Franchino e Dora si sono incontrati per la prima volta poche settimane fa, per caso, in un caffè. Lui era da solo e lei con le sue amiche. Lui ha sorriso, lei è arrossita e da quel momento non si sono più lasciati.
Hanno passeggiato, ballato, cantato. Letto poesie, raccontato sogni e condiviso progetti. I loro cuori si sono conosciuti e le loro anime si sono affiatate.
Un giorno Franchino, tutto rosso, ha trovato il coraggio di intavolare un discorso che tanto gli premeva. "A me piacerebbe proprio, e a te?", le ha chiesto alla fine timidamente.
"Anche a me, Franchino, anche a me", ha risposto lei, con la voce che tremava per l'emozione e gli occhi che le brillavano d'eccitazione.
Spaventati ma curiosi, hanno scelto di non prestare orecchio a coloro che cercavano di dissuaderli: "Ma siete sicuri?", "Avete preso tutte le precauzioni necessarie?", "Vi sentite pronti?".
Al diavolo i dubbi e le paure, hanno prenotato una bellissima stanza d'albergo con un letto enorme, il camino e tanti fiori profumati.
Sono saliti con il torpedone su su fino al cucuzzolo. E poi giù per le piste con l'aria fredda che taglia la faccia ed il sole che riempie di gioia.
Franchino e Dora hanno sciato per la prima volta. E l'hanno fatto assieme.
Lei ha settantacinque anni, lui ottanta. E non si sono mai sentiti così vivi.
Nei prossimi 365 giorni ricordatevi che: le scelte più sagge non sono necessariamente le migliori, bisogna saper rischiare, e non è mai troppo tardi.
Solo voi potete sapere cosa vi rende davvero felici, non lasciate che sia qualcun altro a scegliere al vostro posto.
Ce lo dovremmo ricordare tutti.
Ehi tu, Grandissimo Cornuto!
Sì, è inutile che fai lo gnorri, sto parlando proprio con te.
Con te che ti sei fregato tutti gli addobbi natalizi attaccati alle porte del condominio: angeli, ghirlande, campanelle e chi più ne ha più ne metta.
L'avrai fatto per scherzo, per scommessa, per gioco o solo perché sei un pirla. Non lo so e non lo voglio sapere.
Ma sappi che certi ricordi fanno parte della storia di una famiglia e portarseli via è un gesto da uomo piccolo piccolo. E non fa ridere. A me non fa ridere per niente.
Caro Stratosferico Cornuto,
purtroppo sono troppo Signora per dirti davvero cosa penso di te e quindi lascio la parola ad un Maestro.
Prego, Alex, a te...
Ecco, ora mi sento un pochino meglio.
Chi ben comincia.
Fa freddo. Fa freddissimo. Non credo di aver mai avuto così tanto freddo in vita mia. Ed il fatto che io sia nato solo da qualche ora non significa nulla.
Mi sarebbe potuto toccare il grande palazzo di un signore o almeno la casetta di fango di un pastore. Ed invece no: una mangiatoia. Una cavolo di mangiatoia. Ma ditemi voi se questa non è sfiga!
Il Grande Capo, quello uno e trino per intenderci, mi aveva avvertito: "Non avrai una vita facile, figliolo, soprattutto sul finale. Ma non voglio anticiparti niente. Non voglio rovinarti la sorpresa."
L'inizio è in una mangiatoia, tra un bue ed un asinello che puzzano come due carogne, il finale non potrà essere peggio. Quel vecchio burlone stava scherzando.
Sì, stava sicuramente scherzando.
Buon Natale a tutti voi, miei cari amichetti lettori.
Con questo piccolo racconto vi faccio degli auguri poco sdolcinati ed ortodossi, ma sinceri e di cuore.
Grazie a tutti per l'affetto e la costanza con cui seguite i miei deliri.
Amovi, amovi tanto!
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che per la tua officina scegliesti un giallo psichedelico, talmente forte che i primi tempi ci volevano gli occhiali da saldatore per non rimanere abbagliati.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che con il tuo elaboratore, tutto lucine e bottoncini, scopristi che non ero io ad essere irrimediabilmente imbranata, ma la mia storica Peugeottina ad essere anarchica ed in tilt peggio d'un flipper.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che ti sei pagato almeno un paio di viaggi ai Caraibi con tutti i soldi che hai sfilato alla famiglia Cole, approfittando del suo precario, abusato e trascurato parco macchine.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che quest'anno come regalo di Natale per i tuoi clienti hai evitato la solita triste agenda, l'orrido calendario o l'inutile penna ed hai scelto un romanzo giallo. Giallo proprio come la tua officina.
Ode a te Elettrauto di fiducia,
a te che con questa ultima semplice mossa ti sei guadagnato la mia stima ed il mio amore incondizionati.
Io, fino a poche settimane fa, lo ignoravo.
Sono una capra.
Lo so da me.
Non è il caso che infieriate.
W. Szymborska è una poetessa polacca, anzi è La Poetessa Polacca.
Una donnina dalle spalle ossute e l'aria furba che nel 1996 si è portata a casa il Nobel per la Letteratura e che con le sue raccolte vende quasi quanto un romanziere.
Nei suoi scritti emergono un' ironia ed una lucidità di pensiero rari.
Le sue poesie sono racconti brevi ed intensi che io ho amato dal primo incontro.
Scoprire un libro, una poesia, uno scrittore o un poeta che ci emozionano è sempre un evento speciale. In quel momento si sorride per la consapevolezza di avere un amore in più a scaldarci il cuore ed aprirci la mente. È pura gioia.
Vi lascio con un delizioso esempio del talento della signora Wisława Szymborska.
Consolazione
Darwin.
Si dice che per rilassarsi leggesse romanzi.
Ma avesse le sue esigenze:
dovevano essere a lieto fine.
Se gliene capitava uno differente,
lo gettava con furia nel fuoco.
Vero o no che sia-
sono propensa a crederci.
Percorrendo con la mente tanti spazi e tempi
aveva visto così tante specie estinte,
tali trionfi dei forti sui più deboli,
così grandi sforzi di sopravvivenza,
prima o poi inani,
che almeno dalla finzione
e dalla sua microscala
aveva diritto di aspettarsi l'happy end.
E quindi per forza: un raggio che sbuca
dalle nuvole,
gli amanti di nuovo insieme, i casati
riconciliati,
i dubbi dissipati, la fedeltà premiata,
i beni recuperati, i tesori dissotterati,
i vicini pentiti del loro accanimento,
la reputazione resa, la cupidigia smascherata,
le vecchie zitelle maritate con pastori
dabbene,
gli intriganti deportati nell'altro emisfero,
i falsari di documenti scaraventati dalle scale,
i seduttori di vergini di gran corsa all'altare,
gli orfani accolti in casa, le vedove consolate,
la boria umiliata, le ferite sanate,
il figliol prodigo invitato alla mensa,
il calice dell'amarezza vuotato in mare,
i fazzoletti intrisi di lacrime pacificate,
canto e musica per tutti,
e il cagnolino Fido,
smarrito già nel primo capitolo,
corra pure di nuovo per la casa
abbaiando gioioso.
Cari lettori,
oggi vi propongo un esperimento che mai nessuno, prima di me, ha tentato sul web.
Uniremo le menti, congiungeremo le anime ed apriremo i chakra.
Seguendo le mie semplici indicazioni raggiungeremo un nuovo livello di consapevolezza e conoscenza.
Siete pronti per iniziare?
Prima di tutto cercate di isolarvi dal mondo che vi circonda, se siete in ufficio ignorate le chiacchiere dei colleghi, se siete in biblioteca escludete dai vostri sensi il compagno di corso che tenta di broccolarvi, se siete a casa narcotizzate il pupo o rifilatelo per 5 minuti alla vicina di casa.
Del resto ciò che vi chiedo è proprio questo: 5 minuscoli, insignificanti, miserrimi minuti.
Ora che siete concentrati solo su questa pagina iniziate a porre attenzione alla respirazione.
Inspirate lentamente con il naso fino a raggiungere la pienezza dei vostri polmoni.
Espirate lentamente dalla bocca fino a svuotarli.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Ecco, i nostri spiriti si sono ormai sincronizzati, ogni angolo della blogosfera risuona della medesima melodia, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia voi, Cole Lettori, state respirando come un unico organismo.
Tutto ciò non è meraviglioso?
Sì, lo è.
Ma procediamo con la seconda parte dell'esercizio.
Continuando a respirare regolarmente, provate a visualizzarvi come se vi vedeste dall'esterno.
Riuscite a riconoscervi?
Sì, siete proprio voi.
Vestiti di luce e circondati dall'armonia celeste.
Avvolti intorno al vostro centro ed immersi nella sfera dell'equilibrio.
Voi fate parte del tutto ed il tutto fa parte di voi.
State andando benissimo ed ora vi chiedo solo un ultimo sforzo.
Visualizzate le vostre mani. Quella destra stringe qualcosa. Qualcosa che vi accompagna da tempo. Qualcosa che avete ottenuto con sudore ed impegno. Qualcosa che vi ha aperto nuove strade e guidato lungo innumerevoli percorsi.
Sì, è proprio lei.
Piccola e rosa.
La vostra patente.
La vedete? E' ben a fuoco? Perfetto.
Rimanete concentrati su questa immagine, non lasciatevela sfuggire.
Inspirate.
Espirate.
Inspirate.
Espirate.
Cercate la forza dentro di voi, sentite il battito del vostro cuore, seguite lo scorrere del vostro sangue e rispondete a questa semplice domanda: Quando scade?
Vuoto?
Buio?
Confusione?
Tranquilli, è normale.
Chiudete l'occhio interiore ed aprite per bene quelli esteriori.
