la peste bubbonica, ha il Q.I. di un cocomero: si vede lontano un chilometro che quei due sono la stessa persona! Svegliaaaa!!!
Spiderman, sceso dai grattaceli e smesso di limonare duro e alla rovescia con la sciacquetta rossocrinita del suo cuore, prende la macchina fotografica e rimette i panni di Peter Parker, reporter freelance e professore di scienze precario. In pratica uno di noi, che se becca quello spocchioso brevilineo di Brunetta gli fa il culo a strisce!
Jane Pancrazia Cole, superblogger supergnocca dalla penna arguta e la vivace ironia, sfilato il costumino schiacciaciccia ed il mantello ricoperto di paillettes, assume in rete le anonime sembianze di Rossana R. Non una miliardaria in abito da sera. Non una giornalista. E neanche un fotografo d'assalto. Ma una semplice articolista che, invece di parlare delle proprie sfighe o del bolso fidanzato che non la vuole sposare, discetta di argomenti serissimi e persino utili.
D'ora in poi, per seguire le gesta della seriosa Rossana R. vi basterà dare un'occhiata alla colonna di destra.