Il terzo giorno di permanenza a Berlino mi recai allo studentato per prendere possesso della mia stanzetta.
La mia idea di "casa per studenti" era stata distorta da tutta la filmografia americana di cui mi ero nutrita fino a quel momento.
Schlachtensee, questo era il nome dello studentato, era completamente diverso da come me l'aspettassi.Una quantità di piccoli edifici, alti al massimo tre piani, sparsi in una via di mezzo tra un boschetto ben tenuto e un parco abbandonato. Vi erano una segreteria, un pub, una macchinetta che distribuiva preservativi e gli alloggi di noi studenti.
Si trovava in una zona residenziale della città, distante km e km da qualsiasi forma di svago. Vicino vi erano solo condomini e villette: la morte sociale!
Dimenticavo: eravamo solo stranieri! I tedeschi se la spassavano in centro, mentre noi eravamo stati ammassati in periferia.Io ero stata assegnata all'Haus 17 (cominciamo bene!). L'iter era il seguente: le segretarie ti facevano firmare il contratto d'affitto, ti assegnavano una stanza, ti dotavano di cartina e poi iniziava la caccia al tesoro. Detto così sembra semplice, peccato che le indicazioni per l'alloggio non fossero del tipo casa 17, secondo piano, interno 3, nooooooooo...ti veniva dato un codice infinito di cifre, con il quale sarebbe stato più semplice aprire il caveau di una banca in Svizzera piuttosto che trovare la propria camera!
Dotata del senso di orientamento di un novantenne malato di Alzheimer, riuscì miracolosamente a trovare la mia Haus. All'ingresso fui intercettata da un ragazzone keniano, alto due metri e largo quanto un armadio che, notando la mia aria smarrita da "leprotto accecato dai fari di un auto", si mise il mio zaino sulle spalle e letto il mio codice mi scortò in un batter d'occhio davanti alla mia porta.
L'arredamento era costituito da una scrivania, un armadio, un letto ed una libreria in precario equilibrio sul davanzale. Ero finalmente a casa!
La prima, di una serie infinita di persone incredibili che conobbi a Schlachtensee, fu Lola "aus Madrid". La ragazza che occupava la stanza accanto alla mia.
Non riuscirò mai a dimenticare i nostri primi cinque minuti di conversazione. Ci incrociammo sul ballatoio, entrambe appena arrivate e quindi desiderose di fare amicizia, e lei iniziò a parlare, parlare, parlare e parlare.
Io non capivo nulla, anzi non capivo neanche quale assurdo idioma stesse usando. Dall'accento era indiscutibilmente spagnola, ma la lingua con la quale si rivolgeva a me, sembrava tutto tranne che latina. Cercai di cogliere disperatamente qualche parola, non mi sembrava inglese, ma, per quanto lo parlassi poco, non mi sembrava neanche lontanamente tedesco.
E invece no,mi sbagliavo, era proprio l'"odioso idioma crucco" (copyright di Eli)!
Lola parlava probabilmente il miglior tedesco di tutto lo studentato, all'esame scritto di lingua dell'università ricevette anche i complimenti della commissione, ma c'era solo un piccolo problema: usava lo stesso ritmo e lo stesso accento dello spagnolo, col risultato che, di primo acchito, non ci si capisse proprio nulla.
Per iscritto sembrava Goethe, ma a voce assomigliava di più a Raffaella Carrà quando vuole fare la poliglotta.
Lola ed io, dopo essere riuscita faticosamente a comunicare, ci lanciammo nell'esplorazione degli spazi comuni. Per ogni piano gli studenti avevano a disposizione cucina, bagni e docce rigorosamente misti (unisex).
La cucina era inimmaginabile, sembrava uscita da uno di quei film sui sopravvissuti ai disastri atomici. Sporcizia ovunque, piatti sporchi appoggiati su ogni superficie utile, un dito di unto anche sulle pareti, pentole e padelle con resti di cibo accatastate davanti alla finestra.
Dopo un tale spettacolo io andai al supermercato a fare la spesa (è proprio vero che ci si adatta a tutto) e la mia nuova amica spagnola si chiuse nella sua stanzetta, probabilmente a piangere.
Tornata allo studentato incrociai Marco, un ragazzo di Bolzano, che cercava Simone...
"Hai visto Simone?"
"Chi?"
"Simone, quello di Genova, abita qua al terzo piano"
"No, non so chi sia, perché?"
"E' arrivato dall'Italia in macchina, ha portato tutto: stoviglie, parmigiano, caffè. Cenerò con lui"
Lo so cosa state pensando: che tristezza, giovani italiani all'estero che si comportano come gli emigranti degli anni '60 e si mettono in gruppo a mangiare spaghetti. E la globalizzazione?L'Europa unita?
Avete perfettamente ragione, ma...
"Mi posso autoinvitare?"
"Certo, più siamo meglio è"
La mia prima cena allo studentato Schlachtensee di Berlino consistette in un piatto di spaghetti burro e parmigiano, in compagnia di Marco di Bolzano, Simone di Genova e Anna di Venezia.
La globalizzazione poteva attendere!
Continua...Erasmus (2.Wilkommen in Berlin)