Svuotate il portafoglio, ribaltate la borsa, non c'è tempo da perdere, correte subito a dare un'occhiata.
Perché?
Perché quella fetente scade ogni dieci anni, un periodo talmente lungo che ci vuole poco a far finire l'incombenza "rinnovo" nel dimenticatoio. E se non si degna di avvertirvi neanche il comune, la regione, la motorizzazione o chi per essi, potreste ritrovarvi nell'incresciosa situazione di girare per mesi(!) con il documento scaduto senza rendervene conto. Il che non è bello. No. No.
Non che a me sia mai successa una cosa del genere. Figurarsi!
Io, come ben sapete, sono la regina dell'organizzazione e della precisione.
Parlo così, in generale.
A CasaCole c'è un solo ed unico Mega Responsabile Supremo dell'albero di Natale: l'illustre Jane Pancrazia.
Ella si è guadagnata la prestigiosa carica direttamente sul campo, grazie alla dedizione alla causa, l'indubbio talento e lo sbaragliamento della concorrenza.
Jane ha dedicato anni, tra mercatini e negozietti, alla raccolta di meravigliosi addobbi. Ogni dicembre, tra slanci di creatività e sfoggio di buongusto, ha dato vita alla "propria creatura" ed ogni gennaio, con raziocinio e praticità, ha smontato l'opera, inscatolato con ordine ed affidato il tutto alle capaci(?) mani di PapàCole. Il cui unico compito è sempre stato quello di riportare l'intero natalizio ambaradan in cantina.
L'oliato meccanismo non ha mai presentato falle.
Mai.
Fino a quest'anno.
Ieri Jane ha realizzato con sorpresa ed orrore che, dove avrebbero dovuto esserci palle, palline e babbacetti vari, erano presenti solo vecchie cianfrusaglie e scatole vuote. La stessa paccottiglia che il di lei genitore avrebbe dovuto buttare undici mesi fa.
Dopo ventiquattro ore di ricerche in ogni dove, gli addobbi accumulati negli anni con amore e cura non sono ancora stati rinvenuti.
Gli scenari possibili che potrebbero spiegare lo strano fenomeno sono solo due.
O una banda di malfattori, specializzata in furto di addobbi e lucette, si è introdotta nella ColeCantina e, senza lasciare traccia alcuna, è scappata con il mal tolto per poi rivenderlo al fiorente(?) mercato natalizio di seconda mano.
Oppure quel rimbambito di PapàCole ha buttato ciò che avrebbe dovuto conservare ed ha conservato ciò che avrebbe dovuto buttare.
MammaCole, probabilmente per evitare una rissa in famiglia, propende per la prima ipotesi.
Jane ovviamente per la seconda.
Ricordatelo così...
Può capitare di farsi un giro in una libreria qualunque, in un giorno qualunque ed imbattersi in un libro qualunque, per poi scoprire con goduriosa soddisfazione che in quelle pagine non vi è raccontata una storia qualunque. Affatto. Dietro una copertina rassicurante ed un titolo sufficientemente accattivante è celata la storia di un uomo e di un popolo.
"Un perfetto gentiluomo" è l'opera prima della talentuosa Natasha Solomons. Che, ispirandosi ai propri nonni, narra le tragicomiche vicende di un rifugiato ebreo, scappato dalla Germania nazista per ricostruirsi una vita in Inghilterra.
Il cocciuto Jack Rosenblum spenderà l'intera esistenza nel disperato e folle tentativo di diventare "Il Perfetto Gentiluomo Inglese", a scapito delle proprie ingombranti origini e del proprio doloroso passato.
Un progetto tanto ambizioso quanto infantile.
Un personaggio tanto irritante quanto tenero.
Una storia tanto antica quanto attuale.
Con divertimento e leggerezza l'autrice affronta temi importanti quali l'identità, il senso di colpa dei sopravvissuti e la ricerca di un equilibrio tra l'integrazione e il legittimo desiderio di non tradire o dimenticare le proprie radici.
Ricerca che caratterizza l'esistenza di tutti gli immigrati che ancora oggi, per paura, necessità o ambizione, mollano tutto e si ricostruiscono un'esistenza in Europa, tra gente estranea e spesso ostile che tende ad interpretare ogni diversità come una sfida od una mancanza di rispetto.
Un libro che si fa leggere tutto d'un fiato con un sorriso dolce sulle labbra ed una nuova consapevolezza nella testa e nel cuore.
Consigliatissimo.
Oggi ho spiccato il volo.
Non so come ciò sia potuto accadere.
Un secondo prima stavo salendo sul marciapiede. Un secondo dopo ero nel bel mezzo di una spettacolare parabola aerea, terminata con il mio corpo inerme spatasciato al suolo ed il mio adorabile visino a due centimetri da un muro antico, solido e potenzialmente molto molto cattivo.
Non mi esibivo in una caduta tanto catastrofica da quand'ero una bimba. Epoca in cui, imbranata e scoordinata, mi scorticavo le ginocchia due volte al giorno.
A quei tempi però c'era almeno la possibilità di farsi un bel pianto e chiamare la mamma. Ma a trentatré anni no.
Alla mia età certe debolezze uno non se le può più permettere. E quindi mi sono rialzata, ho raccolto le mie cose ed ho ricacciato indietro le lacrime.
Mi sono allontanata dal luogo del delitto zoppicante e dignitosa.
Ma dentro di me frignavo, eccome se frignavo!
I vestiti paiettati scivolano languidi e sensuali sui manichini rachitici e scoliotici della boutique.
Nessun corpo vero di donna sarebbe in grado di indossarli, non sono fatti per contenere fianchi femminili o un accenno di timido seno. Possono vestire solo una dodicenne androgina, con i fianchi stretti, niente vita e due prugne secche al posto delle tette.
Grimilde si specchia nella vetrina, conta le rughe intorno agli occhi e controlla il turgore delle labbra.
L'immagine restituita dal vetro non le piace, troppo stanca e anonima. Sta velocemente sfiorendo, ormai non è più una ragazzina: ha già 27 anni suonati. Praticamente una vecchia.
Neanche la bocca all'Angelina, regalatele dalla mamma per il suo compleanno, è sufficiente a migliorare l'insieme.
Neanche la crema anti età presa di contrabbando su internet, fatta con il grasso di foca, gli incisivi di panda ed il sangue di vergine, sembra bastare più.
Neanche il naso rifatto con i primi stipendi la convince. Forse dovrebbe operarsi un'altra volta. Pacchetto completo, naso e zigomi, magari da quel chirurgo famoso che va sempre in tv.
I corridoi del centro commerciale sono pieni di ragazzine. Grimilde se le vede passare accanto, chiassose ed allegre, tutte uguali con i loro caschetti lucidi e le bocche a cuore. Non hanno neanche quindici anni ma gli uomini le guardano rapiti con la pupilla dilatata ed il battito accelerato. Le ammirano, le desiderano, le inseguono.
Lei odia la loro pelle tonica, i loro seni alti ed i fianchi stretti.
Farebbe qualsiasi cosa per poter essere di nuovo così giovane e fresca, ingoierebbe qualsiasi pillola, snifferebbe qualsiasi polvere, berrebbe qualsiasi pozione.
Oppure, se potesse, cancellerebbe tutte queste lolite dalla faccia della terra. Una ad una. Le irretirebbe con frutti deliziosi e poi, carpitane la fiducia, strapperebbe loro il cuore per custodirlo in decine, centinaia, migliaia di scrigni preziosi, nascosti accuratamente nella sua immensa cabina armadio. E allora, solo allora, Grimilde potrebbe tornare a sentirsi "la più bella del reame".
Peccato che tutto ciò sia solo un dolce sogno, bello come una favola ma altrettanto irraggiungibile.
Per consolarsi e cercare di risollevare lo spirito, la nostra ventisettenne, mai abbastanza giovane e bella, non può far altro che dedicare il week end esclusivamente a se stessa ed al proprio benessere.
Quarantotto ore tra pilates, spinning, hamman, scrub, ricostruzione unghie, trucco permanente e botulino.
Ma, prima di ogni altra cosa, deve fare la sua purga giornaliera.
Grimilde, purtroppo, non è mai stata capace di vomitare a comando. E quindi si arrangia come può.
Fine.
Nota dell'Autrice (ossia me).
Sono stata un po' di tempo senza scrivere nel blog e devo avere perso il "tocco". Sigh.
Dai primi commenti a questo post era evidente che il racconto pubblicato all'ora di pranzo non fosse chiarissimo e quindi l'ho modificato, leggermente ampliato e ripubblicato stasera.
Spero che ora sia più chiaro.
Ora scusatemi, ma vado in un angolino a piangere con la colonna sonora dell' "Incompreso" di sottofondo. Sob.
"Il governo di Berlusconi dà nuovi fondi per le scuole private e cattoliche, in cambio ha un bonus per altri tre scandali e bestemmia libera fino al 2012."
Corrado Guzzanti, dalla puntata di "Vieni via con me" del 22 novembre 2010.
Non so da cosa dipenda.
Forse dai miei trascorsi germanici, che me lo fanno sentire piacevolmente famigliare.
O forse dalla privazione di caffeina, che sta alterando la mia capacità di giudizio.
Oppure semplicemente dal fatto che io sia già normalmente sciroccata di mio.
Fatto sta che ogni volta che vedo la pubblicità dell'Eni mi torna il buonumore e quando lo scienziato teutonico chiosa con "UNO cane" mi metto a ridere.
Di gusto.
Tutte le volte.
Ma proprio tutte.
Tutte tutte. Anche adesso che ormai avrò già visto lo spot dieci volte.
Per favore, fatemi sentire meno strana, rassicuratemi circa il mio equilibrio psichico, ditemi che succede lo stesso anche a voi.
Mentite pure se è necessario.
Dalla mia vita sono usciti: caffè, latte e derivati, cioccolato, salumi, aceto, agrumi, insalata e tutti gli alimenti lievitati.
Ma, in compenso, hanno fatto il loro tronfio ed orgoglioso ingresso: l'orrido caffè d'orzo e l'inconsistente latte di soya.
La cosa più dolorosa da sopportare è la consapevolezza che la mia adorata colazione non sarà più la stessa. Sob.
Ora che ho superato lo shock iniziale quasi quasi mi rimetto a scrivere sul blog. Così non ci penso. Arisob.
I diamanti riposano beati nel loro letto di velluto rosso.
Il signor Pino, gioielliere da tre generazioni, li guarda con amore.
Oggi gli ci è voluta quasi un'ora, ma con una pezzettina e tanto olio di gomito, è riuscito finalmente a cancellare tutte le macchie che l'inzozzavano.
Da quando quello scioperato di suo nipote gli ha fatto la predica sui "Signori della guerra, i bambini soldato ed il traffico di armi" al povero Pino sembra sempre che quelle pietre, che ama da tutta una vita, siano diventate opache e luride, sporche di terra e sangue.
I suoi figlioli, come li chiama lui con paterno amore, non brillano più come prima.
E così ogni sera, giunto l'orario di chiusura, si mette a strofinare e lucidare, per cancellare macchie e memoria, sangue e colpa.
Il sito ufficiale di Emergency.
Per saperne di più sulla Sierra Leone, i diamanti e la guerra vi consiglio RisoNero.
CuginaFinalmenteSposa (già CuginaPrestoSposa) piega le ginocchia, stende il braccio e, con un deciso scatto all'indietro, lancia il bouquet che si va a schiantare contro il soffitto per poi precipitare, mesto ed ammaccato, al suolo.
Le zitelle, traendo un sospiro di sollievo, cercano di svignarsela, "Non era destino", "Peccato", "Sarà per la prossima volta", "Andiamo a sederci", "Io vado. Ciao ciao"
"Ferme!!!", le blocca perentoria la cantante, animatrice, presentatrice, dittatrice del ricevimento.
Gli stagionati "fiori non ancora colti" (così la simpatica NaziCantante le apostrofa) si trovano costretti a riprendere mestamente posizione alle spalle della sposa. Hanno lo sguardo torvo e l'espressione inequivocabile di chi vorrebbe essere altrove oppure convolare a giuste nozze solo per potersi finalmente risparmiare questo imbarazzante teatrino.
CuginaFinalmenteSposa ci riprova, si flette in avanti e poi scaraventa all'indietro i fiori, che schizzano veloci ed inevitabili come proiettili.
Jane vorrebbe fare la gnorri, ma il missile floreale si dirige dritto dritto sopra la sua testa.
Il neurone numero 1 (detto NonMiSposoPerScelta), che detesta queste barbare tradizioni, intima: "Tieni le braccia giù! Guai a te se le alzi!"
Il neurone numero 2 (noto come MaSceltaDiChi?) più romantico e zuzzurellone, ribatte: "Eddai, quante storie! E' solo un gioco: acchiappalo!"
1:"Ferma! Ti mozzo le mani se ci provi!"
2:"Non fare la guasta feste: provaci!"
1:"No!"
2:"Si!"
1:"Nooo!"
2:"Siii!"
Alla fine Jane, confusa e scoordinata, alza le braccia al rallentatore e afferra il...
...vuoto.
Il bouquet, dopo esserle passato tra le mani, finisce nuovamente a terra, diventando ormai l'ombra di se stesso.
Le zitelle si guardano tra di loro con orrore, chiedendosi quando avrà fine tutto ciò.
La maestra di cerimonia, strillando come un'ossessa, sentenzia: "Era suo! L'ha preso lei! Ha fatto la furba, non ha voluto afferrarlo, ma era destinato a lei!"
Quindi, ad insindacabile giudizio di CuginaFinalmenteSposa e NaziCantante, lo straccetto vegetale viene assegnato a Jane, nonostante lei continui a ripetere inascoltata: "Ma che furba e furba! Il problema è che ho la coordinazione occhio-mano di un novantenne rimbambito! Non l'ho mica fatto apposta, non ho preso un bel niente! Non è mio!"
Nessuno le dà retta ed il rituale circo si celebra tra foto, auguri e promesse estorte con la forza a Ciccio che, per togliersi d'impaccio, biascica un vago: "Provvederò"
Ma, quando rimane solo con la propria metà, commenta lapidario: "Così non vale: ti hanno assegnato il bouquet a tavolino. Come gli scudetti dell'Inter."
Stavolta neurone1 e neurone2 si trovano subito d'accordo e ribattono pronti: "Tesoro mio, interista dei miei stivali, è inutile che accampi scuse. Se valgono gli scudetti dell'Inter, vale pure il mio bouquet. Con tutte le conseguenze del caso!"
Ciccio non può far altro che tacere.
SorellaCole, romantica e sdolcinata, organizzò un incontro casalingo tra amiche. La serata culminò nell'esposizione della tormentata ma inarrestabile nascita dell'amore tra i futuri sposi Cole. Racconto seguito da una folla in deliquio, tra discreti occhi lucidi, sonore soffiate di naso e assunzione compulsiva di salatini e dolcetti.
LAmicaS, gaudente e golosa, ci portò in un ristorante romano dove, dopo i bucatini all'amatriciana, la coda alla vaccinara ed il vino dei castelli, finimmo a ballare e cantare stornelli sui tavoli, con tacco 10, minigonna ed un tasso alcolemico estremamente euforizzante.
CuginaPrestoSposa, ossessionata dal controllo, timida e riservata, ha espresso il desiderio di una serata tranquilla, in un locale tranquillo, tra gente tranquilla, bandendo aprioristicamente qualsiasi forma di cialtrona e goliardica presa in giro.
Jane, incasinata, sconclusionata, delirante ma lungimirante, nella remota e fantascientifica ipotesi che prima o poi convoli a giuste nozze, ha già avvertito amiche e parentado di desiderare un addio al nubilato chiassoso e di cattivo gusto con l'irrinunciabile presenza di spogliarellisti (s)vestiti da giocatori di rugby o Highlander.
C'è qualcosa di sbagliato in lei?
Ci si può imbattere in gioiellini come questo, segnalato dal bravissimo Pol.
Fin quando ci saranno in giro cervelli capaci di curiosità, ironia e creatività, ci sarà speranza per tutti.
Si sta avvicinando a grandi passi il Momento.
Quale?
Come quale?
Ma è ovvio!
Il Momento in cui lo studente Erasmus medio, in partenza per il primo semestre, prende coscienza del fatto che dovrà prepararsi dei bagagli contenenti il necessario per almeno 6, e dico 6, e ribadisco 6, mesi all'estero.
Se lo studente è maschio l'impresa risulta difficile, ma se lo studente è femmina (e dunque studentessa) l'impresa assume dei contorni titanici.
Ma Jane vostra, che vi vuole bene e sa che questa arancione paginetta è spesso meta di Erasmi in cerca di aiuto, ha deciso di venirvi incontro e di condividere con voi la propria esperienza, fornendovi in questo modo qualche indicazione di massima.
Tutto ciò perché?
Ma che domande?
Non è evidente?
Perché lei vi ama, giovani ventenni in partenza.
Perché lei vi è affezionata quanto una sorella, vabbè diciamo quanto una zia. Una zia ancora giovane e piacente, però!
E soprattutto perché questo vecchio post Jane ce l'ha sul groppone da una vita ed ora ha deciso di liberarsene. Ecco.
Chiunque abbia fatto l’Erasmus lo sa: fare stare nei canonici 20 kg di bagagli lo stretto indispensabile per sei mesi all’estero è un’impresa che richiede nervi saldi, creatività, elasticità mentale ed una certa dose di lucida follia.
In primo luogo bisogna selezionare. Decidere cosa è davvero utile e insostituibile e cosa no. Le scarpe preferite? Impossibile rinunciarvi. La tinta per rimanere fintamente e sfacciatamente bionda? Più importante delle aspirine. Il top da panterona? Mai senza. La moca e il parmigiano? Certo. Sarà patetico ma ognuno ha pur diritto alle proprie perversioni.
Il secondo passo consiste nell’ armarsi di santa pazienza e procedere al riempimento della valigia con la stessa precisione che richiederebbe un’opera ingegneristica. Nulla può essere lasciato al caso, tutto deve essere incastrato al millimetro e pesato fino all’ultimo etto: bisogna piegare ed arrotolare, mettere i capi pesanti sotto e quelli più leggeri sopra, infilare i calzini dentro le scarpe e disporre ciò che avanza come un florilegio ad ornare il tutto e soprattutto ad occupare gli spazi morti.
E quando alla fine, inevitabilmente, nonostante le rinunce e i calcoli, qualcosa sembra destinato a non trovare posto, rimane l’ultima possibilità, la risorsa estrema, l’uscita d’emergenza.
Lo si indossa durante il viaggio.
Il piumino a settembre? Quattro paia di mutande? Bracciali, collanine ed anelli? Si. Si. Si.
Fino ad assomigliare all’omino Michelin bardato come la Madonna di Pompei? Certo, perché no?
Se si ha l’opportunità di vivere un’avventura fantastica come sei mesi all’estero si deve pur essere disposti a rinunciare a qualcosa: al proprio senso del ridicolo, per esempio.
Per quanto le valigie possano sembrare piene, per quanto il peso possa apparire eccessivo ed ingestibile, per quanto ci si possa sentire a disagio con dieci strati di roba addosso, bisogna star sereni e non preoccuparsi.
Al ritorno sarà peggio.
http://www.mariarosariaserritiello.info/opere.htm
C'era un posto speciale.
Un posto di vicoli e scale, archi e segreti.
Un posto che ubriacava gli occhi e saziava il cuore.
Un posto dove potevi immaginare la trama di un romanzo, camminare a piedi nudi, scioglierti i capelli e sentirti bella e misteriosa.
Un posto capace di regalarti molto più di qualsiasi promessa.
Un posto che ti accoglieva da amica e ti congedava da figlia.
C'era un posto così e presto ci sarà ancora, per la sua gente e per tutto il mondo.
Perché tutto il mondo ha bisogno di Atrani.
Confessiamolo, ogni quattro anni di fronte alla bandiera con i cinque cerchi, tutti noi sognamo per un attimo di essere campioni olimpici.
Non è vero?
No?
Come no?
E vabbè, io sì!
Io sogno di stare sul gradino più alto del podio, commossa ma impettita, mentre tutti i Cole, riuniti davanti alla tv, versano copiose lacrime e traspirano ettolitri di orgoglio.
Sogno di salutare la folla festante venuta a darmi il benvenuto in aeroporto al mio ritorno in patria, avvolta nel tricolore e pronta per sostituire nei sogni proibiti dell'italiano medio quella sciacquetta di Federica Pellegrini.
E sogno anche di essere invitata a "Porta a Porta" ed in diretta, a tradimento, prima che mi possano sfumare, dire davanti a tutta la nazione ciò che penso di quel "diversamente alto" del nostro illustre Presidente del Consiglio. Riuscendo così nella doppia impresa di commuovere fino alle lacrime PapàCole e far prendere un coccolone a quell'ominide che risponde al nome di Vespa Bruno.
Il problema non indifferente però è sempre stato il fatto che io stia allo sport come Fantozzi al congiuntivo. E non è colpa del tempo che passa, io ero un'emerita pippa pure da bambina, da ragazzina, a vent'anni, a venticinque. Insomma: sempre!
Ma durante la mia esperienza estiva di cameriera per amore e per necessità, uno spiraglio sembra essersi improvvisamente aperto e con esso la possibilità di poter finalmente esprimere le mie straordinarie seppur celate qualità atletiche.
Dopo il giavellotto, il peso ed il martello, ho intenzione di proporre all'esimio comitato olimpico il: "lancio della pizza da ferma". Disciplina in cui, non per vantarmi, so di poter eccellere.
Per ora vado forte nel doppio salto in avanti carpiato della quattro formaggi, ma fino a Londra 2012 ho ancora tempo per migliorare ed ampliare le mie specialità. Mi sto applicando soprattutto nel carpiato ritornato della Marinara e nel raggruppato rovesciato della Capricciosa.
Vedo aprirsi davanti a me un nuovo brillante futuro.
Qualcuno di voi ha mica il numero di cellulare o l'indirizzo email di Jacques Rogge?
Dopo due mesi di stupidera, oggi si cambia registro.
Partendo da un verso(il primo della terza strofa) della poesia "Questions of travel"(*) di Elizabeth Bishop ho scritto un breve racconto.
Prima che vi venga l'ansia, lo dichiaro subito: la storia è di pura fantasia.
Che peccato sarebbe stato non aver visto gli alberi lungo questa strada.
Scendo nelle viscere umide e buie della terra, cerco un posto libero e mi siedo.
Con la testa appoggiata al finestrino osservo il tunnel con occhi ciechi, quando l'istintivo bisogno di aria e luce si impossessa di me, costringendomi a risalire in superficie. Tra i vivi.
Il sole splende in questo inizio d'estate. Periodo dell'anno in cui Berlino è un dono per gli occhi e per il cuore, con i suoi colori, i suoi odori e le sue facce.
L'umanità intera forma un unico serpentone colorato lungo Unter den Linden, ed io mi accodo, nascondo e perdo in esso.
Lui mi starà già aspettando davanti allo studio medico.
Gli esami del sangue non promettono niente di buono, la risonanza magnetica fa paura da quanto è brutta ed i raggi mostrano chiaramente la mia colonna vertebrale sull'orlo del collasso.
"Bisogna correre dal Dottor Hahn. Sono sicuro che troverà una soluzione", ha deciso ieri sera.
Ha chiamato il vecchio amico fraterno di suo padre ed ha preso appuntamento. Senza neanche interpellarmi, senza darmi il tempo di aprire bocca.
"Domani sera. Ore 18. Io verrò direttamente dall'ufficio e ci troveremo là davanti. Mi raccomando non tardare"
"Agli ordini capitano", gli ho risposto battendo i tacchi.
Ma non ha apprezzato l'ironia: "E' una cosa seria", mi ha detto severo.
Come se non lo sapessi. E' la mia schiena quella che si sta rattrappendo su se stessa, è la mia vita quella che sta scivolando via a tradimento. Lo so che è una cosa seria ma delle volte mi piacerebbe solo farmi una bella, grassa risata.
Non dovrei camminare per lunghi tragitti.
Ogni muscolo, ogni osso, ogni tendine del mio corpo brucia di un fuoco blu, intenso, accecante. Ondeggio faticosamente sotto il sole come una vecchina. Una vecchina di soli 28 anni.
Probabilmente qualcuno mi crederà ubriaca o peggio ancora drogata.
Qualcuno forse proverà pena per me. Per il mio viso rosso dalla fatica, per i miei capelli appiccicati dal sudore, per la mia maglietta così bagnata da poterla strizzare.
Di certo quando Lui mi vedrà non proverà pena, ma forse fastidio e sicuramente rabbia.
Se la prenderà con questa donna che lo sta facendo diventare pazzo, che non si lascia amare, cullare e guidare. Maledirà la mia irrazionalità, persino la mia follia, o semplicemente la mia testa dura. E di certo non si calmerà quando gli dirò: "Hai ragione, ma che peccato sarebbe stato non aver visto gli alberi lungo questa strada."
I tigli sono in fiore e sono meravigliosi.
Chissà se riuscirò a vederli anche il prossimo anno. Probabilmente no.
E allora al diavolo Lui ed il suo buon senso, al diavolo il dottor Hahn che "è stato così gentile da trovare un buco nella sua agenda", al diavolo la famiglia che vorrebbe che tornassi a casa. Al diavolo tutti.
Me ne fotto del vostro amore, della vostra buona fede e dei vostri buoni propositi.
Lasciatemi godere i miei tigli fioriti. Lasciatemi respirarne il profumo. Lasciatemi annegare in tanta bellezza.
Avrò tempo per le cure ed anche per la morte, trattenuta dalle vostre mani e bagnata dalle vostre lacrime.
Mi ha vista da lontano e ora mi viene incontro.
Il viso furioso è di un rosso innaturale. Ed io rido.
Le vene del collo sono gonfie, piene di rabbia repressa. Ed io rido.
Mi piovono addosso mille parole, ma pronunciate a denti stretti, senza urlare. Ed io rido.
Lui non lo sa, ma è tanto buffo in questo momento. E per questo rido, rido e rido.
Rido così forte che cado in terra e la schiena mi si spezza. Per sempre.
L'ultima cosa che vedo sono i tigli. Che peccato sarebbe stato non aver visto gli alberi lungo questa strada.
(*) Scusatemi per il link solo in inglese, ma purtroppo non ho trovato in rete la versione italiana.
Una ragazza di città ha scarpinato allegramente tra prati e monti trentini.
Tutta sudata e stropicciata, equipaggiata con abbigliamento e scarpe inadatte, si è trascinata dietro anche un bastone da passeggio ma, incapace di usarlo correttamente per facilitarsi negli spostamenti, non le è rimasto che utilizzarlo per esibirsi nell'imitazione mal riuscita del Vagabondo.
Gli orsi probabilmente non si sono palesati perché troppo presi a farsi grasse risate alle spalle della suddetta giovine, ma in compenso le morbidose marmotte, che sempre plantigradi sono, hanno salutato l'esibizione con sonori fischi di apprezzamento.
Ed anche per quest'anno la pellaccia è salva.
Sono salva. Per ora.
Ne avevo già parlato l'anno scorso ed in quella occasione voi, miei adorati lettori, avevate cercato di rassicurarmi. A modo vostro.
Ma il problema si è ripresentato ed ora è molto, ma molto peggio!
Sarà che ultimamente quegli sporcaccioni degli orsi trentini si sono dati parecchio da fare, moltiplicandosi come conigli, ma sta di fatto che quest'estate gli avvistamenti dei morbidosi plantigradi lungo i sentieri ed a pochi passi dal paese sono cresciuti esponenzialmente.
Domani mi attenderebbe una gita dove solo ieri una signora ed un'orsa si sono trovate faccia-muso. L'animale, di fronte alla cotonatura anni '80 della madama, è fuggito inorridito mentre la donna probabilmente se l'è fatta addosso.
Essendo io oltremodo pavida cosa mi consigliate di fare?
A) Mi fingo malata?
B) Durante la notte, con il favore delle tenebre, scappo verso la mia amata e soprattutto bear-free pianura padana?
C) Inizio subito a fare la danza della pioggia, propiziando così un bell'acquazzone che impedisca qualsiasi attività escursionistica?
Oppure
D) Mi cotono i capelli e per evitare inutili imbarazzi indosso anche un bel pannolone?
Comunque, sappiate, che vi ho voluto tanto bene.
Chi di voi mi segue da un po' sa che c'è una realtà a cui sono molto affezionata: l'Oasi Locatelli.
Un rifugio sicuro per i cani senza famiglia.
Una casa per chi una casa vera ancora non ce l'ha.
Un posto gestito da persone piene d'amore e passione.
Purtroppo adesso l'Oasi rischia di chiudere per i troppi debiti.
Che ne dite di dare un'occhiata al sito di Secondazampa per saperne di più e magari decidere di dare una mano?
Direttamente dal lussuosissimo Regionale Brennero, che tutto il mondo ci invidia, tra turisti arrostiti e pendolari bolliti, con una temperatura di crociera che oscilla tra i 30 ed i 35 gradi, la vostra Jane saluta e ringrazia affettuosamente tutti coloro che le hanno tenuto compagnia durante la difficoltosa traversata padana.
Un pensiero speciale va ovviamente alla beneamata Trenitalia che, sempre più efficiente e lungimirante, da qualche tempo ha pensato bene di sopprimere lo storico collegamento diretto Torino-Venezia, rendendo gli spostamenti da ovest ad est (e viceversa) tanto scomodi e macchinosi da risultare ridicoli.
Ripetete tutti con me: grazie Trenitalia!
Ve l'ho mai detto?
Io odio la stazione di Milano.
No, non ce l'ho con la città meneghina, che tra l'altro conosco pochissimo, ma proprio con la sua caotica e sovraffollata stazione ferroviaria.
Io, in qualità di sfigata passeggera sabauda di passaggio, mi trovo ogni volta a dover correre da un binario all'altro e da un treno all'altro, trascinandomi dietro una valigia strapiena e calpestando anziani innocenti, teneri bambini ed ingombranti donne incinte, con l'unico scopo di non perdere la coincidenza.
Capirete che per una personcina mite e ben educata come me, un tale comportamento è fonte di grande disagio.
Per questa volta credo di aver provocato solo un paio di traumi cranici e la rottura di qualche femore.
E' proprio un mondo difficile.
Prossima fermata: Verona.
Sono seduta accanto ad una ragazza che ascolta musica in cuffia e ogni tanto canta ad alta voce.
I primi 5 minuti ho pensato che fosse simpatica.
Poi che fosse semplicemente una sopportabile scocciatura.
Ora, dopo più di un'ora di viaggio, canzoni smozzicate ed acuti improponibili, vorrei solo che la giovine creatura chiudesse la sua boccuccia santa.
Ecco a cosa serve realmente un blog: a condividere con i propri pazienti lettori le piccole frustrazioni quotidiane.
E voi che fate di bello?
Abbiate pazienza, sono parecchio impicciata ma pensovi, pensovi tanto.
Come si fa a non amarla follemente?
Scrivo questo post e non ci penso più.
Vi svelo il mio segreto segretissimo.
La mia grande vergogna.
Voi però non ridete, ok?
Siete pronti?
Siete sicuri?
Mi giurate che dopo questa rivelazione rimarrà tutto uguale tra di noi?
Si?
Ok, allora vado: prendo un bel respiro e poi lo scrivo.
Anzi no, conto fino a 3.
1
2
2 1/2
2 3/4
3
Io, Jane Pancrazia Cole, non so andare in bicicletta.
Ecco. L'ho scritto.
Ora, scusatemi, ma corro a nascondermi.
...sob...
Se racconti a due bambine dalla sfrenata fantasia le vicende di Fatima e dei pastorelli il minimo che possa accadere è che le due innocenti si lascino prendere dall'entusiasmo ed inizino ad imbastire un semplice quanto ambizioso progetto.
No, non quello di farsi suore.
No, neanche quello di darsi alla pastorizia.
No, neppure quello di aprire un B&B a Fatima per accogliere i pellegrini.
La mia compagna di banco ed io, dopo un'illuminante lezione di religione in terza elementare, decidemmo "semplicemente" che da quel giorno saremmo state buonissime in modo da guadagnarci anche noi un'apparizione della Madonna.
La nostra non era una speranza ma una certezza. Ad un comportamento corretto sarebbe sicuramente corrisposto il premio desiderato, nello specifico una visione mistica. Punto. Le chiacchiere stavano a zero.
Io che passavo i week end a giocare a calcio con mio cugino Ale sdrumandogli sempre le caviglie, più aggressiva di Gattuso e più fallosa di Materazzi; io che anni addietro avevo ceduto la Barbie in comodato d'uso a quel porco di Giuliano; io che ritenevo la messa domenicale la peggiore delle punizioni; io avrei intrapreso la via della beatitudine.
Lei che conosceva certe colorite espressioni da far impallidire qualsiasi camionista turco; lei che passava i suoi pomeriggi a corcare di mazzate il fratello; lei che considerava il pettegolezzo una forma d'arte; lei mi avrebbe affiancata sulla medesima via.
Era proprio il caso di dire: Dio le fa e poi le accoppia.
Come andò a finire?
Ci mettemmo solo 24 ore per renderci conto che nessuna delle due sarebbe stata in grado di mantenere una condotta di vita adeguata e quindi decidemmo di rinunciare.
Ma negli anni seguenti ci saremmo comunque intrattenute in altri interessanti diversivi: come organizzare un mercato nero durante l'intervallo, sventare una rapina immaginaria in cartoleria e condurre una campagna tutta al femminile contro il bullo della scuola.
Sapete com'è: ci piaceva tenerci impegnate.
Ci sono persone che nascono coraggiose e affrontano la vita con sprezzo del pericolo ed una certa dose d'incoscienza.
Io non sono una di quelle. Io sono nata paurosa e vivo facendomela metaforicamente sotto.
Ma se adesso sono un'adulta discretamente pavida, da piccola ero proprio una fifona senza speranza.
Una frignona priva di ritegno.
Una palla al piede.
Insomma: una discreta rompiballe.
Avevo il sacro terrore dell'acqua.
Quando mi facevano il bagnetto mi dibattevo come un'anguilla ed emettevo certi strilli che neanche un coguaro con la coda incastrata in una tagliola. E nelle vecchie foto al mare si possono ancora ammirare le mie espressioni da bimba gaudente in vacanza: c'è la classica "disperata, chi me l'ha fatto fare" sulla battigia e l'inarrivabile "terrorizzata, non voglio morire" nel canotto.
Ovviamente avevo anche paura del buio.
Ogni notte era una tragedia: vedevo ombre, immaginavo cose, mi convincevo che la stanza fosse infestata dai mostri mangia-bambini e così correvo a cercare riparo nel lettone dei miei.
Ora che sono diventata una signorina grande non ho più bisogno della coercizione fisica per farmi il bagno, ho perfino imparato a nuotare e nelle foto delle vacanze le mie espressioni variano dal "ma quanto sono gnocca?" al "oh cielo sembro una balena spiaggiata" a seconda della trippa accumulata durante l'inverno.
E il buio?
Ovviamente ho ancora paura del buio. E chi non ce l'ha?
Ma, in quanto adulta e vaccinata, dormo buona buona nel mio lettuccio, sperando che i mostri, nel caso si palesino, si pappino prima Ciccio.
E voi? Che paure avete? Non vorrete mica lasciarmi da sola a "confessarmi"? Guardate che io ho anche paura della solitudine!
"Il decalogo
Faith ha 23 anni e quattro anni fa ha ucciso un potente connazionale, per difendersi dai suoi tentativi di violenza sessuale.
E’ stata condannata a morte nel suo paese (che non contempla per le donne l’attenuante della legittima difesa).
E’ scappata dal paese che la vuole morta.
Si è rifugiata a Bologna credendo di essere al sicuro.
Hanno tentato di violentarla nuovamente.
Ha denunciato il suo aggressore.
E’ stata fermata dalla Questura.
E’ stata rimpatriata nel suo paese.
In questo momento forse è già stata impiccata."
Per saperne di più seguite il link a Donne Pensanti.
E fatelo ora: non c'è tempo da perdere!
Iniziò un pomeriggio del lontano 1991.
Io avevo appena 14 anni e lui 23.
Io stavo finendo il primo quadrimestre della seconda media e lui gli Australian Open.
Lo vidi in televisione: alto ed imponente, con i capelli rossi e dei meravigliosi occhi blu.
Fu un colpo di fulmine.
Tutti pensarono che sarebbe stata solo una relazione breve, una cottarella senza importanza ed invece, tra i normali alti e bassi, le crisi ed i riavvicinamenti, le vittorie e le sconfitte, i fidanzamenti e pure i figli, il nostro rapporto continuò fino al 2001. Anno in cui il mio amato venne travolto dagli scandali, fece la figura del porco ma soprattutto del pirla e cadde rovinosamente dal piedistallo su cui l'avevo tenuto per tutto quel tempo.
Delusa e amareggiata abbandonai il mio principe azzurro, ormai molto sbiadito, al suo destino e decisi di crescere.
La mia storia con Boris iniziò nel 1991 e terminò nel 2001. Nessun'altra mia relazione è durata così a lungo.
Quindi, a tutt'oggi, il rapporto più duraturo che io abbia mai avuto è quello immaginario con un tennista egocentrico, fedifrago, evasore fiscale e, a detta di SorellaCole, pure bruttarello.
C'è qualcosa di più patetico e folle?
Certo che si! Una foto tratta dal nostro album privato, per esempio.
Questa è la mia personalissima "settimana della stupidera". L'avevate notato?
In seconda media mi presi una cotta per un mio compagno.
Si chiamava Marco, aveva un'aria decisamente equina ma piaceva a tutte ed anche a me.
Una mattina, prima che cominciassero le lezioni, mi chiese di "metterci assieme" ed io accettai al volo.
Fu una storia unica, irripetibile, ineguagliabile.
Una storia che non riuscirò mai a dimenticare.
Una storia che durò dalla prima ora all'intervallo.
Due ore.
Al suono della campanella l'essere abbietto mi mollò per mettersi con la mia migliore amica.
A distanza di tanti anni ho superato il trauma e riesco addirittura a ricordare l'episodio con divertimento.
Si, con una grande, grassa, risata ISTERICA!
The nominees are:
Quella volta che andai a sbattere contro una cabina telefonica
Quella volta che beccai il mio ex suocero in mutande.
And the winner is: "Quella volta che beccai il mio ex suocero in mutande"!
Ero ospite a casa dei genitori del mio vecchio fidanzato (sempre lui).
Una mattina entrai in bagno e mi trovai di fronte al padre che, in procinto di farsi la doccia, se ne stava in piedi accanto al box con addosso solo un paio di striminziti slippini.
Lui, mantenendo un invidiabile aplomb, mi augurò il buon giorno.
Io, dotata di molto meno self control, corsi a nascondermi in camera, dove prima cercai di togliermi la vita con un'overdose di zigulì e poi di perdere la memoria sbattendo ripetutamente la testa contro il muro. Il tutto mentre il mio ex, invece di confortarmi, si rotolava a terra dal ridere.
L'immagine di quell'uomo in mutande da allora si è impressa indelebilmente nella mia mente e sono certa che mi accompagnerà per tutta la vita. E non per ribadire un vecchio concetto, ma questo increscioso episodio non si sarebbe mai verificato se TUTTI avessero l'abitudine di chiudersi a chiave in bagno proprio come FACCIO IO.
E voi? Qual è il vostro momento più imbarazzante? Siete in grado di battermi?
Era il 1981, io avevo 4 anni ed il mio amato 7.
Si chiamava Giuliano, aveva la capoccetta ricoperta da bellissimi riccioli rossi ed il viso ornato da deliziose efelidi.
Io lo amavo teneramente.
Lui usava la mia adorata Barbie per fare le cosacce con quel porco del suo Big Jim.
Quello fu il profetico inizio della mia vivace vita sentimentale.
Ci sono donne che fanno palpitare i cuori dei poeti romantici.
Io no. Io vado forte tra i ruspanti goderecci.
Meglio poi!
Non ho mai partecipato a nessun Blog Candy.
Questi concorsi non mi attraggono molto.
Perché? E' semplice: di solito la dea fortuna non mi bacia, tutt'al più mi schifa.
A Natale inizio la serata che sembro Paperon de Paperoni con le ghette, la tuba e tutte le monetine del deposito e finisco squattrinata peggio di Paperino.
E mica giochiamo a poker! Ma io riesco ad indebitarmi pure con la tombola.
E agli esami? Avete presente quella compagna "Che fortuna! Mi hanno chiesto l'unico argomento che avevo studiato"? Ecco, appunto, quella stron#a!
Io ovviamente non sono lei, ma quella che viene dopo, quella "Ma noooo, mi hanno chiesto l'unica cosa che non sapevo!"
Non ho mai trovato più di 5 centesimi per strada ma in compenso mi è capitato spesso di trovare simpatici regalini e di spiaccicarci sopra il piedino, magari calzato in scarpe con meravigliose suole a carrarmato. Con risultati che non stò neanche a descrivervi.
Non ho mai vinto niente in vita mia. Maiiii.
Anzi no, una volta con la lotteria di quartiere ho vinto un mega uovo di cioccolato fodente. Ma il biglietto, anche se era a nome mio, l'aveva scelto SorellaCole che, invece, diciamolo: ha più culo che anima! (con affetto eh, sorellina!)
Lei ed il suo degno consorte sono riusciti a vincere pure alla macchinetta delle sigarette: invece del resto gli è venuto giù un jackpot che neanche una slot machine a Monte Carlo. E meno male che il fumo fa male!
Ma magari questa volta ci penserà la "mia" adorata Lupina a portarmi fortuna, echilosa!
Giuro che se dovessi vincere la maglietta, la indosso, mi faccio la foto e la pubblico sul blog.
Lo giuro!!!
Un uomo distinto.
Un bastone ad agevolarne il passo.
I capelli pettinati all'indietro e lo sguardo fiero.
"Buongiorno. Posso dare il mio contributo o sono fuori tempo massimo?"
Ieri un Novantadueenne è venuto a chiederci se poteva donare il sangue.
Novantadue anni.
Novantadue anni compiuti.
Ovviamente no, un novantadueenne non può donare il sangue.
Lo vieta la legge, la medicina ed anche il buon senso.
Ma incontrare un uomo così è stato un onore.
Quando l'ultimo rappresentante della generazione dei nostri nonni se ne sarà andato, quando non resterà più nessuno di quelli che hanno vissuto la guerra, conosciuto la dignità della rinuncia e lavorato la terra con le mani, questa nostra società sarà ancora più povera e smarrita di quanto già non sia.
Alcuni libri vanno assaggiati,
altri divorati e alcuni, rari,
masticati e digeriti.
Francis Bacon.
Ero entrata in libreria solo per dare una rapida occhiata, ripromettendomi di tenere il portafogli ermeticamente chiuso.
I miei buoni propositi sono andati a farsi benedire nel momento in cui ho visto Lui.
Lui, che qualcuno aveva gettato distrattamente su un tavolo.
Lui, che sembrava stesse lì ad aspettarmi.
Lui, il cui titolo mi occhieggiava malandrino e seducente dalla copertina.
Lui, "I berlinesi" di Sven Regener.
Come avrei potuto resistere ad un richiamo tanto sfacciato?
Come avrei potuto ignorare le insistenti sirene crucche?
Come avrei potuto non cadere vittima dell'Erasmus Nostalgia?
Ed infatti non ho resistito, non ho ignorato e ci sono caduta con tutte le scarpe.
Un libro ambientato nella Berlino degli anni '80: quella del muro, delle case occupate, dei punk e degli artisti. Una realtà folle ed irresistibile che viene descritta attraverso gli occhi di Frank, giovane in cerca del fratello maggiore ma soprattutto di se stesso. Un percoso compiuto tra fiumi di birra, personaggi sopra le righe e dialoghi assurdi. Un viaggio che, nonostante il finale sotto tono, vi consiglio di intraprendere.
Un libro per chi ama Berlino.
Un libro dove si può cogliere il clima sociale e culturale che, a distanza di molti anni e dopo lo stravolgimento politico, ancora caratterizza la città.
Un libro lieve, divertito e divertente.
Un libro libidinoso come una colazioneda Berio (*) (**).
Un libro fresco come una birra al Pratergarten (*).
Un libro che ti sazia come una cena al Faustus (*) di Kudamm.
"I berlinesi" di Sven Regener, edizioni Elliot.
(*) Qualcuno di voi è in partenza per Berlino? Questi sono tutti locali provati ed approvati da me. Prendete nota e poi fatemi sapere.
(**) Vi consiglio di ordinare una "Toronto", a mio insindacabile giudizio, la colazione più buona del mondo.
Il maiale trasportava la sua libidine attraverso il cielo d'agosto.
Il bambino lo osservava da terra, rapito dal volo del grasso suino.
Solo lui poteva vederlo. Solo i neonati vedono i beati che salgono in paradiso o i dannati che precipitano all'inferno.
Lucio, il porco volante, non era sempre stato un maiale, ma in un tempo non troppo lontano era stato un angelo. Un meraviglioso angelo con tutte le cosine al posto giusto: i riccioli biondi, le guance paffute, il camicione bianco ed un'apertura alare da fare invidia ad un'aquila.
Per molti secoli aveva orgogliosamente occupato uno dei posti di prestigio nel coro delle voci bianche di Santa Cecilia. Tutti lo amavano e ne ammiravano le doti canore, fino a quando una mattina accadde l'inspiegabile: Lucio, che era andato a dormire con una vocina celestiale, si svegliò con un vocione da scaricatore di porto, degno di San Pietro dopo tre pacchetti di Stop senza filtro.
Santa Cecilia, che lo conosceva da quando era un puttino piccolo piccolo e gli era tanto affezionata, lo tenne comunque nel coro ma con l'ordine tassativo di non cantare, ma muovere le labbra senza emettere un suono.
Lucio era ogni giorno più triste, si sentiva diverso da tutti i suoi amici, il suo vocione sgraziato lo imbarazzava e poi sentiva crescere dentro di sé una fame pazzesca che lo tormentava.
Lui cercava di saziare le proprie voglie a suon di merendine: celestiali crostatine al cioccolato, paradisiache ciambelle ricoperte di zucchero e canditi, divini bomboloni alla crema, babeliche montagne di profitterol e, durante le feste comandate, morbidi panettoni farciti e burrosi colesterolici pandori.
Gli altri cantavano e lui mangiava, gli altri provavano le scale e lui faceva i fanghi nella crema pasticcera, gli altri si esercitavano fino a raggiungere la perfezione e lui s'ingozzava fino ad una bella indigestione.
Lucio mangiava ma non era mai sazio.
Il Grande Capo, che tutto sa e tutto vede, per dare un freno all'ingordo cherubino, riportarlo sulla retta via e abbassargli i trigliceridi, lo mise a dieta con la minaccia che ad ogni dolce ingoiato l'avrebbe duramente punito. E così ebbe inizio la metamorfosi.
Cassata siciliana? Via i boccoli biondi. Sachertorte? Due belle orecchie a punta. Zuppa inglese? Un enorme naso grufolante. Cartellate pugliesi? Una codona a turacciolo. Creme caramel? Quattro piedi porcini.
In poco tempo il povero Lucio si trovò trasformato in un grosso maiale e, abbandonato definitivamente il coro, prese a vagare triste e solitario: "Perché? Perché sono diverso dagli altri? Cos'è questo languore che sento dentro e che nulla riesce a saziare?", si chiedeva sospirando.
Ma un giorno, tra un lamento e l'altro, lo sventurato s'imbattè in Santa Eustacchia da Cinisello Balsamo, tre volte vincitrice del concorso miss Settimo Cielo, "Buongiorno mio sfortunato amico. Ho sentito del tuo crudele destino. Posso fare qualcosa per rendere lieve la tua esistenza?" gli disse lei, che oltre ad essere bella era anche buona e gentile.
"Sorbole, che bocce!" rispose lui ingrifato come un riccio in amore.
E così finalmente si svelò l'arcano: quello di Lucio era un gravissimo caso di frustrazione sessuale da pubertà isterica. Egli, in quanto angelo e quindi asessuato, era privo di tutta la strumentazione necessaria per l'accoppiamento ma, per un rarissimo difetto di fabbricazione, provava comunque le pulsioni terrene tipiche di un adolescente. Anzi di un branco di adolescenti.
Lucio sublimava la mancanza di sesso con l'abbondanza di cibo.
Un angelo obeso ed ingordo era ancora accettabile, ma un maiale che cercava d'infilare il proprio nasone tra le tette di Eustacchia no! E così il Grande Capo lo condannò alla dannazione eterna, lo spogliò delle angeliche ali, gli regalò un forcone, e con un divino calcione nel sedere lo spinse giù verso l'inferno.
Lucio, dopo una perfetta parabola compiuta sopra Posillipo, ebbe giusto il tempo di urlare all'inconsapevole folla napoletana: "Una sfogliatella, lanciatemi una sfogliatella!", per poi venir inghiottito dal Vesuvio e schiantarsi davanti alle infernali porte.
"Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate!", recitava un cartello.
"Cazzo! Cominciamo bene", esclamò il porco, che si stava velocemente adattando al nuovo ambiente.
Al cancello gli venne incontro un gran bel pezzo di diavolessa: un metro e ottanta di femmina, avvolta in una tuta di pelle nera, con lunghi capelli rossi, occhi da gatta, labbra a canotto ed una coda che schioccava come una frusta.
Fu amore a prima vista.
"Prendimi, mangiami, rivoltami come un calzino, insaccami come un cacciatorino, sprimacciami come un cuscino: voglio essere tuo per sempre!", la supplicò Lucio, che dopo tutti questi anni di sofferenze non era certo propenso ad un lungo corteggiamento.
Lei lo guardò, capì di aver trovato finalmente la sua metà della mela, e sorridendo gli disse: "Accomodati amore mio."
Ora Lucio è un diavolo felice: ha tanti nuovi amici, un posto fisso come capo reparto nel girone dei golosi ed una fidanzata con cui saziare tutti gli appetiti.
ps: un doveroso grazie al Prof, autore dell'illuminata ed illuminante frase "Il maiale trasportava la sua libidine".
I miei DiarioRacconti originano tutti da una storia vera. Delle volte preferisco rimanere estremamente fedele all'originale, come nel caso dell'Erasmus, altre volte mi sbizzarrisco, mettendoci molto del mio ed utilizzando la vicenda reale solo come fonte d'ispirazione.
Una decina di anni fa la mia amica Sissi mi disse più o meno così: "La prima moglie di mio nonno morì giovane lasciando dei figli piccoli. Così mia nonna, sua sorella, sposò mio nonno per crescere i bambini. Da questo secondo matrimonio è nato il mio babbo."
Qualche mese fa, improvvisamente, mi è tornata alla memoria questa incredibile storia di vita vissuta ed ho deciso che una vicenda così meritava di essere narrata. All'inizio il racconto doveva essere molto più breve, com'è nel mio stile, ma Adelina è un personaggio volitivo ed ingombrante e così con il passare delle settimane si è guadagnato molto spazio nei miei pensieri e molto tempo davanti al pc.
La trama dunque era già scritta tutta in quelle tre righe ed io mi sono divertita a giocare con l'ambientazione, le suggestioni, la personalità dei protagonisti e le sottotrame. Ossia con tutto ciò che avete trovato nel mio racconto e che non è presente in quelle poche righe.
E' stata proprio una bella avventura.
Grazie a tutti voi per aver dedicato così tanta attenzione e trasporto alla "mia" Adelina.
Martedì 22 giugno 2010.
Una famiglia qualsiasi in una casa qualsiasi a Pomigliano.
Il padre, la madre e il figlioletto seduti a tavola davanti a tre piatti fumanti.
"Papà, ma dobbiamo proprio?" "Si, tesoro, dobbiamo. Non abbiamo altra scelta." "Ma mi fa schifo." "Lo so, ma se la mangiamo in fretta, trattenendo il respiro, non sentiremo il sapore e riusciremo a mandarla giù tutta!" "Ma, papà, dobbiamo fare anche la scarpetta?" "E no, la scarpetta no! Ci possono costringere a mangiare la merda, ma non a farcela piacere"
Jane da piccolina era una bimba timida e solitaria con una madre iperprotettiva che non volle mandarla all'asilo, "perché ci si prendono le malattie", e preferì affidarla a una famiglia di vicini, ribattezzati da quel momento: gli Zii.
Jane non si è mai affezionata particolarmente a questi Zii, troppo impegnata com'era a provar rancore verso la madre che l'abbandonava tutti i giorni in quella casa di estranei. La bambina sapeva che i genitori erano al lavoro e la sorella a scuola, ma ciononostante se l'immaginava tutti e tre assieme mentre lei stava con gli altri, che erano gentili ma non erano la sua famiglia.
Jane non ha mai pensato che gli Zii le volessero davvero bene.
Il loro era un lavoro e lei era solo una fonte di reddito per arrotondare e far studiare i figli.
Lo scorso gennaio Jane ha rincontrato i suoi Zii.
Si è trovata di fronte a due vecchietti adoranti, che l'hanno avvolta di un amore infinito, guardandola commossi, abbracciandola con trasporto e trattandola come la figlia femmina che non hanno mai avuto.
I rancori, le recriminazioni, i nodi irrisolti spesso ci fanno vedere il passato attraverso una lente che lo distorce.
Quell'incontro ha permesso a Jane di rimuovere la lente. Ed era anche ora.
Io odio il mio lavoro!
Questo mestiere lo faceva mio padre e, prima di lui, mio nonno ed io non ho avuto altra scelta. Purtroppo certi impegni si ereditano, proprio come le lenzuola del corredo o i piedi piatti.
Ma io ho sempre avuto l'animo poetico ed il mio sogno sarebbe stato quello di fare il cantore di gesta. Ed invece no: fucile in spalla e pedalare!
A me gli animali piacciono tanto.
I loro musetti dolci e gli occhietti vispi mi fanno una tale tenerezza. Ed anche le bestie più grosse e pericolose, come gli orsi ed i lupi, mi emozionano per la loro bellezza e maestosità.
Non farei mai loro del male di mia spontanea volontà, ma purtroppo la mia vita è questa: fucile in spalla e pedalare!
Se proprio la volete sapere tutta: io sono vegetariano.
Si, avete capito bene, V-E-G-E-T-A-R-I-A-N-O.
No, non c'è proprio niente da ridere!
Io, Capo Cacciatore Supremo del Bosco Nord del Regno, non addenterei una coscetta di coniglio neanche sotto tortura, non sfiorerei un risotto al capriolo neanche dopo una settimana di digiuno, non mangerei un carrè di cervo neanche per ordine diretto del Re.
Ma anche se io vado avanti a tofu, soia e polpette di riso, gli altri, e soprattutto la famiglia Reale, sono ghiotti di carne e mi devo piegare alle loro richieste. Quindi: fucile in spalla e pedalare!
Avete sentito anche voi?
C'è qualcuno che chiede aiuto.
Devo correre!
Lo sapevo: è successo un'altra volta.
Osvaldo, il lupo ingordo di questa zona, si è pappato delle persone.
E pensare che è un animale così intelligente e per cacciare usa metodi avanzatissimi: si traveste, camuffa la voce, rimbambisce la preda con dialoghi senza senso. Roba da far impallidire il più cattivo di tutti i cattivi di qualsiasi altra favola. Ma non ha ancora imparato che non dovrebbe dare la caccia agli essere umani o che per lo meno non dovrebbe mandarli giù interi.
E invece no, lui non resiste, si fa prendere dall'entusiasmo e ingoia senza masticare. E così va a finire che questi chiedono aiuto e io sono deontologicamente obbligato a salvarli.
Ogni volta la solita storia: dai una botta in testa al lupo, aprigli il pancione, libera i malcapitati, ricucigli il pancione. Ecchepalle!
Che poi ricucirlo, ovviamente, non rientrerebbe nei miei obblighi, ma ve l'ho già spiegato: io ho il cuore tenero e non sono fatto per questo lavoro.
Vediamo a chi è toccata questa volta.
Non ci posso credere! Ancora?
Ormai quella di Osvaldo è diventata una vera fissazione. Sarà la quinta volta che cerca di fare fuori la signora Trinciaballe e la sua degna nipote. Del resto, come dargli torto?
La vecchia rimbambita è tanto avida quanto acida: con tutte le volte che l'ho tirata fuori non mi ha neanche dato la mancia a Natale e poi ha già fatto scappare per la disperazione tre badanti rumene, due assistenti sociali e pure quella santa donna della Fata Madrina.
Per non parlare della ragazzina, cappuccetto munita, che è una mezza delinquente, espulsa da cinque scuole diverse per bullismo, lesioni, spaccio, piedi puzzolenti ed alitosi.
Osvaldo, mi raccomando, la prossima volta: masticale!
"Carissimi lettori,
siamo finalmente giunti alla fine.
La storia finisce da dove è cominciata."
Augusto ed io siamo stati sposati per più di cinquant'anni.
All'inizio eravamo due estranei che dividevano lo stesso letto e dormivano dandosi le spalle, ma a poco a poco ci siamo avvicinati ed abbiamo cominciato a cercarci con gli sguardi e con le mani.
Assieme ne abbiamo passate così tante.
Abbiamo visto la fine della guerra e gli americani che entravano in paese. Quel giorno portarono euforia e cioccolata e la sera, complice l'aria di festa ed il vino, Augusto ed io facemmo all'amore per la prima volta. Eravamo così impacciati: io non sapevo niente di queste cose e lui aveva paura di spaventarmi o farmi male. Quella notte, a più di un anno dal sì pronunciato in chiesa, diventammo realmente marito e moglie.
Abbiamo cresciuto sei figli: un esercito di maschi rumorosi e disordinati ma onesti e con un cuore grande. Ad occuparmi della casa e di quel branco di selvaggi delle volte mi sentivo peggio di una schiava, ma poi a guardarli negli occhi uno ad uno ero orgogliosa come una regina.
Io per loro, per tutti loro, sono sempre stata "mamma Adelì" e lui semplicemente "il Babbo".
Abbiamo cercato fortuna in città, che la poca terra che avevamo ed il ricamo non bastavano più per dare da mangiare a tutti quanti. La campagna ci mancava tanto, ma per la nostra famiglia la fabbrica fu una benedizione.
E mentre i nostri figli si sono sparpagliati per tutto il mondo, noi, una volta che ci siamo fatti vecchi, siamo tornati al paese e ogni estate abbiamo insegnato ai nipotini a cavalcare i muli, cacciare le rane e fare il bagno nel ruscello.
Cinquant'anni sono così tanti che alla fine non ti ricordi neanche com'era la tua vita prima, ti sembra che debba continuare così per sempre e che un giorno passerai al Creatore assieme a tuo marito, a braccetto, come quando andavate a passeggio la domenica. Ma non succede quasi mai purtroppo. Di solito uno dei due se ne va prima e lascia da solo l'altro.
Una mattina di quasi dieci anni fa mi svegliai all'alba, la stanza era buia e tranquilla, ma c'era qualcosa che mi disturbava.
Nella nostra camera da letto di solito non c'era mai silenzio. Augusto russava, ma non russava in maniera normale, lui era come un trattore e una betoniera messi insieme. Soffiava, sbuffava, grufolava, uno poteva stare ad ascoltarlo per ore senza annoiarsi mai, perché lui inventava sempre rumori nuovi.
Ma quella mattina no, quella mattina era come se Augusto nella stanza non ci fosse più. Mi girai a guardarlo e lui era lì, immobile.
"Augù, ma che fai? Non sarai mica morto? Dai non scherza, Augù"
Che cosa stupida da dire: il mio Augusto non avrebbe mai scherzato su una cosa così.
Era proprio morto. Morto stecchito.
Augusto ma che si muore così? Senza avvertire? Senza darmi il tempo di salutarti? Di dirti quanto bene ti ho voluto e quanto mi hai resa felice?
Vengo qua tutti i giorni per dirtelo, Augù, sei stato tutta la vita mia.
No, non avete sbagliato indirizzo. Questa è ancora la paginetta di quella sciroccata di Pancraziuccia vostra.
E' bastato che la piattaforma aggiungesse la voce "Design", con tanto di freccetta ammiccante e suadente annuncio da sexy sirena (...provami, provami, provami...), perché Jane, stufa del solito vecchio rassicurante aspetto, si lasciasse sedurre e, dopo mille milioni di tentativi, scegliesse questo nuovo look.
Vi piace?
Si?
Grazie.
No?
Che significa no???? Come vi permettete? Screanzati! Cafoni! Insensibili!
Mai dire ad una blogger che ha appena cambiato Template che non vi piace o, peggio ancora, che preferivate il precedente. Sarebbe come dire ad una donna che si è appena tagliata i capelli che stava meglio prima. Non farete altro che deprimerla ed attirarvi astio e rancore.
Non lo sapevate? Sappiatelo!
Il verde è alle spalle, abbracciate con me questa nuova era.
Inutili rimpianti e resistenze. Non si torna indietro.
Almeno credo.
I libri sono come gli uomini.
Ci sono quelli pesanti e faticosi che ti aiutano a crescere ma non sono in grado di renderti davvero felice. Una volta che con loro hai chiuso, hai chiuso per sempre e non li riapriresti più neanche sotto tortura.
Ci sono quelli leggeri, magari un po' superficiali ma gradevoli. Non ti cambiano la vita ma sono perfetti per una storia breve e senza pensieri. Adatti per passarci un week end al mare, insieme ad un paio di sandali ed un vestito svolazzante che ti copra appena le gambe abbronzate.
Ci sono quelli belli, anzi bellissimi. All'inizio ti abbagliano, li divori, li consigli in giro. La vostra sembra una perfetta comunione dei sensi. Ma dentro di te lo sai che l'amore vero è un'altra cosa.
E poi ci sono quelli che incontri per caso e ad ogni appuntamento ti conquistano di più. All'inizio pensi che sia una storia senza importanza, ma presto ti rendi conto di non poterne più fare a meno, perché ti hanno presa cuore ed anima. Non sono i più profondi che tu abbia mai conosciuto e neanche i più belli, ma sono perfetti per te.
Mi sono innamorata e non mi succedeva da tempo.
Tutto merito di Michael Zadoorian e del suo "In viaggio contromano".
Un "on the road" della terza età. Una moglie con "più problemi sanitari di un paese del Terzo mondo" e un marito affetto da una grave forma di demenza senile partono per un'avventurosa vacanza, ripercorrendo la celebre Route 66.
Con il loro vecchio camper macinano pagine e chilometri tra hamburger, alcool, diapositive, delinquenti, deambulatori e droga. I ricordi si mescolano con il presente. La nuova America va a braccetto con la vecchia.
Mi sono innamorata di una donna dignitosa che vuole la facoltà di scegliere un finale fuori dall'ordinario.
Ho adorato questa coppia unita, nonostante la mente ormai persa di lui ed il corpo pesante di lei, da un grande amore. Quell'amore reale, delle persone normali, infarcito di compromessi e banale quotidianità e perciò ancora più straordinario.
I libri sono come gli uomini. Non esiste quello giusto in assoluto, ma solo quello giusto per te.
"In viaggio contromano", Michael Zadoorian, edizioni Marcos Y Marcos.
Quella notte non chiusi occhio.
Sapevo cos'era giusto fare. Sapevo cosa avrei voluto fare. Ma non riuscivo a decidermi su cosa avrei davvero fatto.
Avrei dovuto occuparmi dei bambini. Me lo imponeva il senso del dovere e soprattutto l'affetto incondizionato che provavo verso di loro.
Avrei voluto andare da Augusto e prenderlo a male parole. Che diritto avevano lui e mia madre di sconvolgermi la vita? Di darmi un tale peso? Di decidere tutto alle mie spalle?
Ma quando finalmente si levò il sole non avevo ancora deciso cosa avrei davvero fatto.
Arrivata alla sera, dopo una nottata in bianco ed una giornata di lavoro, mi dolevano tutti i muscoli e a tenermi su erano solo i nervi che sentivo nello stomaco come un gomitolo tutto ingarbugliato.
Dopo aver messo i bambini a letto, Augusto si sedette di fronte a me ed io gli vomitai addosso tutto quello che pensavo.
Gli dissi quanto ero arrabbiata con lui e mia madre che si preoccupavano delle voci di paese e se ne fregavano di me.
Gli dissi che mi sarei aspettata della riconoscenza per tutto ciò che avevo fatto per i bambini e non una trappola che non mi lasciava via d'uscita.
Ed infine gli dissi la cosa più crudele di tutte. Gliela dissi perché ero furiosa e sapevo che l'avrebbe ferito. Gliela dissi nonostante avessi ormai imparato a conoscerlo e rispettarlo. "Pensavo che volessi davvero bene a Lucia e invece non vedi l'ora di rimetterti un'altra serva a pulirti casa e a scaldarti il letto"
Lui non alzò la voce, non mi insultò come avrei meritato, ma mi guardò con degli occhi severi e delusi che mi fecero sentire l'ultimo dei vermi sulla terra: "Per me Lucia è stata una benedizione. Ringraziavo il Signore ogni mattina per quell' angelo che mi aveva messo accanto. Penso a lei tutti i giorni e me la sogno tutte le notti, ma ai miei figli non possono bastare i ricordi: loro hanno bisogno di una madre"
Dio solo sa quanta fatica deve essere costata una dichiarazione così al mio Augusto, sempre riservato e geloso dei propri sentimenti.
E' passata una vita intera da quella sera ma io ancora mi vergogno di avere insultato lui e l'amore che provava per mia sorella. E me ne vergognai talmente tanto anche in quel momento che iniziai a piangere come una scema.
Io ero così mortificata che lui si intenerì e mi disse: "Sta serena Adelì. Non c'è fretta, prenditi un po' di tempo per pensarci. E non ti preoccupare, se decidi che non te la senti, ci parlo io con tua madre e le dico che è colpa mia, che sono stato io a cambiare idea. Così non ti darà il tormento."
Mi lavai la faccia, mi avvolsi nello scialle e poi a passi stanchi mi diressi verso casa.
Ero quasi a metà strada quando finalmente nella mia testa si fece chiarezza. Non so se fu l'aria gelida di gennaio o il fatto che Augusto mi avesse fornito una via d'uscita. O forse fu Lucia che da lassù mi mise una mano sulla capoccia e l'altra sul cuore. Fatto sta che tornai indietro a passo spedito, bussai e quando la porta si aprì dissi solo: "Si."
Quella primavera nella chiesetta del paese si celebrò un matrimonio d'amore.
Non quel tipo d'amore che lega un uomo e una donna. Ma quello che ci legava entrambi ai bambini e a Lucia.